Con una presentazione generica ma significativa,
Plinio il Giovane (inizio II sec.) così definiva i primi cristiani: «Coloro che
usano radunarsi in un giorno determinato». Come a quel “giorno determinato” vi
si preparassero, non ci è dato di conoscerlo; quello però era il loro “Giorno”,
il “Giorno dopo il sabato”, con il quale, celebrando il Signore risorto, hanno
dato il via all’anno liturgico nel suo nucleo primordiale: la Domenica. Il cuore del “Giorno
del Signore” era ed è la celebrazione dell’Eucaristia. Ci domandiamo, oggi, come dobbiamo arrivarci.
Intenzionalmente il titolo di questa chiacchierata (non “prepariamo” bensì
“prepariamoci”) vuole indicare una preparazione che va oltre le “cose” da fare:
sono le “persone” che devono innanzi tutto predisporre se stesse, mentre
predispongono tutto il necessario per una celebrazione degna del Dies Domini e, in esso, dell’Eucaristia.
Preparare se stessi: è rendersi più pronti ad entrare in una nuova settimana,
con il giorno di cui “non poter fare a meno” (come dissero i cristiani martiri
di Abitene) e che apre un avvenire settimanale verso l’“ottavo giorno” intramontabile
della Vita-del-mondo-che-verrà.
Don Giancarlo Boretti
1. Questa preparazione
personale richiede alcuni ‘segni’
che la sollecitino: per esempio, nelle comunità in cui ciò è possibile, uno
scampanio più festoso del solito poco prima dell’inizio della Messa serale
festiva (da non chiamarsi più Messa “prefestiva”); raccomandabile è anche
qualche gesto in famiglia (preghiera, immagine, oggetto) in grado di ‘aprire i
cuori’ al Signore che viene. Utile, soprattutto, è la meditazione dei testi
della celebrazione eucaristica (letture, orazioni, canti), che ponga lo spirito
in movimento verso il loro messaggio. Maggiormente impegnati in quest’ultima
preparazione sono i lettori e gli operatori pastorali chiamati alla
proclamazione dei testi o all’animazione dei canti nelle assemblee. Quanto ai
“foglietti” della Messa: cosa saggia parrebbe il fare di essi meno uso durante
la celebrazione festiva e il farne più uso come preparazione personale. Sembra
di chiedere troppo, di sabato, ai
cristiani-fedeli, dediti alle provviste nei supermercati! Un ‘troppo’ che non è
tale, se si pensa che alcuni questa preparazione la mettono in atto negli altri
giorni feriali.
2. I
giorni (o le settimane) che precedono la domenica e le feste sono da dedicarsi
con diligenza accurata alla preparazione remota delle
celebrazioni. Un giorno ovviamente non basta. È necessario che si pensi alle ‘cose’
da fare; ma non solo. Ci deve essere innanzi tutto un clima da vivere. Specialmente negli operatori pastorali e animatori
liturgici, la fatica del ‘fare’ deve essere accompagnato dalla gioia della
‘festa’. Che il senso della festa si sia perduto - o lo si stia sempre più compromettendo
- lo si percepisce da diversi comportamenti che potremmo chiamare ‘vigiliari’:
la mobilità che richiede anche lunghe ore di viaggio; la corsa agli acquisti
sempre più diffusa; il ‘riposo’ stesso dedicato al ‘dormire’ durante l’intera
mattinata festiva; anche l’abbigliamento ormai non distinto da quello ‘feriale’.
Se la ‘festa’, come tale, perde il suo vigore e il suo richiamo (soprattutto
religioso), la ‘vigilia’ non si apre con attrattiva gioiosa sul ‘giorno bello
che viene’. I preparativi liturgici e pastorali in genere hanno bisogno del
clima festoso, anche nella fatica di un programma da precisare, di una
iniziativa da attuare, di una serie di canti da predisporre, di una preghiera
dei fedeli o di una omelia da preparare. I preparativi della festa sono già
festa. Diceva un umorista: «Il giorno più bello della mia vita: la vigilia!».
La “Messa vigiliare”, nel rito ambrosiano - a ben pensarci - vuole alimentare
efficacemente anche questo clima festoso. Ancor più meritevole di citazione è
un ben noto liturgista-musicista, di cui riportiamo le parole conclusive del
pregevole libro “Le assemblee liturgiche” (Elledici): «Se siamo ricolmi
dell’attesa del giorno nuziale, oseremo compiere i nostri riti: poveri o ricchi,
sobri o sontuosi, con persone semplici o colte, con peccatori e santi, fra
poche persone o in mezzo a una folla. Poco importa che la nostra liturgia sia
il profumo molto costoso che Maria ha profuso, o il minuscolo obolo della
vedova povera, purché facciamo anche noi parte di coloro che verranno
introdotti nella sala delle nozze…» (J. Gélineau).
A mettersi all’opera, durante il tempo ‘vigiliare’, è il
gruppo liturgico; esso valuterà prima tutto quale rito o gesto sarà opportuno mettere
in risalto: aspersione con l’acqua benedetta in tempo quaresimale, collocazione
del cero pasquale che esalti il tema della luce durante la cinquantina della
Pasqua, presentazione delle offerte in una domenica che richiami specificamente
la solidarietà, una serie di canti da alternare nei tempi forti o in un certo
periodo dell’anno, l’impegno della stesura della preghiera dei fedeli,
l’affidamento tempestivo all’organista degli spartiti per l’esecuzione dei
canti. È bene che la programmazione avvenga con largo respiro di tempo, non
addossando tutto al sabato le scelte liturgiche col rischio della
improvvisazione e degli imprevisti. Regola d’oro è sicuramente la concertazione: lavorare insieme è dovere,
e garanzia di una riuscita migliore.
3. La preparazione
prossima ha la cura di tutti i
particolari celebrativi: oltre le sedie e i banchi, l’ornamento floreale, l’acqua
benedetta nelle acquasantiere, i libretti ed altri sussidi al loro posto, tutto
l’occorrente per la celebrazione eucaristica (non esclusi la chiave del tabernacolo
e il messale con i segnalibri alle pagine giuste!); ma anche gli accordi fra
sacerdote celebrante e animatori (pure riguardanti i canti scelti o da
scegliere), fra direttore di coro, organista e cantori-guida (per la chiarezza
e la sicurezza, ad esempio, delle diverse intonazioni); eccetera. Vi sono dimenticanze
che creano talvolta scompiglio sul presbiterio, o sono comunque di disturbo
alla scorrevolezza dello svolgimento della celebrazione e alla trasmissione dei
suoi messaggi. Quanto ai minuti precedenti l’inizio dell’azione liturgica, non
è chi non riconosca l’importanza di qualche piccola ‘prova’ (canti, avvisi,
richiami) e il ruolo dell’organista, o di altro strumentista, che sappia creare
un buon ‘clima di passaggio’. Il pensare facilmente che già tutto sia pronto per
la celebrazione comporta anche degli inconvenienti imprevedibili: gioverà
sempre una certa dose di scrupolosità.
E poi…, ecco una interessante, oltre che poetica,
variazione sul tema dell’avvenuta preparazione: «Entriamo dunque nella
liturgia, partecipanti o officianti, dopo aver tutto preparato per il meglio,
le cose e il cuore, abbandonandoci senza resistenze all’azione dello Spirito.
Ci siamo occupati personalmente di addobbare la sala e abbiamo curato il pranzo
di nozze, il vestito della sposa, la musica e i regali. Ma quando arriva il
momento della festa, ciò che più importa non è che tutto si svolga come
previsto, ma che la fidanzata-chiesa discenda ora dal cielo. Abbiamo teso le
corde della lira. Sono però le dita dello Spirito che la suonano. L’importante
è ciò che avviene nel cuore di ciascuno: conversione o conferma, rimorsi o
azioni di grazie, interrogativi o illuminazioni, e questa gioia, che nulla e
nessuno possono portarci via» (J. Gélineau).
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