domingo, 27 de noviembre de 2011

PRESIEDERE L’ASSEMBLEA

          Sembra inutile dire che primo ‘esempio di preghiera’ nella liturgia è colui che la presiede: il celebrante. Dire ‘esenpio di preghiera’ è affermare pure ‘capacità di presidenza’. Ascoltiamo, innanzi tutto, due testimonianze. La prima è di Papa Benedetto XVI il quale, dialogando con i presbiteri romani, ha detto fra l’altro: «Celebrare l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole, che la Chiesa ci propone. In esse è presente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci prendono con sé sulla via verso il Signore. E come sacerdoti siamo nella celebrazione eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera dei fedeli di oggi. Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera, se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso a quelle parole.


Allora tutti diventiamo veramente “un corpo solo e un’anima sola” con Cristo». Notiamo l’insistenza sulle parole della liturgia: parole in cui ‘entrare’, a cui ‘unirsi’, così che i fedeli ne abbiano l’‘accesso’. Avvertiamo il richiamo esplicito al celebrare “in modo giusto”, a partire dalla maniera corretta di proferire e di fare propri i testi liturgici anzitutto da parte del presidente dell’assemblea. Meno ‘miti’ - ecco la seconda testimonianza - sono le parole di S. Girolamo, nei confronti del clero (con riferimento alla loro vita in genere e probabilmente al loro modo di pregare?), quando critica con violenza la sontuosità eccessiva delle chiese: «Non sono pochi quelli che costruiscono muri, ma scalzano la Chiesa alle sue basi. I marmi sono ben lucidi, sul soffitto a cassettoni splende l’oro, l’altare è messo in evidenza da pietre preziose; solo i ministri di Cristo non si distinguono affatto» (Lettera 52, 10).

     “Presiedere” è un termine che non è entrato nel vocabolario cristiano con il Concilio Vaticano II. Già S. Paolo scriveva ai Romani: «Chi presiede, lo faccia con diligenza» (12, 8). Il presidente, dunque, occupa il primo posto con la diligenza umile che fu del Maestro che lavò i piedi ai suoi discepoli, guidando tutti gli altri a celebrare il mistero di Cristo risorto. Il luogo stesso da lui occupato «deve mostrare il compito che egli ha di presiedere e di guidare l’assemblea» (Ordinamento generale del Messale romano, 310). È bene ricordare che tale luogo è triplice:

 la sede, collocata sul presbiterio, in posizione che permetta una buona visibilità dell’assemblea e non sia irrispettosa della custodia dell’Eucaristia; se questa è disposta nel presbiterio, la sede ovviamente non deve far sì che il celebrante le volga le spalle. Alla sede egli inizia e conclude la celebrazione (e il Vescovo dalla sede può talvolta proporre la stessa omelia); qui egli intona il Gloria e il Credo (che nel rito ambrosiano viene detto invece all’altare dopo i riti offertoriali), proclama le orazioni, presiede l’intera liturgia della Parola fino alla preghiera universale, ed esprime anche eventuali annunci (“avvisi”) dopo l’ultima orazione (e non prima).

  l’altare, la ‘mensa del pane’, il luogo del pasto sacrificale, chiaramente annunciato - anche con il canto - nel dialogo del prefazio. All’altare il presidente rimane fra la preparazione dei doni e la comunione: esso è riservato a lui, ai concelebranti, ai diaconi e ai pochi accolti; va da sé, perciò, che occorre guardarsi il più possibile da un certo ‘affollamento’ di persone che vanno alla e vengono dalla mensa eucaristica,  simbolo per eccellenza di Cristo e della sua presenza, o da un andirivieni sul presbiterio in maniera talvolta scomposta. Nel rito ambrosiano, suggestiva è la proclamazione, davanti all’altare, dell’annuncio settimanale della risurrezione all’inizio della Messa vigiliare del sabato. In celebrazioni particolari il celebrante si pone anche davanti all’altare, voltandogli le spalle: si pensi alla Veglia pasquale (per l’annuncio della risurrezione) e soprattutto alla celebrazione dell’Eucaristia con il Battesimo, la Confermazione e il Matrimonio.  

 l’ambone, riservato alla lettura della Parola, al salmo responsoriale e all’omelia; non agli “avvisi” a fine Messa e alla guida del canto; da esso si possono proporre le intenzione della preghiera universale e viene cantato il preconio pasquale. Luogo specifico per l’omelia è l’ambone, non l’altare; si sconsiglia l’omelia in prossimità dei fedeli, scendendo cioè davanti o in mezzo all’assemblea, magari in movimento con il microfono tra le mani.    

    

     Essere comunicativi

     Come dire: c’è modo e modo di “presiedere” dalla sede, dall’altare e dall’ambone, nel pregare per o con l’assemblea, nel parlarle, nel cantare ‘ad’ essa o ‘con’ essa, nel porgerle le mani o gli occhi. Occorre - si dice - essere comunicativi per ben presiedere: intenzione e desiderio legittimi e doverosi. Ciò richiede anzitutto dignità e  semplicità, senza forzature impicciate e senza disinvolture banali. La cura equilibrata dei singoli movimenti e delle diverse posture è di somma importanza: forse - per arrivarci - occorrono anni, in un rinnovato autocontrollo che porta alla ‘padronanza liturgica’ del proprio corpo.



     Essere calmi

     Come un sottofondo musicale, sembra di raccogliere sempre l’invito alla sobria e ‘nobile semplicità’ che deve caratterizzare ogni azione liturgica. Uno dei segreti per manifestarla e salvaguardarla è la calma, intesa prima di tutto come atteggiamento interiore che padroneggia il comportamento esteriore. 1) Essa deriva da una buona preparazione agli atti liturgici; 2) significa disporsi a celebrare senza fredda rigidità e senza precipitazione istintiva; 3) chiede naturalezza senza affettazione, ma anche senza indifferenza; 4) deve apparire già nell’accedere all’altare e poi in ogni spostamento sul presbiterio;  5) farà evitare la meccanicità nella pronuncia dei testi ‘propri’ (Orazioni, Prefazi, …) e specialmente ‘ordinari’ (Atto penitenziale, Gloria, …) nel compimento dei gesti rituali, per esempio i segni di croce, lo spezzare del pane, la distribuzione dell’ Eucaristia;  6) indurrà alla non sovrapposizione di “due cose fatte insieme” – come: dire “Preghiamo” o il dialogo del prefazio mentre si cerca il testo sul messale – svilendo così un gesto liturgico; 7) dalla calma saranno ‘spaziati’ e condotti anche i tempi di silenzio. 8) Ovviamente, ‘calma’ non significa ‘lentezza’ che pesi greve e indisponente. 9) Aggiungiamo un’osservazione circa il rapporto gesto-parola: non raramente i riti liturgici si svolgono nella concomitanza dell’uno con l’altra. Pensiamo non solo ai momenti processionali (all’ingresso, al vangelo, all’offertorio, alla comunione), ma anche ad atti come lo spezzare del pane, l’avvio della preghiera eucaristica, la ‘benedizione’ prima delle letture. Si dà il caso che, o i gesti vengano annullati (per esempio: il saluto e il dialogo con le mani appoggiate sull’altare), oppure che le parole  (dette o cantate) procedano ‘slegate’ (per esempio: lo spezzare del pane compiuto frettolosamente mentre l’acclamazione dell’Amen e il canto - Agnello di Dio, o altro testo nel rito ambrosiano - continuano con eccessiva lunghezza). Valga in genere sottolineare la massima: nella liturgia occorrono gesti che diano corpo alle parole e parole che diano senso ai gesti. Nel caso dell’accompagnamento musicale, ciò richiede un’attenta sintonia fra il gesto del celebrante e l’esecuzione del canto.         



     Essere cerimoniali

     In relazione a quanto detto sopra, ricordiamo ciò che si sente dire: «La nostra liturgia soffre attualmente di “deficit cerimoniale”». Probabilmente - almeno da parte dei più - non si tratta qui del rimpianto di cerimonie sfarzose, ma della constatazione di celebrazioni non sufficientemente curate, per mancanza di un giusto interesse, di un gusto celebrativo, o per trascuratezza di coloro che ne sono i responsabili: gli animatori e, ‘in primis’, i celebranti presidenti di assemblea. Ormai quasi 50 anni di riforma liturgica ci inducono a un esame di coscienza: chi partecipa alla liturgia nella navata non ha e non sente il bisogno di ’rifiniture’ comportamentali liturgiche in ciò che si compie e avviene sul presbiterio? Una domanda opportuna, una seria preoccupazione e di conseguenza un buon lavoro per i nostri gruppi liturgici, in sinergia con i loro presbiteri.



     Se la mistagogia è una costante della vita cristiana, essendo ingresso progressivo nel mistero, sempre nuovo e sempre più profondo, qualcuno ha il compito specifico di “guida”: non fa parte anche questo della presidenza dell’assemblea? Si tratta, alla fine, di essere docili all’azione dello Spirito santo, perché «chi anima la liturgia è innanzi tutto lo Spirito! È lui che ne costituisce il respiro vitale. I membri dell’équipe liturgica e altri, come gli animatori dei canti, devono considerarsi suoi collaboratori, a lui associati e affiancati, e non suoi sostituti!» (P. De Clerck, “Liturgia viva”, Edizioni Qiqajon).    

Don Giancarlo Boretti

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