Partiamo dall’esordio del capitolo VII di SC, dedicato interamente all’arte sacra e alla sacra suppellettile.
“Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono, con pieno diritto,
annoverate le arti liberali, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice,
l’arte sacra”[1].
Un primo nodo teorico da affrontare è dunque
costituito dalla collocazione dell’arte sacra nella cultura delle arti
liberali: il Concilio Vaticano II, infatti, sembra rispondere affermativamente
alla aspirazione di riconoscimento culturale che per secoli ha animato gli
artisti. In particolare nel corso del Rinascimento gli artisti rivendicano la
collocazione delle arti figurative entro le arti liberali, comprendendo che ciò
dipende dal loro saper esibire un carattere conoscitivo profondo,
razionale. Leonardo, per esempio,
rivendica tale carattere per la pittura, la quale può vantare, rispetto alla
scultura, una maggiore distanza dalla materia e un maggiore impiego del
“discorso”[2].
Il Concilio riconosce all’arte una dignità culturale
forte, pari alle più alte discipline dello spirito, “nonostante” la sua
compromissione con la corporeità. Del resto nella Costituzione Pastorale sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium
et Spes)[3] è data una
definizione di “cultura” che illumina questo passaggio: “Con il termine
generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo
affina ed esplica le molteplici doti di anima e di corpo”[4]. La cultura è
dunque propria dell’uomo nella sua complessa unitarietà, unitarietà che
cancella ogni dualismo anima–corpo.
La collocazione solida dell’arte nella cultura[5] risulta ben
chiarita da un altro passaggio della GS:
“L’uomo, inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la
filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali, e occupandosi di
arte, può contribuire moltissimo ad elevare l’umana famiglia a più alti
concetti del vero, del bene e del bello e ad un giudizio di universale valore”[6].
Le varie discipline si relazionano dunque con il
vero, il bene, il bello, trascendentali caratteristiche dell’essere, presenti
in forma perfetta in Dio che è Sommo Vero, Sommo Bene e Sommo Bello; inoltre, potremmo
aggiungere, le varie discipline si distinguono tra loro proprio per i diversi
rapporti che intrattengono con il vero, il bene, il bello. All’arte spetta un
particolare rapporto con il bello, ovvero con le cose belle e con la Bellezza
infinita. Di più, proprio attraverso la recezione del bello, l’arte intrattiene
uno stretto rapporto con il vero e con il bene, ovvero con l’essere nella sua
integrale positività[7].
In SC, 122
continuiamo a leggere: “Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita
bellezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo
e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua
gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di
contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare
religiosamente le menti degli uomini a Dio”.
Le opere d’arte religiosa e sacra, dunque, devono
“in qualche modo” esprimere la bellezza divina, l’infinita bellezza divina, con
la quale intrattengono una relazione naturale, che è cioè propria della loro
natura. Tramite l’espressione della bellezza, e nella misura con cui si
orientano verso la Bellezza infinita, esse possono esplicitare il loro “unico”
(“nessun altro fine è stato loro assegnato”) fine di indirizzare
“religiosamente” le anime a Dio.
A questo punto, lasciando sospesi per adesso tutti
questi ricchissimi spunti, occorre chiarire il discorso dirimendo l’arte
religiosa da quella sacra, per chiarire la specificità di quest’ultima.
L’arte sacra è il vertice dell’arte religiosa,
ovvero l’arte religiosa contiene l’arte sacra e —in osservanza alla più
semplice logica degli insiemi— non viceversa. Potremmo esemplificare dicendo
che tra l’opera d’arte religiosa e l’opera d’arte sacra intercorre lo stesso
rapporto che unisce e distanzia una poesia che parla di Dio ed una preghiera.
A proposito dell’arte sacra, Chenis scrive: “Essa è
il vertice dell’arte religiosa poiché esplicitamente si indirizza a Dio, alla
sua lode e gloria ed è per questo originariamente destinata al culto della
comunità ecclesiale”[8].
L’aggettivo “sacro” viene infatti attribuito
innanzitutto al culto, ai riti, ai luoghi, appunto “sacri”, e, mi sembra, di
conseguenza all’arte “sacra” e alle sue opere.
L’arte religiosa diviene cioè “sacra” quando è
scientemente finalizzata al “sacro”, non inteso come vuota o onnicomprensiva
categoria, quanto piuttosto come sacro culto, sacro rito, sacro luogo.
Infatti, la “bellezza” e la “dignità” della sacra
suppellettile devono servire al “decoro del culto”[9], e entro questa
finalità sono ammessi cambiamenti di materia, forma, ornamento.
“Anche l’arte del nostro tempo, di tutti i popoli e
paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta
reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti”[10].
Viene dunque sottolineata, anche nel contesto del
rispetto della libertà di stile, la finalità di “servizio” dell’arte sacra,
finalità che implica reverenza e onore verso ciò che è “primariamente” sacro.
Una ulteriore specificazione viene introdotta
mediante la distinzione di un’arte sacra “autentica”.
I documenti conciliari non sprecano parole e
tuttavia danno direttive precise: l’arte
sacra autentica deve cercare “nobile bellezza” e non “mera sontuosità”, non deve (ciò potrebbe sembrare superfluo, ma
solo apparentemente) contrariare la fede, i costumi, la pietà cristiana, o
offendere il “genuino senso religioso”. Quest’ultimo punto viene esplicitato in
due direzioni: le opere d’arte sacra possono offendere il senso religioso
genuino o “perché depravate nelle forme”, dunque formalmente inopportune, o
perché “mancanti, mediocri o false nell’espressione artistica”[11]. Si richiede
all’arte sacra la proprietà di una forma bella, “non depravata”, e la capacità
di esprimere propriamente e sublimemente il messaggio.
Dunque, l’opera d’arte sacra deve essere necessariamente
opera d’arte, deve cioè esulare tanto dalla bruttezza quanto dalla mediocrità;
la sua sacralità le impone, inoltre, di saper veicolare preghiera, devozione,
contemplazione, autentico senso religioso.
Come si può attuare tutto questo?
Prescindendo dalle suppellettili e anche
dall’architettura, e mirando invece l’attenzione sulla pittura, mi sembra che
si imponga all’analisi l’ “immagine”. In SC,
a proposito delle immagini sacre è
scritto: “Si mantenga l’uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli
le immagini sacre. Tuttavia si impongano in numero moderato e nell’ordine
dovuto per non destare ammirazione nei fede0li e per non indulgere a una
devozione non del tutto corretta”[12].
Mi sembra che proprio nell’immagine sacra, nelle sue
potenzialità e nella normatività cui deve sottomettersi, la pittura sacra possa
trovare il proprio paradigma. Nell’immagine sacra che ispira corretta
devozione, troviamo la forma non corrotta e l’espressione corretta.
Prima di
ampliare questo punto, che conduce verso un’arte sacra figurativa, mi sembra
opportuno soffermarmi sulla figura dell’
“artista”.
di Rodolfo Papa
[1] Ivi, 122.
[2] A proposito di questa
problematica, così lo Schlosser: “Tutti i teorici di questo tempo insistono su
questo carattere scientifico: Francesco di Giorgio nella prefazione del suo
trattato di architettura, come Piero della Francesca il cui scritto rappresenta
nella forma più compiuta l’ideale del Rinascimento di un’argomentazione
strettamente matematica; non inferiore in questo il Pacioli, che sa quanto
progresso si sia così fatto di fronte all’antichità, e che vuol introdurre la
dottrina della prospettiva come quinta scienza nell’antico quadrivio -come fece
in realtà un artista di quel tempo, Antonio Pollaiuolo, nella sua tomba di
Sisto IV a San Pietro, almeno nella rappresentazione delle allegorie
tradizionali” J. von Schlosser, La letteratura artistica, La Nuova
Italia, Scandicci (Firenze) 1977, pp. 156-157. Per le affermazioni di Leonardo,
si veda soprattutto la prima parte del Codice Vaticano Urbinate 1270, ovvero
del Libro di Pittura (cfr. edizione a
cura di C. Pedretti, Giunti, Firenze 1995).
[3] D’ora in poi GS.
[4] GS, 53.
[5] Mi sembra che tale
collocazione dell’arte dentro il più vasto mondo della cultura venga confermata
da eventi come il recente incontro di spiritualità dedicato specificatamente
agli operatori del mondo della cultura e dell’arte, dello spettacolo e dei
mass-media, guidato dal Cardinale Joseph
Ratzinger, Prefetto della Congregazione della fede. Tale incontro si è
tenuto il 5 marzo 1997 in San Giovanni
in Laterano, con titolo Guardare Cristo,
entro le iniziative della Grande Missione
per la città di Roma, in vista del Giubileo del 2000. La meditazione del
Cardinale Joseph Ratzinger, introdotta dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario
Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, è stata accompagnata dalla lettura
di brani letterari e dalla esecuzione di brani musicali dedicati a Gesù Cristo
in epoca antica, medievale, moderna e contemporanea, e da una mostra
di pittura sul tema La ricerca di
Dio nell’uomo contemporaneo realizzata dagli studenti delle venti Accademie
di Belle Arti italiane.
[6] GS, 57.
[7] Con questo non intendo
affermare che ciò che l’arte propone sia necessariamente vero, né escludo la
possibilità di un’arte immorale.
Il
tema della conversio trascendentalium è
stato recentemente messo a tema, con specifico riferimento all’arte letteraria
contemporanea, in: G. Sommavilla, Il bello e il vero. Scandagli tra poesia,
filosofia e teologia, Jaca Book, Milano 1986; Sommavilla, La ragione
dell’Arte e il Sacro, in Aa. Vv.,
Le ragioni del Bello, a cura di M.
Longo, Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1986, pp. 53-68. In quest’ultimo
volume, che presenta i contributi del XXXVIII Convegno per ricercatori
universitari di discipline filosofiche, organizzato dal Centro di Studi
Filosofici di Gallarate, si vedano anche G.
Negro, Note per una metafisica del
bello in s. Tommaso, pp. 69-80; C.
Pandolfi, “Pulchrum-verum-bonum”
nel “Commento ai Salmi” di s. Tommaso, pp. 81-86.
[8] C. Chenis, Fondamenti
teorici dell’arte sacra. Magistero post-conciliare, Las-Libreria Ateneo
Salesiano, Roma 1991, pag. 25. Chenis conduce un’interessante disamina del
significato di “sacro”, sottolineandone una originaria connessione con il
“bello”.
[9] SC, 122.
[10] Ivi, 123.
[11] Ivi, 124.
[12] Ivi, 125.
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