«Non abbiamo
ancora recepito sufficientemente che la Chiesa annuncia soprattutto quando
celebra: la celebrazione è l’annuncio più completo perché realizza ciò che
proclama» (P. Borselli). Parole chiare e severe che giungono in primo luogo a
coloro che sono chiamati alla presidenza della liturgia. Celebrare “in spirito
e verità” dipende innanzi tutto da chi ha il compito - mai facile e comunque
sempre perfezionabile - di presiedere: vescovo, presbitero, diacono, religioso/a
ed anche laico/a. «Vi chiedo scusa - disse ai fedeli al termine della Messa un
vescovo che l’aveva celebrata e presieduta assai bene - per le scorrettezze
liturgiche eventualmente da voi osservate. Anch’io, quando non celebro, osservo
i sacerdoti celebranti e ne rilevo i difetti!». A proposito dell’osservare i
preti celebranti, capita di sentire qualcuno: «Quel prete dice bene la Messa», «Mi
colpisce il modo tranquillo ed espressivo col quale proclama il Vangelo», «Perché
il nostro Don non canta durante la Messa?» (ma… se fosse ‘stonato’?!). Anni fa,
a noi seminaristi veniva detto: «La casa del sacerdote ha le pareti di vetro:
tutti ci guardano dentro». Metaforicamente, questo vale anche per il suo modo
di celebrare e di presiedere le azioni liturgiche. Al di là di critiche o di
osservazioni superficiali, c’è un buon senso della fede - e della liturgia -
che accompagna con esigenza la partecipazione alla preghiera della Chiesa.
Sembrano dunque cose utili alcune altre
considerazioni circa il celebrare e
il presiedere liturgico.
«Il sacerdote è prima di tutto celebrante»
(K. Rahner). In tale funzione ministeriale vediamo il sacerdote celebrante
come:
♦ colui
che rende
grazie per e con tutti i fedeli.
La Messa è per eccellenza “eucaristia” (“rendimento
di grazie”); ma ogni celebrazione liturgica è, anzitutto, rendimento di grazie
a Dio con animo contemplativo e lieto. «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti
adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa»: sono
parole - un poco sbiadite dall’abitudine - che dovrebbero estendere il loro
senso nell’attenzione del cuore,
nella distensione dello spirito ed anche in una particolare scansione ritmica.
♦ colui che conduce il popolo di Dio.
Tenere per mano la Chiesa e accompagnarla con
predilezione accogliente è prerogativa e azione certa di Dio, che chiama alcuni
a condividerla in un ruolo proprio. Il presiedere
esige dai sacerdoti celebranti una fermezza e insieme una scioltezza,
capaci di condurre con sicurezza equilibrata. Occorrono dei Mosè anche
all’altare. E’ necessario che la gente si senta guidata con sapienza e, prima
ancora, accolta con cordialità: il celebrante non è soltanto ‘uno dei fedeli’.
♦ colui che anima l’assemblea liturgica.
Non è sufficiente affidarsi normalmente agli animatori
della parola e della musica a orecchi e occhi chiusi. La sapienza celebrativa
deve accompagnare il celebrante nel ministero e nella fatica di una animazione interiore, basata anche sulla
intensità della sua personale partecipazione all’evento: all’incontro con Dio.
Il volume e il tono della voce (varianti), i gesti rituali (naturali, suggeriti
dall’azione e dalle parole in corso), le pause (opportunamente distese e
motivate), sono ingredienti animatori di rilevante efficacia, se tenuti lontani
dalle opposte derive della teatralità e della trascuratezza.
♦ colui che interpreta l’azione liturgica.
Dare vita fonica
ai testi nella loro specificità e
varietà è conseguenza di una dote naturale, che non tutti hanno in misura
uguale, ma deve essere pure una virtù da acquisire e rafforzare nel tempo attraverso
la concentrazione e la calma, col gusto del “bene dire” e del “digne orare”,
cosicché il ‘leggere’ i testi si elevi al ‘celebrare’ tutte le parole,
scendendo nelle loro rispettive profondità.
♦ colui che eleva la celebrazione nella sua
globalità e in tutte le sue parti.
È il risultato di quella di quella “presenza a” che colloca con interiorità
spirituale il celebrante “davanti a” Dio e al suo popolo. Passi l’espressione:
bisogna ‘credere’ a quello che si fa attivamente e a quello che gratuitamente
accade durante la liturgia!
♦ colui che incarna le azioni liturgiche.
«Cristo è tutto per noi» (S. Ambrogio) dal Padre nello
Spirito. Noi con il Signore risorto portiamo tutti e tutto alla Trinità
mediante la liturgia, nel suo procedere ordinato “per ritus et preces” e per
tempi liturgici. Che il celebrante sappia farsi tramite fra Dio e l’assemblea,
portando tutti e tutto a Dio in questo ‘processo’ ordinato, è l’arte “virtuosa”, sua propria innanzi
tutto, di una mediazione vivificante.
♦ colui che cura la parola.
In principio
la Parola: è fondamentale
mistero-grazia del vivere cristiano. È anche il tessuto-base de lle
celebrazioni liturgiche, in tutto il loro svolgimento. Parola di Dio e della
Chiesa, parola proclamata e ascoltata, parola cantata o accompagnata dalla musica,
parola sospesa anche dal silenzio; parola di cui il celebrante che presiede è
il primo a farsi carico in «umile eloquenza» (S. Agostino). Occorre ‘vestirla’
con la dignità e la bellezza più grande
possibile: chiarezza nella pronuncia, tranquillità nel periodare, giustezza
nell’articolazione, intensità nell’evidenziare, alternanza delle tonalità
vocali; un conto è l’orazione o la litania penitenziale, un altro è la
monizione o l’avviso; una cosa è l’acclamazione vivace, un’altra è l’implorante
preghiera del Padre nostro. Che dire, poi, della Preghiera eucaristica, così
varia nei suoi elementi e quasi tutta posta sulle labbra del presidente
dell’assemblea? Si sta chiedendo troppo? Certamente ogni volta che il
celebrante va all’altare, alla sede e all’ambone gli viene chiesto molto, e
tutto da lui va curato anche nelle sfumature.
♦ colui
che coordina
l’animazione.
Il presidente della liturgia deve essere anche
l’animatore degli animatori, fuori e dentro le azioni liturgiche. All’inizio
della riforma conciliare correva volentieri il termine regia. In concreto, non basta che i sacerdoti celebranti “facciano
la propria parte”, dando l’impressione di uno scollamento rispetto agli
operatori liturgici e ai fedeli partecipanti. È necessario che egli sia in sintonia
con la successione rituale, ben scompaginata e sciolta in tutte le sue parti e
i suoi elementi: gesti, parole, canti, musica strumentale, silenzi. Chi
“pre-siede” sta “in alto” con la sua capacità coordinatrice e ‘plasmante’
l’intera celebrazione. Non senza la discrezione: parola che dice molte cose e
virtù carente (talvolta o spesso) nelle nostre liturgie! Anche un semplice
sguardo può dire e donare qualcosa di importante, e un gesto mancato o
scorretto può sconcertare sia la celebrazione che l’assemblea liturgica.
♦ colui che modera i segni rituali.
Quale gestione
dei segni, grandi e piccoli, constatiamo nelle celebrazioni festive e
feriali? Con quale accuratezza li sappiamo accompagnare? L’esempio - buono o
cattivo - viene dall’alto, dal celebrante. Chi partecipa alla celebrazione non
deve essere sottoposto a un affastellamento che disturba e distrae. C’è una
finezza che invita ai tempi giusti, al porgere educato, al rispetto di ciascun
rito, di ogni persona e di tutti i ruoli. Il ‘segno’ del silenzio, ad esempio:
negli incontri con gli animatori liturgici quanto spesso ne viene lamentata
l’assenza! Per esempio: il silenzio dopo l’invito all’atto penitenziale, dopo
il Vangelo o l’omelia, dopo la distribuzione dell’Eucaristia; e i piccoli
silenzi degli stacchi fra le pericopi della Preghiera eucaristica. Silenzi più
o meno prolungati possono aiutare a scendere in profondità, facendo spazio al
Mistero e ad una preghiera individuale che non può mancare nella preghiera
comunitaria. Occorre la pazienza di… fermare l’orologio per qualche manciata di
secondi o per pochi minuti, che fanno parte di quel «massimo impegno» da porre
nella liturgia (v. Giovanni Paolo II, “Novo millennio ineunte”, n. 35).
♦ colui che affida a Dio.
Il sacerdote presidente è consapevole della sua
missione primaria di offrire confidenzialmente al Signore con se stesso la
Chiesa radunata “qui e ora”, «la Sposa che danza con il suo Sposo» (C.M.
Martini). Il celebrante offre e si lascia offrire con tutta l’assemblea,
sapendo che il Sommo Celebrante è lui, il crocifisso e il risorto. È questa
consapevolezza che, accompagnando le nostre celebrazioni liturgiche - anche le
più semplici e ordinarie, le più sprovviste degli strumenti di animazione - le
rende ‘belle’ e aperte al «Mistero santo a cui affidarsi e dal quale lasciarsi
raggiungere e salvare» (C.M. Martini).
«La liturgia
è una grande maestra, perché ci aiuta costantemente a comprendere che il
cristianesimo, prima di essere un compito, è un dono. È ciò che Dio opera in
noi per la presenza dello Spirito santo. Sarà giusto allora chiederci che ne è
delle nostre celebrazioni e della cura che abbiamo per l’anno liturgico; se ci
teniamo decisamente lontani dalla sciatteria e dal teatro; se siamo guidati dal
senso del mistero che si compie e dalla dignità dell’atto liturgico» (R.
Corti).
Chi presiede
l’atto liturgico svolge il più grande ministero: il più importante, il più santo. La santità («la prospettiva in
cui deve porsi tutto il cammino pastorale» (Giovanni Paolo II) esige dai
celebranti uno sforzo e un entusiasmo sempre rinnovati:
“ad altare Dei, ad Deum qui laetificat…”. C’è una
letizia propria del sacerdote celebrante?... E non soltanto per lui, se «la
liturgia è un meraviglioso gioco davanti a Dio, in una armoniosa sinfonia,
fatta di umana serietà e di divina serenità» (R. Guardini).
Don Giancarlo Boretti
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