“Vieni e vedi” dice Gesù nell’Evangelo (Gv 1, 46). E qui si apre uno spazio infinito all’arte e a tutti i campi della cultura. L’artista è colui che da visibilità agli invisibili misteri della fede. Gesù è la Parola che dice, ma è anche colui che manifesta questo invito: “Vieni e vedi”. Si tratta di un invito alla contemplazione, all’ascolto e alla visione. Noi abbiamo bisogno di sentire, ma anche di ammirare e di amare.
Oggi, come ieri, aumenta l’attesa di una partecipazione al depositum fidei custodito da millenni. Mi sembra che oggi, più di ieri, i fedeli abbiano bisogno di un messaggio fedele, capace di trasmettere lo splendore della fede.
In questa prospettiva, diventa importante la testimonianza della bellezza liturgica, della bellezza delle forme liturgiche, in una parola, della bellezza della vita cristiana stessa. Il mondo è in attesa della bellezza che salverà il mondo: Gesù Cristo. Si, anche della terribile bellezza della croce. Di conseguenza tutte le forme artistiche, musicali e letterarie sono chiamate ad entrare in questo spazio infinito della comunione con Dio.
Una simile partecipazione al deposito della fede è il compito grande e terribile dello spazio liturgico e dell’arte sacra. È un traguardo che tutti gli artisti cristiani sono chiamati a desiderare. Voi artisti siete chiamati a squarciare la finitezza e fare risplendere in questo mondo apparentemente chiuso l’intuizione della fede.
Questo messaggio non è soltanto quello che dà il sacerdote durante la sua omelia: la chiesa come realtà di spazio sacro, spazio liturgico, è tutto un messaggio. Perciò non è un luogo dove si possano ammassare cose, ma essa deve seguire una “filologia”, che trova la sua base, il suo nutrimento, la sua guida prima di tutto nella Parola di Dio, nel Magistero, ma anche nella Tradizione vivente: la liturgia è davvero qualcosa di dinamico.
Dobbiamo però stare molto attenti a non pensare che ci sia una Chiesa prima del Vaticano II e un’altra Chiesa dopo il Vaticano II. La tradizione va vista come uno sviluppo organico e, in seno ad essa, la liturgia ha sempre seguito uno sviluppo organico. Se ci sono stati cambiamenti (e ci sono stati: basta pensare all’evoluzione della Settimana Santa, poi riformata da Pio XII), ciò è avvenuto in base a due criteri: il primo è di rendere il Mistero di Cristo ancora più attuale e contemporaneo ai cristiani di una determinata epoca (ciò significa dare ai fedeli un messaggio sempre più fedele dei Misteri di Cristo); il secondo è una necessità pastorale.
E’proprio qui che noi incontriamo i conflitti, una specie di “rottura” fra i teologi e la Chiesa , da una parte, e gli artisti dall’altra. Questi ultimi, presi da una sorta di daimon, da una disperazione creativa, trovano difficile mettere tutta questa forza, tutta questa energia in una forma (che è una pre-forma): cioè Cristo.
Il dramma perciò è di come incanalare tutta questa creatività ed energia, di come darle una forma “cristologica”. La difficoltà sta proprio – l’ha detto molto bene il prof. Bergamo – nel linguaggio. E’ proprio qui che l’artista, l’architetto, scopre di non essere il creatore del messaggio, ma lo strumento, la creatura. E deve mettere umilmente le sue capacità a disposizione del messaggio, della verità, che dovrà trasmettere. Qui si entra in una logica da cui nessun cristiano può uscire, quello della figliolanza divina e quindi dell’ubbidienza filiale che chiede a tutti i cristiani la conversione della vita e, in modo del tutto particolare, della ripresentazione nella propria vita dei misteri di Cristo. Noi siamo creature: entrare in questa logica è quanto mai difficile.
Posso essere amico di un grande filosofo ateo o frequentare grandi artisti non credenti: al di là dell’amicizia e della stima, come cristiano mi muovo in un con-testo, che è pre-testo, cioè mi muovo entro questa verità di Gesù Cristo. Ecco che torno a dire che i fedeli hanno bisogno di un messaggio fedele. Ciò non distrugge la personalità dell’artista, anzi la esalta, esalta l’umanità in virtù del fatto che Dio si è fatto uomo. Gesù Cristo non è il pre-Adamo, è il post-Adamo; perciò ha preso su di sé tutta la nostra umanità, i nostri dubbi, tutte le difficoltà che noi proviamo ogni volta che cerchiamo di conformarci a questa grande verità.
Vengo da un monastero del Nuovo Messico: abbiamo già una cappella, ma adesso dobbiamo affrontare il problema di una nuova chiesa. Uno dei nostri monaci è amico di un grande architetto ebreo di Gerusalemme, che si è offerto di presentare un progetto. Noi però abbiamo scartato questa disponibilità. La chiesa, infatti, non è un semplice tempio, o una sinagoga, per quanto noi possiamo avere grande rispetto e ammirazione per tali architetture. La sinagoga di Firenze, ad esempio, è una delle più belle del mondo, ma non è una chiesa cristiana. Gli spazi infatti cominciano a prendere una forma a seconda delle verità dei messaggi. Ed ecco che l’artista cristiano dovrà sempre tener fede all’antica regola: lex edificandi, lex credendi.
Questa mattina, visitando la mostra Sinfonia dello Spazio Liturgico, presso il chiostro della Basilica del Santo, la cosa che mi ha illuminato di più è stato constatare la ricerca filologica compiuta per far sì che la chiesa rispetti in tutto il messaggio cristiano. Dai paramenti liturgici, a cui la signora Ferrari si è dedicata come stilista, fino all’ostensorio, o alla porta con le sue raffigurazioni. Tutto è stato curato nei dettagli minimi; nulla di ciò che è stato preparato è inutile al messaggio che viene dato: anche le panche che dovrebbero reggere per anni il nostro peso sono state studiate.
Perché Dio sta nel dettaglio.
La chiesa non è un luogo ove affastellare di tutto. Certo, bisogna spendere tempo energia e denaro perché ciò che è bello ha bisogno anche dello spreco. Proprio come la donna del vangelo, che non temette di versare per Gesù un intero vasetto di profumo preziosissimo, provocando la disapprovazione degli apostoli, in particolare in Giuda, ma suscitando la lode di Gesù, che considerò profetico quel gesto (cfr Mt 26, 8-11 e paralleli). Anche i grandi maestri di preghiera ci insegnano che “Se vogliamo pregare allora dobbiamo imparare a spendere con grande generosità il nostro tempo; dobbiamo imparare a perdere coscientemente il tempo per Dio”.
Io vi ringrazio: sono veramente, non dico commosso, perché questa è una parola troppo usata, ma sono mosso interiormente nell’aver visto questa mostra e nell’aver conosciuto qualcuno dei vostri architetti ed artisti. Stamattina la visita alla mostra Sinfonia dello spazio liturgico mi ha permesso di fare la mia quotidiana lectio divina, dove la Parola di Dio si è fatta visibile.
E’ proprio vero: spesso andiamo lontano migliaia di chilometri per trovare un grande artista che metterà a posto tutto e non guardiamo più vicino, dove abbiamo illustri artisti.
Certamente anche noi come Chiesa, lo dico al vostro Vicario Generale, che rappresenta il Vescovo, dobbiamo entrare umilmente in una dialettica creativa, in un dialogo. Il mondo è dialogo, noi viviamo in una realtà dove tutti siamo parte del Corpo vivo di Cristo: non dobbiamo dimenticare mai questo. La persona che spazza la chiesa è tanto importante quanto la persona che l’ha disegnata. Questa non è retorica, è cristianesimo. Il Cristianesimo è fatto da persone che sono amate, rispettate, ascoltate e chiamate a far parte di questo grande Corpo di Cristo che è la Chiesa vivente. Grazie.
P. Ab. Michael John Zielinski, O.S.B.Oliv.
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