Or
sono molti anni fa, nel 1877, in una piccola parrocchia lombarda venne
costituita la «Società dei dilettanti di canto sacro», sotto l’immediata
direzione del Parroco a cui i membri dovevano prestare obbedienza: nessuno
poteva essere ricevuto nella Società senza la sua previa approvazione. Ecco uno
stralcio del regolamento: «Tutti i membri della Società sono tenuti a
intervenire ogni volta, così alla istruzione
come al canto in Chiesa o in processione, fuori del caso di malattia o
di assenza dal paese per lavoro. Siccome troppo disdirebbe che un Cristiano, il
quale ambisce di lodare Dio in Chiesa lo disonorasse poi fuori Chiesa, perciò i
membri della società si obbligano in modo speciale a schivare il vizio della
bestemmia (…), osservando le regole adottate dall’Associazione Cattolica contro
la bestemmia». Udite poi quanto segue: «Ogni socio paga: a) All’atto di entrare
nella Società L. 1; b) Per ogni giorno festivo di precetto, se adulto Centesimi
10, se fanciullo Cent. 5. Ogni socio che manca all’istruzione pagherà ogni
volta Centesimi 15; mancando di intervenire al canto in Chiesa L. 1. I ragazzi
pagheranno la metà. (…) È in potere del Parroco licenziare ed escludere dalla
Società qualunque socio che con una condotta cattiva se ne rendesse indegno».
Si suol dire: “Altri tempi!», ma è bene ritornarci per guardare con occhi
giusti ad una realtà importante come il coro, piccolo o grande che sia, al
servizio della partecipazione alle celebrazioni e della liturgia; di una liturgia “bella”, come? «Una
liturgia bella non può essere definita - come sovente si pensa - “una bella
funzione”, ma deve essere compresa come liturgia munita di quella bellezza che
fa apparire la grazia di Dio. Una liturgia munita di bellezza non va a cercare
aggiunte, decorazioni, ornamenti, pizzi da noi apposti, non si nutre di fasto,
né abbisogna di ieraticità: (…) la bellezza della liturgia è quella di azioni,
di gesti ‘umanissimi’, ‘reali’, strappati alla banalità, alla routine e resi
eloquenti, carichi di significato; è la bellezza della materia chiamata,
convocata a una trasfigurazione» (E. Bianchi). Quale il contributo del Coro a
questa liturgia “bella”?
Dalla lettera a un Parroco …
Carissimo,
alcuni confratelli mi hanno espresso qualche
“dissapore” e “difficoltà” esistenti fra loro e i loro cantori, componenti la
corale degli adulti e/ il coretto dei ragazzi e dei giovani. Nelle loro parole
sento disagio e amarezza, il senso di un desiderio giusto ma irrealizzabile:
«Vorrei che la mia Schola cantorum cantasse animando l’assemblea, e invece…»;
«Il coretto e il ‘complessino’ vanno per la loro strada, senza trascinare la
gente e lasciando muti i ragazzi stessi»; «Certi canti mi sembrano inadatti
alla liturgia o estranei al momento rituale, ma il direttore del coro o il
gruppo di animazione…»; «Gli adulti dovrebbero collaborare con i giovani, e
viceversa, nella scelta del repertorio: purtroppo c’è una netta separazione»; «Perché
giovani e adulti escludono dalle loro Messe i canti “tradizionali” o quelli
“giovanili”? La celebrazione eucaristica è ‘dei’ giovani o ‘degli’ adulti? È
celebrare “ecclesialmente” questo?». Al punto di rinunciare a cambiare le cose
in meglio e di lasciare che musica e liturgia ristagnino in acque non punto
chiare e fresche. Allora, con i suggerimenti di uno di questi confratelli
Parroci, ho steso una mininota musicale-liturgica, perché laici e preti la
leggano magari insieme, e insieme decidano dei passi da compiere ‘ad meliora’.
Sarei lieto se questa noticina seguente ti fosse di qualche utilità. Ci possono
servire, quasi prefazione, le parole del Card. Dionigi Tettamanzi, stralciate
da «La vita spirituale del prete» (Ed. Piemme) nel capitolo dedicato alla
liturgia (“Rilanciare la centralità della liturgia”): «Il rischio che
facilmente corriamo è dar vita a liturgie improvvisate e stanche, a liturgie
gridate dall’inizio alla fine, a liturgie ripetitive e monotone, senza un
minimo di sforzo per un’appropriata creatività. Le nostre liturgie fanno
percepire il senso di Dio, aprono veramente al suo mistero, sanno far amare il
silenzio e la preghiera, introducono alla contemplazione del volto di Dio e
della sua santità che infonde timore e fascino? Quali passi nell’educazione
alla fede autentica e profonda provocano le nostre liturgie? E quale immagine
di Chiesa offrono a quanti sporadicamente vi partecipano?».
… Ad alcuni
suggerimenti
♦ Non è da darsi
come scontata la convinzione che nelle
celebrazioni liturgiche si deve accordare molta importanza al canto (il quale, «unito alle parole, è parte necessaria e integrante della Liturgia
solenne» - “Sacrosanctum Concilium”, n. 112), tenendo conto delle diversità
oltre che delle capacità dei partecipanti, delle singole persone e dei gruppi.
♦ È necessario, quindi, promuovere permanentemente l’educazione musicale e liturgica delle
nostre assemblee (parrocchiali e non). In particolare devono essere educati
alla liturgia, al canto, alla musica in genere coloro che sono chiamati e si
impegnano come animatori,
specialmente i membri delle Scholae
cantorum e dei piccoli gruppi corali.
♦ A comporre in armonioso
equilibrio liturgia e musica, assemblea e coro, contribuisce
necessariamente la consapevolezza della natura
ministeriale della musica, con la coerenza fra canto e rito, fra musica e
testo.
♦ Lo scopo del
servizio del coro nelle celebrazioni liturgiche è quello di cantare e di far cantare la fede cristiana; non quello di esibire le proprie
abilità musicali e i brani del proprio repertorio (con o senza i mezzi
audiovisivi). I cantori, perciò, sono chiamati primariamente a professare la fede nella liturgia e ad
aiutare il popolo di Dio a professarla comunitariamente.
♦ Affinché la Schola cantorum sia a servizio della partecipazione liturgica di tutta l’assemblea, occorre ricordare e attuare alcuni punti fermi.
1. Nella scelta
dei canti e dei brani strumentali si abbia di mira, innanzitutto, la gloria di Dio: ogni azione liturgica è
ordinata al “rendimento di grazie” insieme alla “edificazione dei fedeli”.
2. Si curino la formazione liturgica e la competenza musicale dei direttori di
coro, dei coristi, dei salmisti, delle guide del canto, degli organisti e altri
strumentisti: ciò avvenga mediante incontri periodici e scuole permanenti a
diversi livelli formativi.
3. Si incrementi
l’uso della raccolta di canti appositamente preparata dalla Diocesi. Il repertorio diocesano sia punto di
riferimento per la scelta dei canti secondo i criteri della dignità testuale,
della pertinenza teologica, della ritualità liturgica e della cantabilità
popolare.
4. Mai si
dimentichi che nella liturgia il coro ha una duplice funzione: quella di proporre all’ascolto dei fedeli canti
propri e quella di sostenere
nell’esecuzione i canti di tutta l’assemblea.
5. Consapevoli
di questi due ruoli ministeriali, i cantori non si limiteranno a prestare la loro opera soltanto nelle grandi
solennità o feste, ma il più possibile anche nelle domeniche ‘comuni’,
nelle celebrazioni dei sacramenti (oltre la Messa), della Liturgia delle ore,
dei pii esercizi, della Parola. Ciò sarà fatto da loro o tutti insieme (come
coro al completo) o a gruppi (alternandosi a turno), ed anche dai singoli
cantori in qualità di guide dell’assemblea, in assenza della Schola.
6. Per
l’efficace e il corretto servizio del coro
è necessario che la sua collocazione,
per quanto possibile, faccia da cerniera tra il presbiterio e la navata, così
da favorire sia il proprio ruolo di proposta-guida che la partecipazione stessa
dei cantori alla preghiera liturgica, dando il ‘segno’ della loro appartenenza
all’unico popolo di Dio.
7. Nella
eventualità della presenza in parrocchia di più cori - per esempio: la Schola
cantorum degli adulti e il coretto dei giovani o dei ragazzi -, essi devono
concertare una cordiale collaborazione
con la disponibilità ad animare (l’una o l’altro, oppure insieme) le
celebrazioni sia degli adulti che dei fanciulli, ragazzi e giovani, in uno
stile di familiare comunione. Il ministero del coro, grande o piccolo, deve
porsi a sostegno della partecipazione al canto sia dei meno giovani che dei più
giovani, senza esclusioni di principio o di fatto nella scelta del genere
musicale più o meno consono agli uni o agli altri. Una specie di
contrapposizione fra “Messe degli adulti” (con canti solamente ‘tradizionali’)
e “Messe per i ragazzi” (con canti solamente ‘giovanili’) contraddice la
sapienza celebrativa, ma anche la pastorale liturgica e perfino la comunione
ecclesiale. Perciò, in una medesima celebrazione il coro ‘adulto’ deve
sostenere anche i canti ‘giovanili’ (se nell’assemblea vi sono giovani e
ragazzi) e il coro ‘giovanile’ deve eseguire anche canti ‘tradizionali’ (se
alla liturgia partecipano degli adulti).
8. Direttori di
coro, coristi e strumentisti operino in stretta comunione con il parroco, con il responsabile delle celebrazioni,
con i sacerdoti presidenti e con il gruppo liturgico nella scelta, nella
programmazione e nella esecuzione dei canti: mai queste tre operazioni devono
svolgersi per iniziativa di un solo animatore, spesso univoca e arbitraria. La
comunità cristiana è una nave da guidare sul mare e sotto il sole dell’«opus
Dei», la liturgia. Gli animatori siano come i gabbiani che indicano la rotta.
La raccomandazione
di S. Ignazio d’Antiochia ai presbiteri del suo tempo, nella «Lettera agli
Efesini», perché operino “in perfetta armonia” con il volere del loro vescovo,
mi permetto di ricordarli a sostegno della buona armonia fra coro, sacerdoti e
assemblea: «Il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così
armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo
nell’accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore
fraterno, s’innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell’armonia della concordia
e all’unisono con il tono di Dio per
mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà… ».
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