Eugene Ionesco, in un’intervista del 1975, afferma: “La chiesa non vuole perdere la sua clientela, anzi vuol guadagnarne di nuova. Ciò produce una specie di mondanizzazione’ davvero deplorevole ‑ e subito aggiunge - … ho sentito un parroco dire, in chiesa: ‘rallegriamoci, stringiamoci la mano... Gesù vi augura cordialmente una bella giornata, il buon giorno’!”. E, ancora: “Presto allestiremo un bar per la comunione del pane e del vino, offriremo tramezzini e spumante...”.Ionesco conclude: “Non c'è rimasto nulla, nulla di stabile, tutto è in movimento. Invece di tutto questo, noi abbiamo bisogno d'una roccia salda”.
Con toni più attenti e modalità d’attuazione più sfumate, la situazione denunciata dal drammaturgo francese di origine rumena - uno dei padri del teatro dell'assurdo - sussiste anche oggi, in modo diffuso, nella Chiesa; se, infatti, viene meno il discernimento costruito sulla fede ecclesiale, tutte le azioni, comprese quelle liturgiche, finiscono, di volta in volta, per ratificare quella mentalità profana di cui il mondo vive e si nutre, rivendicando pretese fondate su un’ossessiva ricerca di creatività e originalità o su un’acritica ricerca di adattamento, ad ogni costo, elevato ad unico criterio ecclesiale.
L’insegnamento del Concilio Vaticano II, ancora una volta, mostra tutta la sua attualità e fecondità quando propone la comprensione della Chiesa in termini sacramentali; Leo Scheffczyk aveva opportunamente fatto notare che: “attribuendo alla chiesa una struttura sacramentale o definendola come il sacramento più completo, il quale trasmette come sacramento e in modo sacramentale il “sacramento personale” che è Gesù Cristo, la chiesa è sottratta ad una comprensione puramente mondana e naturalistica, intesa in senso orizzontale e ‘al di qua’ (cfr. L. Sceffczyk, La Chiesa , Milano 1998, 38).
Tale insegnamento conciliare, oggi, andrebbe, fortemente sottolineato e valorizzato.
Così, è proprio a partire da questo suo essere segno di Cristo, che si esprime la diversità e la relatività del rapporto Cristo‑Chiesa; la Chiesa , in tal modo, si pone come realtà che esiste solo nella relazione con Cristo.
Quanto appena detto sull’essere segno ‑ o sacramentalità ‑ della Chiesa non può non avere ricadute sul piano del segno; per quanto riguarda l'edificio di culto: gli spazi, le forme, le prospettive, gli arredi, tutto deve essere in grado d’esprimere il senso teologico‑sacrale della domus ecclesiae ‑ la casa dell'assemblea del popolo di Dio ‑.
Da tale premessa si autoesclude, ovviamente, ogni concezione dell'edificio di culto pensato unicamente con criteri funzionali; esso, al contrario, in consonanza col popolo che accoglie, deve manifestare la sua realtà simbolica, sacramentale, pienamente sacrale.
In linea con tali premesse si nota che:
1) L’edificio adibito al culto deve esprimere tanto la sacralità della celebrazione eucaristica, quanto la realtà della presenza del corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo, ossia, il Sacramentum permanens; in tutto, quindi, deve, in maniera inequivocabile, richiamare la sacralità di tale azione e presenza, perciò, in nessun modo può rispondere a soli criteri funzionali volti, unicamente, alla ricezione dei partecipanti.
2) In sintonia con l'insegnamento conciliare, nell'edificio di culto deve rendersi visibile l'articolazione comunionale del popolo di Dio costituito dal sacerdozio comune e dal sacerdozio ministeriale ‑ distinzione che concerne non solo il grado ma l’essenza (cfr. LG n.10) –; si tratta di garantire, anche dal punto di vista della visibilità, tale distinzione ontologica, la quale, d’altra parte, non è finalizzata a separare ma ad esprimere le differenti ricchezze dell'unico sacerdozio di Cristo che deve cogliersi nelle sue specifiche peculiarità.
3) Il tabernacolo ‑ che custodisce le specie consacrate per l'adorazione dei fedeli ‑ deve trovarsi in posizione d'onore, ben visibile e, nello steso tempo, riparato; non è, infatti, accettabile che Gesù, presente in modo reale e sacramentale sotto le sacre specie, debba essere “faticosamente ricercato” da quanti si recano in Chiesa proprio per adorare il Santissimo Sacramento. Deve essere la fede stessa a suscitare e stimolare idee e soluzioni; ad esempio, dal punto di vista architettonico, creare linee prospettiche e/o fasci di luce che, a modo di cammini preferenziali, convergano verso il tabernacolo “… infatti - come ricorda il Concilio Vaticano II - nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo...” (PO n.5).
4) Bisogna evitare di costringere l'Eucaristia ‑ Sacramentum permanens ‑, all'interno di una logica “cosificante”, come se si trattasse di “un oggetto” che si frappone tra i fedeli e Gesù e non dello stesso Cristo vivo e vero, realmente presente sotto le apparenze del pane e del vino.
A tale proposito è utile promuovere attraverso dipinti, mosaici, vetrate ‑ là dove è collocato il tabernacolo ‑, un'adeguata catechesi eucaristica che sottolinei l'umanità di Cristo, i misteri della sua vita (infanzia, vita pubblica, passione) per giungere al grande mistero pasquale, soffermandosi, particolarmente, sull'istituzione della santissima Eucaristia, sottolineando la notte del tradimento e rimarcando le stesse parole di Gesù “questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”, “fate questo in memoria di me”; la Santissima Eucaristia , infatti, deve sempre più esser colta come il gesto per antonomasia di Gesù.
5) Nello spazio destinato all'adorazione bisogna, innanzi tutto, creare le condizioni della preghiera e tra le più importanti vi è certamente il silenzio; a proposito del silenzio, Paolo VI nella omelia tenuta a Nazareth il 5 gennaio 1964 “... alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth ... essa ci insegna il silenzio... atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo... "(Discorso tenuto a Nazareth il 5 gennaio 1964).
Il silenzio può essere creato sfruttando accorgimenti tecnici: suddivisione degli spazi, soluzioni acustiche, uso di materiali idonei.
Il silenzio, non è forse qualcosa di cui dovremmo sentir di più la nostalgia sia nelle nostre celebrazioni liturgiche sia, in genere, nelle nostre chiese?
6) Le chiese cattedrali ma anche le chiese ricche d'opere d'arte o che sono esse stesse opere d'arte, hanno urgente bisogno di riscoprire la loro vocazione di luoghi di preghiera e d'incontro con Dio, prendendo le distanze da talune scelte troppo e, talvolta, esclusivamente museali.
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