Tomás H. Jerez

domingo, 27 de noviembre de 2011

CELEBRANDO COL CORO

     Or sono molti anni fa, nel 1877, in una piccola parrocchia lombarda venne costituita la «Società dei dilettanti di canto sacro», sotto l’immediata direzione del Parroco a cui i membri dovevano prestare obbedienza: nessuno poteva essere ricevuto nella Società senza la sua previa approvazione. Ecco uno stralcio del regolamento: «Tutti i membri della Società sono tenuti a intervenire ogni volta, così alla istruzione  come al canto in Chiesa o in processione, fuori del caso di malattia o di assenza dal paese per lavoro. Siccome troppo disdirebbe che un Cristiano, il quale ambisce di lodare Dio in Chiesa lo disonorasse poi fuori Chiesa, perciò i membri della società si obbligano in modo speciale a schivare il vizio della bestemmia (…), osservando le regole adottate dall’Associazione Cattolica contro la bestemmia». Udite poi quanto segue: «Ogni socio paga: a) All’atto di entrare nella Società L. 1; b) Per ogni giorno festivo di precetto, se adulto Centesimi 10, se fanciullo Cent. 5. Ogni socio che manca all’istruzione pagherà ogni volta Centesimi 15; mancando di intervenire al canto in Chiesa L. 1. I ragazzi pagheranno la metà. (…) È in potere del Parroco licenziare ed escludere dalla Società qualunque socio che con una condotta cattiva se ne rendesse indegno». Si suol dire: “Altri tempi!», ma è bene ritornarci per guardare con occhi giusti ad una realtà importante come il coro, piccolo o grande che sia, al servizio della partecipazione alle celebrazioni e della liturgia; di una liturgia “bella”, come? «Una liturgia bella non può essere definita - come sovente si pensa - “una bella funzione”, ma deve essere compresa come liturgia munita di quella bellezza che fa apparire la grazia di Dio. Una liturgia munita di bellezza non va a cercare aggiunte, decorazioni, ornamenti, pizzi da noi apposti, non si nutre di fasto, né abbisogna di ieraticità: (…) la bellezza della liturgia è quella di azioni, di gesti ‘umanissimi’, ‘reali’, strappati alla banalità, alla routine e resi eloquenti, carichi di significato; è la bellezza della materia chiamata, convocata a una trasfigurazione» (E. Bianchi). Quale il contributo del Coro a questa liturgia “bella”?




     Dalla lettera a un Parroco …

     Carissimo,

alcuni confratelli mi hanno espresso qualche “dissapore” e “difficoltà” esistenti fra loro e i loro cantori, componenti la corale degli adulti e/ il coretto dei ragazzi e dei giovani. Nelle loro parole sento disagio e amarezza, il senso di un desiderio giusto ma irrealizzabile: «Vorrei che la mia Schola cantorum cantasse animando l’assemblea, e invece…»; «Il coretto e il ‘complessino’ vanno per la loro strada, senza trascinare la gente e lasciando muti i ragazzi stessi»; «Certi canti mi sembrano inadatti alla liturgia o estranei al momento rituale, ma il direttore del coro o il gruppo di animazione…»; «Gli adulti dovrebbero collaborare con i giovani, e viceversa, nella scelta del repertorio: purtroppo c’è una netta separazione»; «Perché giovani e adulti escludono dalle loro Messe i canti “tradizionali” o quelli “giovanili”? La celebrazione eucaristica è ‘dei’ giovani o ‘degli’ adulti? È celebrare “ecclesialmente” questo?». Al punto di rinunciare a cambiare le cose in meglio e di lasciare che musica e liturgia ristagnino in acque non punto chiare e fresche. Allora, con i suggerimenti di uno di questi confratelli Parroci, ho steso una mininota musicale-liturgica, perché laici e preti la leggano magari insieme, e insieme decidano dei passi da compiere ‘ad meliora’. Sarei lieto se questa noticina seguente ti fosse di qualche utilità. Ci possono servire, quasi prefazione, le parole del Card. Dionigi Tettamanzi, stralciate da «La vita spirituale del prete» (Ed. Piemme) nel capitolo dedicato alla liturgia (“Rilanciare la centralità della liturgia”): «Il rischio che facilmente corriamo è dar vita a liturgie improvvisate e stanche, a liturgie gridate dall’inizio alla fine, a liturgie ripetitive e monotone, senza un minimo di sforzo per un’appropriata creatività. Le nostre liturgie fanno percepire il senso di Dio, aprono veramente al suo mistero, sanno far amare il silenzio e la preghiera, introducono alla contemplazione del volto di Dio e della sua santità che infonde timore e fascino? Quali passi nell’educazione alla fede autentica e profonda provocano le nostre liturgie? E quale immagine di Chiesa offrono a quanti sporadicamente vi partecipano?».



      Ad alcuni suggerimenti

  Non è da darsi come scontata  la convinzione che nelle celebrazioni liturgiche si deve accordare molta importanza al canto (il quale, «unito alle parole, è parte necessaria e integrante della Liturgia solenne» - “Sacrosanctum Concilium”, n. 112), tenendo conto delle diversità oltre che delle capacità dei partecipanti, delle singole persone e dei gruppi.

     È necessario, quindi, promuovere permanentemente l’educazione musicale e liturgica delle nostre assemblee (parrocchiali e non). In particolare devono essere educati alla liturgia, al canto, alla musica in genere coloro che sono chiamati e si impegnano come animatori, specialmente i membri delle Scholae cantorum e dei piccoli gruppi corali.

     A comporre in armonioso equilibrio liturgia e musica, assemblea e coro, contribuisce necessariamente la consapevolezza della natura ministeriale della musica, con la coerenza fra canto e rito, fra musica e testo.

       Lo scopo del servizio del coro nelle celebrazioni liturgiche è quello di cantare e di far cantare la fede cristiana; non quello di esibire le proprie abilità musicali e i brani del proprio repertorio (con o senza i mezzi audiovisivi). I cantori, perciò, sono chiamati primariamente a professare la fede nella liturgia e ad aiutare il popolo di Dio a professarla comunitariamente.

     Affinché la Schola cantorum sia a servizio della partecipazione liturgica di tutta l’assemblea, occorre ricordare e attuare alcuni punti fermi.

1.  Nella scelta dei canti e dei brani strumentali si abbia di mira, innanzitutto, la gloria di Dio: ogni azione liturgica è ordinata al “rendimento di grazie” insieme alla “edificazione dei fedeli”.

2.  Si curino la formazione liturgica e la competenza musicale dei direttori di coro, dei coristi, dei salmisti, delle guide del canto, degli organisti e altri strumentisti: ciò avvenga mediante incontri periodici e scuole permanenti a diversi livelli formativi.

3.  Si incrementi l’uso della raccolta di canti appositamente preparata dalla Diocesi. Il repertorio diocesano sia punto di riferimento per la scelta dei canti secondo i criteri della dignità testuale, della pertinenza teologica, della ritualità liturgica e della cantabilità popolare.

4.  Mai si dimentichi che nella liturgia il coro ha una duplice funzione: quella di proporre all’ascolto dei fedeli canti propri e quella di sostenere nell’esecuzione i canti di tutta l’assemblea.

5.  Consapevoli di questi due ruoli ministeriali, i cantori non si limiteranno a prestare la loro opera soltanto nelle grandi solennità o feste, ma il più possibile anche nelle domeniche ‘comuni’, nelle celebrazioni dei sacramenti (oltre la Messa), della Liturgia delle ore, dei pii esercizi, della Parola. Ciò sarà fatto da loro o tutti insieme (come coro al completo) o a gruppi (alternandosi a turno), ed anche dai singoli cantori in qualità di guide dell’assemblea, in assenza della Schola.

6.  Per l’efficace e il corretto servizio del coro è necessario che la sua collocazione, per quanto possibile, faccia da cerniera tra il presbiterio e la navata, così da favorire sia il proprio ruolo di proposta-guida che la partecipazione stessa dei cantori alla preghiera liturgica, dando il ‘segno’ della loro appartenenza all’unico popolo di Dio.

7.  Nella eventualità della presenza in parrocchia di più cori - per esempio: la Schola cantorum degli adulti e il coretto dei giovani o dei ragazzi -, essi devono concertare una cordiale collaborazione con la disponibilità ad animare (l’una o l’altro, oppure insieme) le celebrazioni sia degli adulti che dei fanciulli, ragazzi e giovani, in uno stile di familiare comunione. Il ministero del coro, grande o piccolo, deve porsi a sostegno della partecipazione al canto sia dei meno giovani che dei più giovani, senza esclusioni di principio o di fatto nella scelta del genere musicale più o meno consono agli uni o agli altri. Una specie di contrapposizione fra “Messe degli adulti” (con canti solamente ‘tradizionali’) e “Messe per i ragazzi” (con canti solamente ‘giovanili’) contraddice la sapienza celebrativa, ma anche la pastorale liturgica e perfino la comunione ecclesiale. Perciò, in una medesima celebrazione il coro ‘adulto’ deve sostenere anche i canti ‘giovanili’ (se nell’assemblea vi sono giovani e ragazzi) e il coro ‘giovanile’ deve eseguire anche canti ‘tradizionali’ (se alla liturgia partecipano degli adulti).

8.  Direttori di coro, coristi e strumentisti operino in stretta comunione con il parroco, con il responsabile delle celebrazioni, con i sacerdoti presidenti e con il gruppo liturgico nella scelta, nella programmazione e nella esecuzione dei canti: mai queste tre operazioni devono svolgersi per iniziativa di un solo animatore, spesso univoca e arbitraria. La comunità cristiana è una nave da guidare sul mare e sotto il sole dell’«opus Dei», la liturgia. Gli animatori siano come i gabbiani che indicano la rotta.



     La raccomandazione di S. Ignazio d’Antiochia ai presbiteri del suo tempo, nella «Lettera agli Efesini», perché operino “in perfetta armonia” con il volere del loro vescovo, mi permetto di ricordarli a sostegno della buona armonia fra coro, sacerdoti e assemblea: «Il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo nell’accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s’innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell’armonia della concordia e all’unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà… ».


Don Giancarlo Boretti

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