Tomás H. Jerez

domingo, 27 de noviembre de 2011

CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA

      «Nella nostra liturgia la parte di Cristo è così talmente reale, viva, presente e preponderante che, in fondo, non vi è nel mondo che un unico liturgo: Cristo, e un’unica liturgia: quella di Cristo (C. Vagaggini). È un’affermazione lapidaria che ci rimanda al rito liturgico attraverso il quale passa l’azione dell’“unico liturgo”. La domenica è il giorno che accoglie l’Eucaristia, il rito liturgico per eccellenza. Perciò, come già altri hanno fatto, anche noi osiamo proporre un decalogo per l’animazione della Messa della domenica. L’Eucaristia celebrata offre una varietà di elementi che hanno sempre bisogno di essere meglio compresi e di essere fatti comprendere, a partire da una saggia programmazione: annuncio, parola, musica, gesti e movimenti, sussidi e decorazioni come collegarli armonicamente e ‘realizzarli’ in autenticità liturgica? Possiamo evidenziare dieci attenzioni o atteggiamenti, da curare e da verificare con quel «rinnovato coraggio pastorale» di cui parlava Giovanni Paolo II.


     Educare alla celebrazione (all’“arte del celebrare”) interpella sia chi presiede l’assemblea sia coloro che la compongono. Per tutti permangono ogni volta quasi l’ ‘avventura’ e certamente il dono della partecipazione al mistero di Dio nel suo massimo donarsi all’uomo: un traguardo da raggiungere o a cui avvicinarsi il più possibile. Ed è in questa ottica, pertanto, che si possono individuare alcuni percorsi che facilitino il grande incontro, attraverso la pluralità dei linguaggi presenti nella celebrazione cristiana.



1     Accogliere con benevolenza

       Nel celebrare, l’esperienza della Trinità può essere introdotta positivamente anche da gesti di accoglienza. Entrare in una casa e non sentirsi accolti è quasi avvertire un rifiuto, comunque una freddezza imbarazzante. E l’accoglienza nella casa del Signore? La gestualità dell’accoglienza - da collocare nell’ottica dei linguaggi liturgici che costituiscono un antidoto alla dispersione e al ‘grigio quotidiano’ - non si limita a un’eventuale stretta di mano alla porta della chiesa, alla distribuzione dei sussidi, e neppure al breve rito iniziale; essa deve tradursi in uno stile ‘accogliente’ da mantenere durante tutta la celebrazione (parole, gesti, sguardo), che faccia sentire  ciascun partecipante a proprio agio e come a casa propria: non è di poca importanza un clima giusto che manifesti la ‘famiglia’ di Dio, unita con lui nel servizio e nella gioia.



2    Comunicare con i simboli

       Viviamo immersi nei simboli; comunichiamo con un linguaggio simbolico anche quando meno ce ne accorgiamo (lo stesso comunissimo saluto «Ciao!», come ogni simbolo, può avere una pluralità di significati). Nella liturgia, che si esprime con un insieme di linguaggi, il ‘simbolico’ è ciò che unisce (syn-ballo) il quotidiano con il soprannaturale e viceversa; questo per realizzare la comunione Dio-uomo e uomo-Dio costantemente annunciata e coltivata. In particolare l’operatore pastorale deve rispondere alla domanda: qual è il percorso da compiere e le cose migliori da fare per una riappropriazione e per una comprensione più piena del linguaggio simbolico? Dai simboli del quotidiano a quelli della liturgia, tornando poi al quotidiano (o viceversa, partendo dalla liturgia): è un cerchio pedagogico che fa leggere in profondità il vivere di ogni giorno, in un’ottica storico-salvifica. Per concretezza: una processione con l’evangeliario, l’accensione di un lume, una elevazione delle mani o delle offerte, l’uso dell’incenso, un segnale acustico o musicale con quale dignità e ‘intensità’ avvengono, sono seguiti e percepiti? E perché non valorizzare maggiormente anche le luci, i colori, i profumi? La liturgia può essere - ed è bene che sia - accompagnata da questi ‘segni’ che richiamano la Presenza, un momento rituale, un tempo liturgico.   



3    Arredare con gusto

       Il cristiano anzitutto ha bisogno di trovarsi bene nell’edificio liturgico, per sperimentare la sacralità di esperienze spirituali, al di fuori del trambusto giornaliero. In tal senso è doveroso porre l’interrogativo: si può dire che in ogni comunità ecclesiale l’arredo sacro è gestito in modo da contribuire all’efficacia e all’unitarietà del linguaggio iconografico? Statue, dipinti, fiori, tappeti, tovaglie, vasi, candelieri, scritte, abiti liturgici, ecc. hanno un ruolo rilevante nell’insieme del vissuto religioso. Quando sono difettosi, si nota che il discorso iconografico nella sua valenza è approssimativo, viene interrotto o non fa che recare disturbo; e questo non facilita certo la partecipazione liturgica. Quando invece si entra in un edificio in cui tutto risponde a una distribuzione ordinata e a un percepibile bellezza, ci si sente subito avvinti da un clima di religiosità e di preghiera, grazie pure alla dimensione simbolica. Anche questa “armonia” fa parte di una quotidiana pedagogia delle comunità cristiane.



4    Animare con competenza

       Il ruolo dell’animazione non si improvvisa. Esso richiede in chi lo gestisce un’anima (competenza) per dare anima (vitalità) alle azioni sacre, la cui routine rischia di livellare anche i momenti più rilevanti. È questo il motivo per cui nella liturgia si richiede la figura dell’animatore, in genere e musicale in specie, affinché le celebrazioni del mistero siano il più possibile vissute dai fedeli. Ma l’animazione non si può affidare a chiunque (come quando si invita all’ambone per la lettura una persona qualsiasi presente in assemblea). Un’animazione improvvisata e scorretta abbassa il tono e il clima della celebrazione. Al contrario, un’animazione ben gestita nei contenuti, nel comportamento, nel tono della voce ed anche nello sguardo favorisce l’esperienza spirituale mediata dai riti liturgici. L’obiettivo è sempre costituito dal primato della vita interiore e della santità: quando tale obiettivo venisse abitualmente compromesso da una animazione carente (o da una inanimazione), non c’è da meravigliarsi che perfino gli stessi progetti pastorali vadano incontro al fallimento e lascino in cuore un senso di frustrazione. Tanta è la forza dell’animazione liturgica? Gli animatori liturgici possono (addirittura) aprire o chiudere i cuori degli uomini e le porte di Dio?



5    Ascoltare con disponibilità

       Certamente sono stati fatti passi in avanti nell’ascolto assiduo e nella lettura meditata della Sacra Scrittura, da quando il Concilio Vaticano II ha sottolineato il ruolo preminente della parola di Dio nella Chiesa; per la Parola è cresciuto l’onore che essa merita nella preghiera pubblica. Questa constatazione sollecita ad una sempre maggiore consapevolezza dell’importanza di una partecipazione piena alla liturgia della parola nell’Eucaristia domenicale. È qui infatti che si attua la prima e autentica “lectio divina” con la Parola che interpella, orienta e plasma la nostra esistenza; qui il fedele si affida alla preghiera dei salmi, fra cui grande importanza ha il salmo responsoriale (che merita una ‘celebrazione’ musicalmente più evidenziata). La comunione nel popolo di Dio va continuamente alimentata col nutrimento alla mensa della Parola e del Pane. Un cenno vada all’ascolto delle orazioni, dei prefazi, delle preghiere eucaristiche: essendo queste ‘parole’ affidate al celebrante che presiede e che prega a nome dell’assemblea, i fedeli le dovrebbero ascoltare senza leggerle sui foglietti o sui loro messalini; ma chi le ‘proclama’ occorre che proferisca i testi con la migliore espressività vocale possibile (con «una proclamazione dignitosa, a voce alta e chiara» - dicono le Premesse del Messale), così da favorire l’ascolto e ‘invogliare’ all’ascolto i membri dell’assemblea.



6    Cantare con gioia

       Nella liturgia il canto (e  la musica in genere) è parte eminente della celebrazione perché è «segno della gioia del cuore» - dicono ancore le Premesse del Messale. Se è abbastanza pacifico dichiararlo, non è normale il rilevarlo in tutte le celebrazioni! Cantare la fede implica sottolineare i momenti rituali con un linguaggio musicale adeguato, e fare in modo che ciò che si canta, e come si canta, sia a servizio della celebrazione e non della musica; e neppure a servizio di un ‘piacere’ nel cantare e nel fare musica che risponde unicamente ai gusti degli animatori e degli esecutori. L’emotività musicale, non trascurabile, deve assoggettarsi alla realtà celebrativa in atto: la gioia deve nascere dall’accoglienza e dall’adesione al mistero celebrato. In ogni caso, la musica dia sempre la precedenza al testo: è questo che di frequente non ha rapporto con la Parola di Dio, con il rito o con il tempo liturgico. La giusta integrazione fra musica e liturgia è possibile nella misura in cui esecutori e compositori hanno familiarità con la Scrittura e con i riti liturgici. Vale la pena, poi, ricordare che l’esperienza di oltre un millennio di ‘musica sacra’ (si pensi al canto gregoriano e ambrosiano) è quanto mai emblematica nel testimoniare che questa integrazione è raggiungibile ed è pure capace di elaborare cultura nella storia.



7    Presiedere con dignità

       Osiamo dire che il grado di partecipazione dell’assemblea dipende in larga misura dal ministero della presidenza. Si tratta di una competenza sempre da ravvivare: il ruolo di presiedere la celebrazione liturgica - come quello di animarla con parole e canti - non si improvvisa, né si perfezione con il solo studio della teologia, della liturgia o della spiritualità, essendo anche una vera “arte antropologica”. C’è chi ha affermato (non senza qualche ragione) che per essere dei buoni presidenti di assemblea bisogna essere degli ottimi registi. Sarebbe utile dunque una certa conoscenza delle leggi della comunicazione. Ma già molto, in partenza, è l’attenzione umana-religiosa e la giusta considerazione date ai fedeli, di cui il presidente deve sentirsi membro oltre che guida. Svolgere il compito della presidenza implica discrezione e modestia: la propria persona, davanti e in mezzo ai partecipanti, non è chiamata a dare spettacolo ma a essere strumento dell’esperienza di Dio anche attraverso l’aspetto, il gesto, il tono di voce, la compostezza, l’abbigliamento. Preziose, quindi, sono le parole che leggiamo nelle Premesse del Messale: «Quando il sacerdote celebra l’Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà; e nel modo di comportarsi e di pronunciare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo». Anche su questo c’è da continuare a interrogarsi sulla ricezione delle norme e dello spirito del Concilio Vaticano II.



8     Pregare con fede

       Lo scopo di ogni impegno educativo attraverso l’animazione liturgica è quello di fare in modo che i fedeli riescano a realizzare il loro ‘dialogo’ con Dio. A questo tende ogni forma di preghiera e in particolare la celebrazione dell’Eucaristia. Raggiunto l’obiettivo della migliore partecipazione possibile sia interiore che esteriore è raggiunto il fine principale. Gli animatori non possono allora disattendere degli interrogativi da porsi ogni volta che si mettono a servizio dell’assemblea o che elaborano delle proposte: questa monizione, questo suggerimento, questo canto, questo interludio strumentale, ecc. aiuta questa gente a pregare in questa celebrazione? Se al centro dell’attenzione di ogni responsabile è ben presente il fatto che l’assemblea liturgica è radunata (“ecclesia”: convocazione) primariamente per una forte esperienza di fede, le singole scelte - anche nei piccoli particolari - dovranno essere illuminate e illuminanti. Alla base occorrerà sempre un minimo (tendenzialmente alto) di progettazione. A partire dalla logicità e dalla varietà  dell’anno liturgico, coinvolgendo la programmazione catechistica e caritativa, bisognerà rispondere praticamente alle domande: in questo nuovo anno liturgico quale proposta di itinerario di fede avrà davanti a sé la nostra comunità parrocchiale? Con quali iniziative liturgiche potremo accompagnare questo itinerario?



9    Predicare con semplicità

       L’incontro domenicale con il Signore Gesù, crocifisso e risorto, deve essere profondo e desiderato: esso potrà riecheggiare durante l’intera settimana, a condizione che anche lo spazio dell’omelia sia gestito nel modo più conveniente, all’insegna dell’ardore che caratterizzava la predicazione apostolica dopo la Pentecoste. Capacità e metodo nel proporre i contenuti omiletici rientrano in quelle competenze che non sono comunicate automaticamente dall’imposizione delle mani nell’ordinazione presbiterale. Capacità e metodo (organizzazione delle idee da comunicare), contenuti (sintesi del messaggio delle letture e riferimenti alla celebrazione), forma (stile colloquiale dignitoso), tempo («Superati gli 8 minuti - ha detto qualcuno - il resto è del maligno»!), verifica (sapersi riascoltare e rivedere per migliorare le modalità comunicative): sono riferimenti utili da tener presenti nell’esplicitazione del servizio alla Parola, alla celebrazione e all’assemblea.



10   Celebrare un Dramma

       D.M. Turoldo ha scritto: «Mio male è sapermi impotente a dire il tuo dramma, mio Dio». Ogni domenica e in ogni Eucaristia ci è offerto il Dramma di Dio: è ben altro che un “pezzo teatrale”. Il Padre dona il suo Figlio mediante lo Spirito nel dolore e nella gioia, nella morte e nella risurrezione. «Chi non “comprende” il dolore e la gioia di Dio non sa nulla della sua rivelazione, non sa nulla dei lunghi cammini col popolo stanco, delle lotte con i personaggi antichi, della passione sulla croce e della luce che è nella vita» (G. Bonaccorso). Bisogna che le menti si aprano e i cuori sussultino nel Dramma - o nel Mistero - perché la domenica non resti senza Cuore. È uno dei più grandi impegni, una sfida, per tutte le assemblee liturgiche e le comunità cristiane.  


 Don Giancarlo Boretti

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