lunes, 27 de diciembre de 2010

LA BELLEZZA COME LINGUAGIO UNIVERSALE

          1.      Genesi
Tutto ciò che è bello viene dalla Trinità ed è, di conseguenza, attratto da essa. Come dice sant’Agostino: «è nella Trinità, infatti, che si trova la fonte suprema di tutte le cose, la bellezza perfetta, il gaudio completo»[1]. Vorrei soffermarmi sul tema della bellezza come rivelazione di Dio[2]. Con la Sua incarnazione Dio Onnipotente si è reso visibile al mondo come «il più bello tra i figli dell’uomo»[3]. E grazie alla Sua umanità abbiamo anche noi potuto imparare a conoscere ed a contemplare Dio, giacché per la nostra natura umana, le cose sensibili sono i preamboli per la conoscenza di Dio[4]. San Tommaso afferma, citando sant’Agostino, che il Figlio è «l’arte del Padre»[5]. La bellezza visibile del Dio fatto uomo, che ha lasciato le Sue tracce nella storia umana attraverso tanti segni sensibili, ha permesso all’uomo della Nuova Alleanza di addentrarsi più intimamente nel mistero divino. La bellezza è il volto visibile dell’amore creatore. Ogni cosa creata, ogni opera d’arte fatta dalle mani dell’uomo, in qualche maniera diventa memoria dell’Incarnazione, in quanto aiuta l’uomo a passare dalle cose sensibili alle cose invisibili[6], rintracciando nel creato un’icona del divino, una traccia della Sua vera presenza nascosta sotto il velo della bellezza sensibile. Così ha scritto san Paolo: «Egli è l’immagine del Dio Invisibile, il primogenito di tutte le creature»[7].

Sul Monte Tabor, Gesù ha rivelato ai Suoi eletti, per un breve istante, la Sua gloria divina, dimostrando la Sua stupefacente bellezza: «Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce»[8]. Era di uno splendore straordinario e nel sentire la voce di Dio che diceva: «Questi è il mio Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo», Pietro, Giacomo e Giovanni caddero per terra[9]. Anche se poi Gesù ha nascosto di nuovo questa bellezza, «finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»[10], ha però lasciato nelle anime dei Suoi discepoli e di tutti noi il desiderio di incontrarci faccia a faccia con quel Volto divino.
Spesso è attraverso la bellezza che la nostra volontà è mossa, perché la bellezza ci attira, suscita in noi il desiderio di unirci alle cose belle ed al loro Creatore. Così troviamo in tutto il creato attorno a noi i riflessi della bellezza divina, che ci spingono ad andare alla ricerca del Creatore. Ogni forma bella è una «epifania» dell’Amore di Dio che ci viene incontro. La bellezza è un modo mediante il quale Dio si manifesta al mondo. E se si è capaci di scorgere nelle molteplici manifestazioni del bello un raggio della Bellezza suprema, allora la bellezza (e così anche l’arte come espressione privilegiata della bellezza) diventa una via verso Dio.

2.      Il tema dell’uomo
Ricordo che iniziai i miei studi di storia dell’arte, e più precisamente dell’arte contemporanea, perché fui spinta dal desiderio di capire le motivazioni più profonde dell’uomo e del suo agire. Poi mentre avanzavo nello studio dell’arte contemporanea, un senso di delusione si fece sempre più forte in me, perché man mano che andavo avanti scoprivo sempre di più l’angoscia del vuoto interiore, del pessimismo esistenziale, della mancanza di speranza in un Dio che può salvare, in un ideale di amore magnanimo, di soluzioni ai problemi della società, del senso della vita nell’anima e nel cuore di molti uomini e molte donne di oggi. Spaventata da quel vuoto spirituale e addirittura dalla negazione dell’esistenza della propria anima e del suo Creatore, e dalle molte strade di psuedo-spiritualità che conducono all’errore invece di portare alla Suprema Verità, capii che, come dice Su Santità Benedetto XVI, «la fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali»[11]. Intuì che l’assenza di fede, la sempre più mancata relazione tra teologia ed arte, aveva chiuso le porte verso una soluzione adeguata al problema dell’uomo. Stiamo davanti alla tragedia dell’uomo chiuso nella storia, il quale non riesce più ad elevare lo sguardo per vivere nella luce dell’eternità, pero si blocca alle soglie dell’aldilà, senza speranza, incapace di superare le pareti che limitano il fine del mondo materiale, che non riesce a rendere felice.
La Gaudium et Spes spiega che:
Le arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano di esprimere l’indole propria dell’uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo, di scoprire la sua situazione nella storia e nell’universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una migliore condizione dell’uomo. Cosi possono elevare la vita umana[12].
Già durante il Concilio Vaticano II la Chiesa ha riconosciuto la frattura drammatica che si è prodotta tra la Chiesa e la cultura moderna[13], ed ora, a distanza di quasi mezzo secolo, il punto della situazione è sempre più allarmante. Invece di arricchirsi, la cultura odierna sembra essere sempre più superficiale e banale, pur avendo superato con una gran capacità dell’intelligenza molti limiti della scienza, come anche nel campo delle comunicazioni sociali. Ma spesso i progressi non sono impiegati per un fine nobile. I bambini vengono educati nella cultura dello «zapping», dove imparano ad assaggiare velocemente il gusto delle cose, per poi, subito dopo averlo consumato, saltare ad un nuovo gusto. Si vive delle sensazioni brevi, non si ha la pazienza per leggere un libro intero, è tutto frutto della navigazione, di un «copy and paste», non di un’elaborazione della propria mente e creatività.  Diceva il P. Cornelio Fabro che lo spirito umano si è chiuso in se stesso e già non si apre alla realtà – all’atto di essere- e, pertanto, a Dio, e perciò si rende incapace di esprimere la verità e di fondare la libertà[14].
Talvolta, se guardiamo con attenzione le culture del mondo contemporaneo, possiamo concludere che spesso vengono toccate solo superficialmente dal messaggio cristiano che comunque è stato loro comunicato. Per questo motivo il mondo attuale risulta una palestra meravigliosa per le forze del male. Avviene come nella parabola del seminatore: molti semi sono caduti sulla roccia e soltanto pochi sulla terra buona dove hanno fatto radici profonde, che possono reggere ai venti di questi tempi.

3.      Torre di Babele
Il Sommo Pontefice Paolo VI chiese agli artisti in una sua omelia, di non fare tavola rasa del saper-fare, del saper-ricevere e del saper-comunicare che gli artisti hanno sviluppati lungo i secoli. La tecnica e l’ispirazione artistica vanno insieme. Si ben certo l’artista moderno ha il pieno diritto di esprimersi al modo suo, in maniera che la sua espressione sia comprensibile, intelligibile, leggibile, perché ormai a volte non si riesce a capire quello che si vuole esprimere e addirittura neanche loro stessi sanno quello che stanno dicendo. Stiamo di fronte ad una nuova torre di Babele, dove il linguaggio della confusione divide ancora l’umanità[15]. A Babele furono la vanita e presunzione del popolo a costruire una torre che arrivasse al cielo – come si fosse possibile per l’uomo raggiungere il cielo senza l’ausilio divino. Anche nel mondo delle belle arti siamo ormai in uno stato paragonabile a Babele, già che per mancanza dell’universalità del linguaggio, spesso non è facile capire le opere d’arte contemporanee. Il messaggio resta confuso, tutt’altro che «epifania» della bellezza divina.
Il nostro Papa Benedetto XVI in un discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura a marzo del 2008 ci ha avvertito che:
La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale[16].
Credo che nel fondo, ci troviamo davanti al grande problema dell’amore. Non c’è parola più abusata e male interpretata nel mondo odierno della parola «amore». Dice il Papa Benedetto XVI nella sua enciclica Deus Caritas Est:
L'amore di Dio per noi è questione fondamentale per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi. Al riguardo, ci ostacola innanzitutto un problema di linguaggio. Il termine « amore » è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti[17].
È in gioco la dignità dell’uomo, della donna, dei rapporti tra loro. Di conseguenza c’è una vera crisi della paternità e della maternità che è origine di molti problemi, non solo nelle famiglie, ma anche nella vita religiosa.  La concezione dei rapporti umani sani è minacciata da un’anti-cultura d’egoismi e di consumismo, abusando così del vero significato dell’amore.
Il messaggio del Vangelo trasmette ancora oggi e sempre il messaggio dell’amore vero e autentico che ci dà Cristo sofferente in croce. Dio è amore, è l’argomento della prima enciclica del nostro Papa Benedetto XVI, scritto come un invito a «vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo», cosa che è possibile perché siamo creati ad immagine di Dio[18]. Dell’amore di Dio ci dà testimonianza la Sua creazione visibile nelle bellezze naturali che nessun uomo è stato mai capace di uguagliare. Inoltre, vediamo il suo rapporto d’amore con l’umanità nella bellezza soprannaturale della vita di grazia, che raggiunge il suo culmine nella vita dell’Immacolata Vergine Maria e dei santi, che hanno offerto la loro vita in dono d’amore.
È stata l’arte religioso a plasmare attraverso i secoli la bellezza della carità divina, traducendola in un linguaggio comprensibile a tutti. Giovanni Paolo II diceva in un discorso agli artisti a Bruxelles che un mondo senza arte rischia di essere un mondo chiuso all’amore. Dato che l’arte nasce da un impulso del cuore umano, è un’espressione dell’artista chi si fa interprete delle realtà più profonde dell’essere umano[19].
Il noto filosofo russo Alexander Solzhenistsyn ci avvertiva che
…la sorgente della forza o dell’impotenza di una società è costituito dal livello spirituale della sua vita. La sola economia di mercato e persino l’abbondanza globale non possono essere la meta dell’umanità... Se in una nazione si esauriscono le forze spirituali, né la miglior struttura del regime, né il più importante sviluppo industriale la salveranno dalla morte. Un albero non vive se ha il cuore marcio. La distruzione delle nostre anime durante tre quarti di secolo è la cosa più terribile[20].
E non soltanto nella Russia comunista avenne il dramma dell'esaurimento delle forze spirituali. Già il Concilio Vaticano II aveva segnalato che è una cosa terribilmente triste il divorzio tra la fede e la vita quotidiana di molte persone, cosa che deve essere considerata come uno dei più gravi errori della nostra epoca[21].
Ciò nonostante, credo fermamente che «l’arte susciterà nuove epifanie di bellezza, nate dalla contemplazione del Cristo, Dio fatto uomo, dalla meditazione dei suoi misteri, dal loro irraggiamento nella vita della Vergine Maria e dei santi»[22]. Quest’arte sacra potrà dare il suo contributo prezioso per l’edificazione di una rinnovata cultura cristiana, di una cultura della vita[23] e della speranza, di cui ha tanto bisogno il nostro mondo.

4.      L’Areopago moderno
Se San Paolo avesse vissuto oggi andrebbe ben certo agli areopaghi moderni del nostro tempo, per incontrarsi con i saggi, i poeti, filosofi, giornalisti ed artisti di questo tempo, come lo fece ad Athene quasi 2000 anni fa. Avrebbe nuovamente annunciato quel Dio che per molti è ancora ignoto, questo Dio che invece «non è lontano da ciascuno di noi, in lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 27)[24].
Anche oggi la «via pulchritudinis» può diventare una delle vie più adeguate per riuscire a trovare le risposte alle inquietudini più profonde dell’uomo moderno. Pero affinché l’arte possa riuscire in quella missione, c’è bisogno di imparare il linguaggio universale della bellezza, che possa rendere comprensibile il messaggio. Bisogna superare la confusione della Babele e giungere a fare un’arte che riesce in qualche maniera a scoprire il volto di Cristo alla luce del quale si rischiara anche il volto degli uomini.
Con lo sguardo fisso su di lui, crocefisso e risorto, l’uomo può comprendere se stesso come creatura realmente capace d’amore[25].

5.      Linguaggio universale della Bellezza
Quando arrivai a Roma, inizialmente per un anno di studio, e andai a vedere le opere d'arte non più nei libri o nei musei, ma nelle chiese dove si trovavano nel loro posto originario, vidi che tante persone s'inginocchiavano davanti alle stesse immagini che io guardavo soltanto dal punto di vista artistico. Che cosa vedevano loro che io non vedevo? Pian piano cadde anche il velo dai miei occhi per poter contemplare le dimensioni più profonde racchiuse nelle opere d'arte. Così l’arte religiosa cominciava ad essere per me una vera scuola che mi fece entrare nel mistero di Dio. L'arte m'introdusse nella vita divina in maniera sempre più autentica, più vera, fino a portarmi a capire che la vita spirituale doveva avere la vera supremazia nella mia vita. Capì inoltre che solo l’arte che rispondeva a certi criteri, aveva un messaggio capace di cambiare in una corretta direzione l’andare dell’uomo. Giacche «la bellezza ha di sua natura un linguaggio universale»[26], è bene cercare questi criteri, se si vuole arrivare a fare un’arte autenticamente cristiana.
a)      In primo luogo, costatavo che la maggior parte degli artisti aveva lavorato per Dio e che le loro opere erano state create per glorificare Dio e trattavano temi religiosi. Come diceva Giovanni Paolo II in un discorso agli artisti e ai giornalisti a Monaco di Baviera:
Per un lungo periodo di tempo la Chiesa è stata considerata la madre dell’arte. Essa agiva come mecenate; i contenuti della fede cristiana fornivano i motivi ed i temi dell’arte. Quanto ciò sia appropriato, lo si può riconoscere con un semplice esperimento mentale: togliamo dalla storia dell’arte europea e tedesca tutto ciò che ha a che fare con l’ispirazione cristiana e religiosa e vedremo quanto poco dell’arte sarà rimasto[27].
b)      La seconda cosa che osservavo era che l’arte religiosa era figurativa, cosa che ci spiega ancora il venerabile Giovanni Paolo II con molta semplicità:
La Chiesa ha bisogno dell’immagine. Il Vangelo viene narrato in immagini e parabole; deve e può essere reso visibile attraverso l’immagine. Nel nuovo testamento Cristo diventa l’immagine, l’icona di Dio invisibile. La Chiesa non è soltanto la Chiesa della parola, ma anche dei sacramenti, dei simboli santi. Per lungo tempo, oltre alla parola, sono state rappresentate le immagini del messaggio di salvezza, e ciò accade anche oggi. Ed è un bene. La fede non si rivolge soltanto all’udito, ma anche alla vista, ad entrambe le facoltà fondamentali dell’uomo[28].
c)      L’amore alla bellezza apre lo spirito al vero ed al bene, diceva Giovanni Paolo II in un discorso alla Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa[29]. Ogni agente fa cose somiglianti a sé e l’uomo opera sempre per un fine. Perciò, oltre che bella, l’opera dell’artista deve essere buona, cioè adeguata al suo modello, atta per il suo fine. «La verità è bella per se stessa», dice il Catechismo della Chiesa Cattolica nel numero 2500. E segue nel 2501: «Frutto di un talento donato dal Creatore e dello sforzo dell’uomo, l’arte è una forma di sapienza pratica che unisce intelligenza e abilità per esprimer la verità di una realtà nel linguaggio accessibile alla vista o all’udito».
San Tommaso dice che bellezza e bene stanno insieme: le cose buone sono belle come anche le cose belle sono buone. Si differenziano tra loro perché la bellezza è l’attributo che fa visibile la bontà, è la bontà che ha preso forma: per  questo si può dire che la bellezza aggiunge al bene la sua facoltà conoscitiva. La bellezza mette l’accento sulla contemplazione del bene, mentre il bene in se è qualcosa a cui si aspira, che si persegue. Infine occorre chiarire che la Bellezza fa nascere i desideri e produce l’amore, per questo sta più nel bonum che nel verum, che produce solo luce all’intelligenza[30]. Dunque, l’amore richiede una conoscenza del bene che si ama e la visione corporea è il principio dell’amore sensitivo. Analogamente, la contemplazione della bellezza e della bontà spirituale è il principio dell’amore spirituale. Quindi, la conoscenza è causa dell’amore così come il bene, il quale non può essere amato, senza essere conosciuto.
Dostojevskij dice: “La bellezza salverà il mondo!” In questo contesto la bellezza va interpretata come il riverbero della bellezza, dello splendore di Dio. Di fronte alla opprimente realtà del mondo contemporaneo, che noi apprendiamo ogni giorno attraverso i notiziari informativi, si dovrebbe realmente ampliare questa frase e dire: “Il bene, la bontà, l’amore salveranno il mondo![31].
d)      Anche se si cerca nuove forme di espressione, in fondo la bellezza secondo S. Tomaso, richiede sempre tre condizioni[32]:
-La integrità, il che vuol dire la perfezione, la realizzazione compiuta delle cose. Quello che è deficiente è di per se brutto (il brutto è l’assenza della bellezza dovuta). E bello quello che è finito, al quale non manca niente.
-Poi San Tomasso parla dell’armonia delle proporzioni, cioè, l’armonia fra le parti, l’articolazione tra loro (consonantia). La nostra natura umana è naturalmente orientata all’unità e l’ordine nelle cose.
-La terza caratteristica della bellezza è la luminosità (claritas), perché chiamiamo belle quelle cose che hanno nitidezza. L’intelligenza desidera capire quello che vede. Il bello produce godimento, perché l’intelligenza riconosce a se stessa nella bellezza.
e)      L’artista cristiano vive e trasmette per mezzo della sua arte le tre virtù teologali, come diceva Giovanni Paolo II in un’omelia per gli artisti a Bruxelles nel 1985.

Persuaso che esiste uno stretto legame tra la fede, la carità e la speranza da una parte, e la creazione artistica dall’altra, vorrei meditare con voi sui rapporti reciproci tra queste grandi ricchezze dello spirito umano[33]. 
La fede, perché è la principale tematica delle opere d’arte ed inoltre perché la visione di fede, fa che l’artiste possa farsi interprete delle problematiche dell’uomo in modo corretto.
La carità, perché l’opera d’arte sorge dal cuore dell’artista; è espressione di quello che ha dentro di se, mosso da un cuore amante, che è capace di commuoversi davanti alle diverse circostanze della vita. A sua volta un’opera bella può anche suscitare l’amore.
Ed infine la speranza, giacché l’artista ha un messaggio da trasmettere, che per aggiungere un bene alla vita umana, non dovrebbe essere senza comunicare speranza in un destino migliore.
f)        La misura delle cose non è l’essere umano; l’uomo non condiziona le cose da se stesso, ma entra in relazione con le cose. La contemplazione delle cose belle sviluppa un rapporto tra chi contempla e ciò che è contemplato. Inoltre, anche considerando che la bellezza sta nelle cose stesse, la loro contemplazione fa scoprire Chi le ha create.
Per questo possiamo considerare due aspetti nella questione del bello: quello soggettivo e quello oggettivo. L’estetica medievale, principalmente quella di derivazione neo-platonica, attribuisce la bellezza alla forma, non alla relazione del soggetto con essa. Invece con lo scorrere del tempo, si è imposto il problema della soggettività in relazione all’apprezzamento della bellezza[34].
Infatti, se è caratteristica del bello di causare godimento, come scrive san Tommaso[35], allora non è possibile prescindere dal soggetto al quale deve piacere. La bellezza è una proprietà degli oggetti, ma in quanto essi si pongono in relazione con un soggetto. La bellezza può essere definita come ‘qualità dell’oggetto in relazione al soggetto’. Non esiste bellezza senza un oggetto costruito in modo che possa provocare la compiacenza, però neanche può esistere bellezza senza un soggetto al quale compiacere. Non possiamo affermare che una cosa sia bella perché l’amiamo, ma, al contrario, che l’amiamo perché è bella e buona in se stessa, al di là dei nostri gusti personali[36].
g)      Sulla scorta di san Tommaso, possiamo affermare che ‘la bellezza può essere esteriore’ in quanto alla disposizione adeguata del corpo e la pienezza degli elementi esteriori che lo compongono, con riferimento alla proporzione delle membra, della forma e dei colori; e che ‘la bellezza può essere anche interiore, spirituale in riferimento alla disposizione adeguata e alla pienezza del bene spirituale, che una persona o una cosa ha in sé e comunica ad un soggetto. Così si può definire “bello” non solo il messaggio che può trasmettere un’opera d’arte, ma si può dire “bella” anche la persona che vive in pienezza la sua particolare vocazione, trovando per mezzo di essa il cammino verso la sua personale perfezione[37]. Con l’anima in grazia di Dio, si può riflettere l’inabitazione di Dio in noi.
Concludiamo che un’arte universale è capace di esprimere tutto quello che è pienamente umano. È per il fatto che sa unire il mondo intero in ammirazione; come ha fatto l’arte di Michelangelo, Mozart, Dante, etc., ha l’effetto di creare un legame tra tutti gli uomini per la sua bellezza universale che supera le frontiere culturali e le differenza tra e i limiti degli uomini. Dice ancora Giovanni Paolo II agli artisti a Bruxelles:
Non solo l’arte permette di comunicare il mistero dell’uomo che vuole evocare, rappresentare, dipingere, cantare, ma crea un legame tra tutti gli uomini che la praticano, la contemplano o ne gioiscono. In quanto espressione di tutto ciò che è pienamente umano, essa è universale e sfida il tempo e lo spazio. La memoria umana non cessa di tornarvi. Attraverso le epoche e le culture diverse, l’arte autentica si rivolge a tutti gli uomini. Li riunisce, come fa l’amore. Il potere, l’ambizione, la brama di possedere sono cause di divisione: si possiede ciò di cui l’altro è sprovvisto. Ma quando ascoltiamo insieme un concerto, quando ammiriamo un’opera d’arte, riceviamo tutti questo dono, ciascuno a modo suo, e questa esperienza ci arricchisce[38].

6.      L’Ecce Homo
Dio è la Suprema Bellezza, perciò è anche «l’Artista», creatore delle cose belle, a somiglianza di se stesso. San Tommaso sottolinea che Dio Padre ha fatto la creazione attraverso il Suo Verbo, che è Suo Figlio[39]. È mediante la contemplazione di questo Figlio Divino, trasfigurato del dolore quel terribile Venerdì Santo, che fu messo in mostra da Pontio Pilato come «l’Ecce Homo», che possiamo trovare la risposta ad un incognito di tanti artisti contemporanei.
La croce di Cristo ci spiega l’esistenza della bruttezza, la deformità, la malattia. Umanamente parlando sembrerebbe inammissibile; però, alla luce della fede, il mistero del male e del dolore si trasfigura, come già ci ha mostrato Gesù sul monte Tabor, dove nello splendore della Sua gloria ha parlato della Sua imminente passione e morte in croce.
Nella croce di Cristo si può trovare la risposta alla mancanza di bellezza. Il problema del male si chiarisce, infatti, unicamente alla luce del Verbo Incarnato; il problema del dolore s’illumina solo alla luce della Croce di Gesù. La Sua deformità, «più un verme anziché un uomo»[40], fu l’accesso alla bellezza originale perduta. Se abbiamo occhi per vedere, possiamo capire che anche nella mancanza di bello, si trova in forma velata l’ideale nascosto. Come la Trasfigurazione sul Monte Tabor ci rivela per un istante la Suprema Bellezza che ancora non può rimanere presso di noi, «O felice colpa, che ci ha meritato così grande Redentore»[41]. È veramente così che la bellezza è capace di aprirci, per un istante fugace, l’eternità[42].
È proprio l’amore con cui Cristo ci ha amati che trasfigura, «l’uomo dei dolori davanti a cui ci si copre la faccia» (Is 53,3), nel più bello dei figli degli uomini.
Spesso l’artista si vede interpellato dai problemi dell’uomo di dimostrare anche la verità sulla nostra miseria umana. La rappresentanza del male, il brutto, è possibile, giacché diventa somigliante all’«Ecce Homo», presente nella sofferenza dell’uomo d’oggi. 
La letteratura, il teatro, il cinema e l’arte figurativa si pongono oggi come critica, come protesta, come opposizione, come accusa contro questo stato di cose. La bellezza sembra appartenere ad una categoria dell’arte che va a vantaggio di una rappresentazione dell’uomo nella sua negatività, nella sua contraddizione, nella sua mancanza di vie d’uscita, nell’assenza d’ogni significato.
Questo sembra essere l’«ecce homo»  d’oggi.
Il venerabile Giovanni Paolo II in un suo discorso agli artisti e giornalisti a Monaco di Baviera ci da luce su questa tematica tanto discussa, riguardo i criteri che possono essere adoperati quando si tratta di rendere comprensibili la verità e la profondità del mondo e dell’uomo, della quale fanno parte anche gli abissi umani[43]. Dice che si può rappresentare il bruto quando si tratta del bisogno di rappresentare la verità che si vive, per denunciare il male, per muovere l’uomo a reagire davanti all’ingiustizia, davanti al male.
Quando viene rappresentata la realtà del male, si vuole presentare, anche nell’intima logica dell’arte, il terribile come terribile, si vuole sgomentare. In questo modo la rappresentazione non ha come fine di confermare il male; piuttosto si propone come scopo che la situazione non peggiori, anzi, che migliori. Devi cambiare la tua vita, devi tornare indietro per iniziare di nuovo, devi opporti al male, perché non sia il male ad avere l’ultima parola, perché non diventi una concreta realtà[44].
Il venerabile Papa avverte pero che bisogna stare attenta di non gustarsi nel male, e neanche di rimanerci rinchiuso, senza speranza:
Questo non è soltanto il grido e l’esortazione della Chiesa, è anche l’impegno dell’arte e del giornalismo in tutti i campi - e ciò non comporta un’ulteriore ipoteca moralistica. La forza che aiuta, la forza che salva, la forza liberatrice e purificatrice è stata rappresentata dall’arte fin dal tempo dei greci; da ciò ci viene l’incoraggiamento alla speranza e alla ricerca di un’interpretazione, anche se tutte le domande sul “perché” non possono essere risolte. Tutto ciò non deve andare perso nell’arte di oggi, per l’arte stessa e per l’uomo. In questo servizio si può e si deve giungere ad un’unione dell’arte e della Chiesa, senza che ciò ne cancelli le rispettive originalità[45].

7.      Gli’artisti «custodi della terra»
Forse l’uomo contemporaneo ha bisogno più che mai dell’aiuto della bellezza per elevare la sua anima a Dio. Diceva il servo di Dio Paolo VI che la Chiesa da tempo ha fatto alleanza con gli artisti e chiede agli artisti di continuare ad aiutare giacché il mondo ha bisogno della bellezza per non eclissarsi nella disperazione, considerando che la bellezza, come la verità, è ciò che dà la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione[46]. Diceva il venerabile Giovanni Paolo II: «L'artista deve avere coscienza di compiere una missione al servizio della Chiesa, perché l'arte sacra deve esprimere la fede e la speranza della Chiesa»[47].
Chi può negare il valore universale e trascendentale delle opere musicali di Palestrina, delle pitture di Michelangelo nella Cappella Sistina, della poesia della Divina Commedia di Dante Alighieri. Fino al giorno d’oggi queste opere d’arte sacra ci parlano colla stessa freschezza e la stessa convinzione dello splendore di Dio, da quando sono state create. Ancora oggi la Chiesa ha bisogno di artisti capaci di fare delle opere d’arte che abbiano la forza interiore di superare i limiti del tempo, delle culture e dell’individualismo, e che sappiano dare colla stessa convinzione il messaggio che ci hanno dato Michelangelo, Fra Angelico e tanti altri grandi maestri dell’arte cristiana.
Il Concilio Vaticano II diceva: «Voi siete i guardiani della bellezza del mondo: basti questo a liberarvi da gusti effimeri e senza valori veri, a rendervi capaci di rinunciare ad espressioni strane o malsane. Siate sempre e dovunque degni del vostro ideale” (Katholiek Archief, 21 [1966] 13, k. 425)»[48].
Di certo ciò richiede una preparazione da parte dell’artista. È una verità molto profonda il fatto che nessuno può dare quello che non ha, e perciò l’allora Card. Ratzinger diceva nel suo libro Introduzione nello spirito della Liturgia che la sacralità dell'immagine deve essere il frutto di una contemplazione interiore:
L'immagine di Cristo e le immagini dei santi non sono delle fotografie. La loro essenza è quella di condurre al di sopra di ciò che è puramente constatabile sul piano materiale e di insegnare un nuovo modo di vedere, che percepisca l'invisibile dentro il visibile. La sacralità dell'immagine consiste proprio nel fatto che proviene da una visione interiore e proprio per questo conduce, a sua volta, a una visione interiore. Essa deve essere frutto di una contemplazione interiore, di un incontro credente con la nuova realtà del Risorto e, in questo modo, condurre di nuovo allo sguardo interiore, all'incontro orante con il Signore. L'immagine serve alla liturgia; la preghiera e lo sguardo, in cui si formano le immagini, devono quindi essere preghiera e sguardo condiviso, in comunione con la fede vedente della Chiesa: la dimensione ecclesiale è essenziale all'arte sacra e così pure il legame interiore con la storia della fede, con la Scrittura e la tradizione[49].
Come si applicano questi principi nel campo pratico? A questa domanda, il allora Cardinal Ratzinger rispondeva nella sua opera citata che, un’opera d'arte, e possiamo aggiungere in più d'arte sacra, non é un mero prodotto o apparato tecnico, ma essa è sempre innanzitutto un dono, risponde ad un'ispirazione, la cui si deve ricevere gratuitamente. Per rinnovare l'arte nella fede, continua il Cardinale Ratzinger, non si tratta né di denaro né di commissioni d'opera d'arte. Si richiede invece, prima d'ogni altra cosa, il dono della visione di fede. Perciò, lui finisce, tutti noi dovremmo essere preoccupati di poter giungere nuovamente ad una fede capace di vedere. Dove ciò avviene, anche l'arte trova la sua giusta espressione[50].
Natalia Fedorova Brovskaja magnificamente ci introduce nel tema della sacralità dell'ispirazione artistica: 
L'opera d'arte deve essere come la preghiera dell'artista e colui che guarda la sua opera dovrebbe essere cosciente di essere immerso nell'atmosfera di questa preghiera, come un sacerdote nella sua celebrazione liturgica è immerso nella preghiera eterna di Cristo[51].

Possiamo così capire più profondamente l'opera creatrice della quale ogni artista partecipa. E ancor di più, possiamo capire che è Dio che in un certo modo scende di nuovo sulla terra e «in ogni opera d'arte Gesù è disposto a soffrire, ad essere crocifisso e a morire nell’anima di ogni pittore, per far crescere il suo talento, che fu creato dal Padre come linguaggio del Suo Figlio diletto»[52]. E dunque, se siamo muniti di questa consapevolezza nella fede, quando ormai vedremo un’opera d'arte che ci comunica la bellezza di Dio, saremo come i tre apostoli sul Monte Tabor. Cadremo a terra in profonda ammirazione, desiderosi di costruire tre tende per rimanere per sempre nella visione della candida bellezza del Gesù glorioso.
Fatto ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo ha la capacità di sviluppare, attraverso le sue opere, il suo mondo interiore. Non c’è dubbio, infatti, che l’uomo che si dedica profondamente alle arti viva una particolare relazione con la bellezza, e si può dire, come ha affermato Giovanni Paolo II, che la bellezza sia «la vocazione a lui rivolta dal Creatore»[53].
L’arte sacra deve aiutare a chiarire il culto ed il mistero divino che si celebra, deve sostenere e arricchire la preghiera e la devozione. Tristemente, la mancanza di bellezza di certi tipi d’arte sacra e di molte chiese moderne fa capire lo stato della vita spirituale in generale. Nelle piazze, gli edifici pubblici, le scuole, i musei, le chiese e gli oratori privati, sono pieni di cose brutte, segni dei nostri tempi, marcati spesso da una grande povertà spirituale. Le statue deformi, il vuoto, il grigio cemento armato, i crocifissi con l’ombra di un Dio fatto uomo in pezzi di ferro arrugginiti, i vasi sacri di terracotta, un tronco per l’esposizione del Santissimo Sacramento, chiese come saloni di teatro, ecc., gli esempi sono ben noti. È giusto e doveroso fare riferimento alla lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II: «Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al “formalismo” ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le “forme” scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti»[54].
Occorre l’impegno a restaurare nei luoghi sacri la dignità del Creatore ed anche di noi stessi, creati a Sua immagine e somiglianza. Occorre la consapevolezza che, nella nostra debolezza umana, abbiamo bisogno delle cose belle per elevarci dalle cose meramente materiali all’unione spirituale con Dio.
«La creazione artistica ha bisogno ogni volta di una nuova “ispirazione”»[55]. Giovanni Paolo II incoraggiava gli artisti a «vivere profondamente la realtà della fede cristiana, così che essa diventi generatrice di cultura e doni al mondo nuove “epifanie” della bellezza divina, riflessa nella creazione»[56].

8.      L’uomo ha nostalgia della bellezza
La voce di Dio ci chiama per mezzo delle cose belle che ci circondano. Spesso sospiriamo con sant’Agostino: «Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato!”, comprendendo che la bellezza non è una cosa, ma è Qualcuno, l’Unico che si debba amare al di sopra di tutto. La bellezza ci aiuta ad entrare in una relazione con Dio. Ricerchiamo la bellezza perché vogliamo contemplare l’amore di Dio. L’essere umano “come il cervo assetato»[57], cerca il Suo Dio e sente la nostalgia di quella bellezza, che è capace di alleggerire la sua fatica terrena, rivelando, anche solo per un istante, lo splendore dell’eternità nella visione beatifica. Benedetto XVI nella sua enciclica Deus Caritas est scrive: «Si sarebbe attuata così la promessa dei “fiumi di acqua viva” che, grazie all'effusione dello Spirito, sarebbero sgorgati dal cuore dei credenti (cfr. Gv 7, 38-39). Lo Spirito, infatti, è quella potenza interiore che armonizza il loro cuore col cuore di Cristo e li muove ad amare i fratelli come li ha amati Lui, quando si è curvato a lavare i piedi dei discepoli (cfr. Gv 13, 1-13) e soprattutto quando ha donato la sua vita per tutti (cfr. Gv 13, 1; 15, 13)»[58].
La contemplazione è un atto d’amore. Nella contemplazione delle cose belle create da Dio, possiamo intuire la Sua bellezza che provoca in noi l’uscita da noi stessi e ci fa attingere alla fonte della salvezza. In questo modo la bellezza diventa una bellezza che salva. La bellezza della creatura non è altro che una somiglianza della divina bellezza partecipata nelle cose, per questo san Tommaso fa riferimento al libro della Sapienza: «Mi sono innamorato della Sua Bellezza» (Sap 8,2)[59]. La ‘visione mistica’ della bellezza delle cose create è il riflesso della Bellezza nel senso assoluto, cammino per mezzo del quale l’uomo può elevarsi a Dio.
L’Incarnazione ha dato all’uomo la possibilità di raggiungere la Bellezza, di unirsi a Dio già in questa vita. In maniera molto particolare, la Bellezza divina è rimasta con noi ed in noi, nascosta sotto forma di pane e di vino. «E’ stata Chiara Lubich a dire, durante un incontro con artisti di tutti i generi, che Gesù ha creato il suo capolavoro artistico con l’istituzione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Come ogni artista vuole rimanere presente attraverso la sua opera lungo i secoli per molti uomini, così anche Gesù, esprimendosi pienamente nell’ostia e nel vino consacrati»[60]. In qualche maniera l’Eucaristia è l’inizio della divinizzazione della materia[61]. Attraverso la specie del pane, Dio si fa presente in mezzo a noi. La bellezza ci rivela in qualche maniera il Suo Creatore.
Dobbiamo anche ricordare che l’uomo è egli stesso oggetto della bellezza. San Agostino scrive: «ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te»[62]. Abbiamo detto all’inizio che la bellezza «chiama», ci attira verso di se, è capace di muovere la nostra volontà alla ricerca di Dio, il quale è più Bello della bellezza riflessa nelle cose create. Dobbiamo approssimarci a Lui, contemplarLo e compiere in noi stessi l’opera alla quale siamo tutti chiamati. Diamo a Dio il dono della bellezza della nostra anima, «purificata e bianca come la neve»[63], piena della Luce divina che è la grazia santificante e che ci prepara per la tanto agognata visione beatifica del volto di Dio.
Senza dubbi l'autentica arte sacra può dare veri frutti di conversione nell’anima di coloro che la contemplano. Ricordiamo ad esempio ciò che scriveva santa Teresa di Gesù, nella sua autobiografia:
Entrando un giorno nell’oratorio, i miei occhi caddero su una statua che vi era stata messa, in attesa di una solennità che si doveva celebrare in monastero, e per la quale era stata procurata. Raffigurava Nostro Signore coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi, ebbi tal dolore al pensiero dell'ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe, che mi parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un profluvio di lacrime, supplicandolo a darmi forza per non offenderlo più[64].
Un’altra bellissima testimonianza della forza di convinzione che nasce dalla contemplazione dell'arte, l’ha data Natalia Fedorova Brovskaja, durante il Sinodo della Parola di Dio, celebrata nel 2008. Cresciuta nella Russia atea, non pensò mai a Dio e nessuno gliene parlò mai ad eccezione delle opere d'arte, della musica e della letteratura. Diceva che per lei l'arte cristiana diventò un cammino verso lo spazio della vita di Dio[65].
Anche il Santo Curato di Ars diceva che molte volte non c’era bisogno d’altra cosa per commuoverci che soltanto la visione di una immagine; con frequenza questi feriscono ugualmente forte, che le cose che rappresentano[66]. 
In un discorso alla Pontificia Commissione per la cultura, poco prima della sua dipartita al cielo, il Papa Giovanni Paolo II segnalò con rinnovata preoccupazione che la «Commissione aveva disegnato una nuova geografia della non credenza e dell’indifferenza religiosa attraverso il mondo, constatando una rottura del processo di trasmissione della fede e dei valori cristiani»[67].
Ciò nonostante queste parole dell’amato Santo Padre, che esprimono la preoccupazione di tutti noi sul destino delle nuove generazioni, non le proferì senza darci anche un suo solito segno di speranza. Nello stesso messaggio segnalò proprio la via della bellezza, come il possibile vettore del messaggio evangelico, facendo vedere che:
Le espressioni culturali e artistiche non mancano di ricchezze né di risorse per trasmettere il messaggio cristiano. Esse richiedono tuttavia delle conoscenze per esserne i vettori e per poter essere lette e comprese. Nel momento in cui la grand’Europa ritrova forti vincoli, è importante sostenere il mondo della cultura, delle arti e delle lettere, perché contribuisca all’edificazione di una società fondata non sul materialismo, ma sui valori morali e spirituali[68].


9.       L’arte ha le sue esigenze
Il venerabile Papa Giovanni Paolo II diceva in un discorso agli artisti che:  
“l’arte ha le sue esigenze”. Quale senso dell’uomo comunica? Quale visione dell’amore presenta? Quale comunione tra gli uomini ispira? Da quale rispetto è animata per la coscienza dell’uomo, per il suo senso religioso? Sarebbe giusto chiederlo agli artisti. L’albero si riconosce dai frutti. È il cuore dell’artista che si rivela attraverso le sue opere. A voi, cari fratelli e sorelle, che ponderate la vostra responsabilità in questo settore, voglio dire, con San Paolo: “Tutto quello che è vero, nobile e giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4, 8)[69].
Nel suo libro già citato, l’allora Cardinal Joseph Ratzinger, ci spiega ancora che bisogna saper distinguere tra l’arte sacra, propria della liturgia, e l’arte religiosa in generale:
Resta però una differenza tra l'arte sacra (quella che si riferisce alla liturgia, che appartiene all'ambito ecclesiastico) e l'arte religiosa in generale. Nell'arte sacra non c'è spazio per l'arbitrarietà pura. Le forme artistiche che negano la presenza del Logos nella realtà e fissano l'attenzione dell'uomo sull'apparenza sensibile, non sono conciliabili con il senso dell'immagine nella Chiesa. Dalla soggettività isolata non può venire alcun arte sacra. Essa suppone piuttosto il soggetto interiormente formato dalla Chiesa e aperto verso il noi. Solo così l'arte rende visibile la fede comune e torna a parlare ai cuori credenti. La libertà dell'arte che deve esserci anche nell'ambito delimitato dell'arte sacra, non coincide con l'arbitrarietà. [...] Senza fede non c'è arte adeguata alla liturgia. L'arte sacra si trova sotto l'imperativo della seconda lettera ai Corinzi: guardando a Cristo, noi «veniamo trasformati nella sua immagine, di gloria in gloria, mediante lo Spirito del Signore» (3,18)[70].
 L’arte sacra è creata per il culto divino:
...trova i suoi contenuti nelle immagini della storia della salvezza, a cominciare dalla creazione e dal primo giorno fino all'ottavo: quello della resurrezione e del ritorno, in cui la linea della storia si compie come un cerchio. Di essa fanno parte soprattutto le immagini della storia biblica, ma anche la storia dei santi come spiegazione della storia di Gesù Cristo, come il farsi fecondo lungo tutto il corso della storia del seme di grano che, caduto in terra, muore[71].
I Padre Conciliari dichiaravano che:
La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica[72].
            Mi parla di Dio l'arte contemporanea? O piuttosto mi parla dell'uomo e della sua miseria, incapace di sollevare lo sguardo, prigioniero in un vicolo cieco di soggettivismo che non guarda oltre il meramente umano e visibile? «Bisognerebbe togliere la polvere dell'ignoranza, il disprezzo, la pietà disorientata che spesso ha fatto perdere all'arte sacra il suo autentico significato ed il suo ruolo»[73]. Spesso sembra che l'opera d'arte in sé sia diventata più importante di Dio, che è il fine ultimo di ogni creatura.
Giovanni Paolo II diceva ancora agli artisti radunati intorno a lui a Bruxelles:
Certo, l’arte è sempre una “prova”. Ma non tutte le prove sono egualmente ispirate e felici. Alcune sembrano allontanarsi dalla vocazione dell’arte a tradurre il bello, il vero, l’amore, ciò che vi è di più profondo nella natura che è l’opera di Dio, e nel cuore dell’uomo segnato da un destino trascendente. E quando l’arte è interprete di realtà propriamente religiose o si vuole “sacra” si è in diritto di chiederle di evitare ogni falsificazione, dissacrazione, attentato al sentimento religioso delle persone, alle verità delle fede, alle virtù che costituiscono il loro ideale. Questo rispetto degli uomini per ciò che essi hanno più a cuore è fondamentale per la dignità dell’arte.[74]
Il beato vescovo Manuel González, in un suo saggio sull’arte e la liturgia chiarifica le nostre idee al riguardo dicendo:
L’arte nella Chiesa è un accidente, non una sostanza; è un mezzo, non un fine.[75] Non si fanno le chiese per riempirle d'oggetti artistici che attirano gli ammiratori e i turisti affinché vadano a curiosare e ad ammirare. Le chiese si edificano in omaggio a Dio e per il servizio spirituale dei fedeli; tutto in esse, quindi, deve essere subordinato a detto fine.
Casa di Dio e porta del cielo, casa delle anime, casa paterna dei figli di Dio, scuola d'ogni verità, ospedale dei cuori malati, mensa per le anime affamate, faro sempre acceso per i naviganti del mare della vita, si chiamano con tutta ragione i templi cattolici e tutto quanto in loro si fa, si dice o si espone, deve essere condizionato da queste diverse denominazioni e ruoli[76].
Quando contempliamo un'opera d'arte sacra dovrebbe essere possibile  rispondere alla domanda di Gesù ai suoi discepoli: “Voi chi dite che io sia?” (Mt. 16, 15).  Diceva l'allora Card. Ratzinger e l'attuale Pontefice Benedetto XVI nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia che «bisogna rivalutare le linee fondamentali di una teologia dell'immagine». Eppure essendo «vero che non devono esserci delle norme rigide, affinché le nuove esperienze religiose e i doni di nuove intuizioni devono poter trovare un loro spazio nella Chiesa»[77], è in ogni modo importante non perdere di vista la finalità dell'opera d'arte nella chiesa che va oltre l'arte per l'arte, per compiere una missione ben specifica per la lode di Dio e la salvezza delle anime. La libertà e la creatività sono valide se hanno un senso, uno spazio, un ordine del suo esercizio, altrimenti decadono di valore, contraddicendo ogni senso e se stesse. Questo è sempre valido, ed a maggior ragione nell’ambito dell’arte sacra.

10. La missione dell’opera d’arte religiosa e sacra
L'arte religiosa ha il compito primordiale dell'evangelizzazione. Durante secoli le opere più belle hanno saputo introdurre i popoli del mondo intero nel messaggio della fede, trasmettendo in maniera autentica le verità profonde racchiuse nel Vangelo mediante lo splendore delle immagini che parlano al cuore dell'uomo. La bellezza delle opere ha parlato silenziosamente della bontà di Dio, spingendo l'anima a cercare la vita di grazia, l'unione intima con Dio.
Dice la Sacrosanctum Concilium:
Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio[78].
L’opera d’arte sacra ha il compito principale di introdurre l'anima nel mistero di Dio, coinvolgendola e portandola a voler entrare in contatto col Suo Salvatore, invitandola alla preghiera che l’aiuterà ad elevare l'anima a Dio[79]. L'arte sacra deve chiarire il mistero, muovere al pentimento, però deve anche saper comunicare la speranza nel dolore e nella difficoltà, spingere all'esercizio della virtù, e addirittura all'eroismo degli atti grandi realizzati per amore di Dio. L’arte sacra mi deve comunicare Dio, mettere in contatto con Lui, con la Madonna Santissima, con i santi. Inoltre l’arte sacra deve indicare la centralità dei sacramenti, principalmente dell'Eucaristia, giacché è creata per il culto divino e
...intimamente legata all'azione liturgica. [...] Per questo l'immagine di Cristo è il centro dell'arte figurativa sacra. Il centro dell'immagine di Cristo è poi il mistero pasquale: Cristo viene rappresentato come Crocifisso, come Risorto, come Colui che ritorna e che già ora regna nel mistero. Ogni immagine di Cristo deve portare in se questi tre aspetti fondamentali del mistero di Cristo, deve, cioè, essere un'immagine pasquale. [...] In quanto immagine centrata sulla Pasqua, l'immagine di Cristo è sempre icona dell'Eucaristia: essa rinvia, cioè, alla presenza sacramentale del mistero pasquale[80].
Il nostro amato e compianto Papa Giovanni Paolo II ci ha detto altresì che:
L'autentica arte cristiana è quella che, mediante la percezione sensibile, consente di intuire che il Signore è presente nella sua Chiesa, che gli avvenimenti della storia della salvezza danno senso e orientamento alla nostra vita, e che la gloria la quale c'è promessa, trasforma già la nostra esistenza. L'arte sacra deve tendere ad offrirci una sintesi visuale di tutte le dimensioni della nostra fede[81].
Il Cardinale George durante un suo intervento nel Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio ha segnalato una preoccupazione vera che senza dubbi riguarda anche il mondo dell'arte. Si tratta della familiarità con la Bibbia, che in precedenza rendeva popolarmente identificabili le immagini sacre, come per esempio il Figliol prodigo, il buon samaritano, ecc., e ciò si sta perdendo. Oggi questi racconti biblici sono in gran parte spariti dall'immaginazione popolare, e di conseguenza stanno anche per sparire dal mondo dell'arte e del teatro. Dietro questa perdita delle immagini bibliche si nasconde la perdita di un senso e di un'immagine di Dio, come Attore principale nella storia umana[82].
Deriva quindi dalle problematiche attuali del nostro mondo l’urgenza della promozione di un’arte sacra, che sia capace di comunicare la semantica del sacro, che ci viene donato per la misericordiosa e provvidente iniziativa divina, anche oltre le mura delle nostre chiese. La crisi di fede, l'apostasia, la perdita del senso della vita, la banalizzazione dei valori e la superficialità nella società del consumismo sono giunte a toccare i limiti della dignità umana. L'arte mediante la sua grande capacità comunicativa potrebbe ancora parlare al anima dell'uomo allontanato da Dio. Il linguaggio della bellezza arriverà più in là delle parole e saprà ancora muovere i cuori induriti e speranzosi.
Perciò vale la pena insistere sulla grande importanza del ruolo pedagogico dell'arte in generale per la restaurazione degli spiriti, e analogamente, per la particolare «pedagogia della fede»[83], dell’arte sacra. Nella liturgia della Chiesa non c’è nessun dettaglio che sia di poca importanza, che non racchiuda un grande significato e così anche le opere d'arte sacra che la attorniano sono ancora oggi come la Bibbia degli illetterati[84].
Speriamo che l'arte sacra possa riprendere con nuovo vigore la sua forza evangelizzatrice in mezzo ad un mondo che si allontana sempre più da Dio. Il messaggio evangelico è più attuale che mai e l'amore non si lascerà spegnere, né potranno annegarlo le grandi acque (Cant 8,7) che separano l'uomo dalla sua fonte divina. La sete di Dio, di verità, d'amore autentico renderanno sempre attuale la ricerca del più bello fra i figli dell’uomo(Sal 44,3). Gli esseri umani sono stati creati ad immagine di Dio, e quindi per conoscere noi stessi dobbiamo conoscere Gesù. L'arte ci fa da specchio e nell'attualità ci fa capire quanto poco conosciamo Dio e il disegno amoroso che il nostro Creatore ha pensato per noi, i suoi figli. C'è bisogno allora di una restaurazione dell'immagine di Dio in noi, una restaurazione dell'arte che ci istruisce nelle verità divine senza arbitrarietà, che ci conduce all'unione con Lui nella speranza di poter un giorno contemplare faccia a faccia la bellezza del Volto Divino.

11. Maria Modello della Chiesa: Un’arte sacra fondata sulla bellezza di Maria
Per concludere, vorrei ancora sottolineare l’urgenza dell’evangelizzazione della cultura attuale, come è espresso nella Gaudium et Spes e citato già prima: «Il distacco, che si costata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»[85]. La Vergine Santissima è l’opera maestra di Dio, la Lumen Gentium spiega che «mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione, con la quale è senza macchia e senza ruga (cfr. Ef 5,27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti»[86].
La Santissima Vergine Maria è il primo essere umano entrato talmente in profondità nel mistero dell'amore divino, da essersi adornata di una bellezza suprema. Lei e il Suo Figlio Gesù, furono gli unici esseri umani ad essere stati sulla terra senza la macchia del peccato. Quando penso alla Chiesa, penso a Lei come a una Madre, che accoglie i suoi figli da ogni parte. Perciò, se penso alla Chiesa, penso alla Vergine Santissima e mi risuona spesso quello che dice la costituzione dogmatica Lumen Gentium  nel Capitulo VIII, che «La Madre di Dio è figura della Chiesa»[87], per la sua maternità e la sua verginità. Come tale anche la Chiesa è madre e vergine, portatrice della stessa bellezza soprannaturale che corona la Santissima Madre di Dio. Quanto più sento parlare dei problemi dentro la Chiesa brilla davanti ai miei occhi la bellezza verginale di Maria, che nonostante tutte le difficoltà attraversate nei tempi e le tempeste, permane sempre vergine e madre. «La Chiesa viene pure descritta come l’immacolata Sposa dell’Agnello immacolato, Sposa che Cristo ha amato… e per essa ha dato se stesso, al fine di santificarla»[88].
Allora, la casa di Dio come tale deve essere un riflesso della Sua Bellezza, perché «l'altare è il luogo del cielo squarciato; esso non chiude lo spazio ecclesiale, ma lo apre alla liturgia eterna»[89].  È quella bellezza interiore e feconda: verginale e maternale, sulla quale bisognerebbe riflettere nello stesso edificio della chiesa, dove il fedele corre per trovare un sollievo per l’anima, un consiglio, come se corresse a casa di sua madre, trovandone la purezza dell’autenticamente sacro. L’Aquinate scrive: «Alla verginità ... si attribuisce la bellezza più sublime» (S. Th. II-II, 152, 5).  Perciò, nelle chiese non ci può essere il vuoto, come spesso ho sentito nelle chiese protestanti del mio paese natale, o nelle chiese moderne che sono state costruite, dove sembra che né la Madre, né il Figlio stanno a casa... Bisogna ancora oggi costruire le chiese intorno al cuore eucaristico, ma per poterlo fare c’è prima bisogno di conoscere il cuore eucaristico e di riceverlo, per poter poi fare un’arte veramente sacra.
Il Vangelo e i suoi valori devono penetrare fino al cuore della nostra cultura, cosciente che l’uomo può vivere una vita pienamente umana, se la sua cultura è cristiana. Quanto più profondamente arriva a trasformare il cuore dell’uomo quanti più segni di santità trasmetterà. Ed è appunto ciò che renderà il mondo più vivibile e le anime delle persone più belle, perché in esse brillerà l’amore della carità che è la sola forza che rende l’uomo capace di superare i suoi limiti. Il nostro Papa Benedetto XVI ha detto ancora colle parole del suo venerato predecessore Giovanni Paolo II:
L’amore è come una grande forza nascosta nel cuore delle culture, per sollecitarle a superare la loro finitezza irrimediabile aprendosi verso Colui che di esse è la Fonte e il Termini, e per dare loro, quando si aprono alla sua grazia, un arricchimento di pienezza (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 2 [1982], p. 1778)[90].
Che la nostra fede, guardando il Cuore del Cristo trafitto sulla croce e il Cuore trapassato dal dolore della Vergine purissima, risvegli in noi una risposta d’amore generosa ed uno slancio missionario che nasce dalla coscienza di saperci figli di Dio, figli della Chiesa e il desiderio di comunicare questo grande dono a tutti coloro che ignorano ancora il destino sublime al quale sono stati chiamati.
Possa Dio realizzare in ciascuno di noi questa Sua opera suprema della santificazione delle nostre anime, in modo da diventare ogni volte più somiglianti a Colui che è tutto santo, «il più bello tra i figli dell’uomo».

Suor Maria de Anima Christi
10 marzo 2010




[1] S.Agostino, De Trinitate VI, 10, 12; trad. it. G. Beschin, Città Nuova Editrice, Roma 1973, 20033, 287.
[2] È stato proprio attraverso la contemplazione delle belle arti che Dio si è manifestato nella mia vita. Quando da studentessa di Storia dell’Arte sono partita dall’Olanda per studiare a Roma, la mia immagine di Dio era piuttosto “astratta”. Guardavo le opere artistiche nelle chiese di Roma, splendidi “musei” agli occhi di chi non intende che sono innanzitutto la casa di Dio, dove al vedere altri inginocchiarsi in devota preghiera, cominciai a vedere i primi raggi del Volto di Dio. Così per mezzo dell’arte, Gesù mi ha attratto verso di sé ed infine anche verso la nostra piccola Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato, che ha come carisma il compito “dell’Evangelizzazione della cultura”. «Il miracolo della trasfigurazione […] deve ricordarci il fine specifico della nostra piccola famiglia religiosa: evangelizzare la cultura, cioè trasfigurarla in Cristo», Direttorio di Spiritualità del Instituto Serve del Signore e della Vergine di Matará, Roma 2005, n. 122.
[3]  Sal. 44,3.
[4] Cfr. Santo tomasso d’aquino, Summa Theologica I, q. 39, a.8.
[5] «Sicut Augustinus dicit, in VI De Trin., Patri attribuitur aeternitas propter commendationem principii, quod etiam importatur in ratione aeternitatis. Ibidem etiam Augustinus dicit quod Filius est ars Patris. Sic igitur auctoritas iudicandi attribuitur Patri inquantum est principium Filii; sed ipsa ratio iudicii attribuitur Filio, qui est ars et sapientia Patris, ut scilicet, sicut Pater fecit omnia per Filium suum inquantum est ars eius, ita etiam iudicat omnia per Filium suum inquantum est sapientia et veritas eius» (Santo tomasso d’aquino, Summa Theologica III, q. 59, a. 1, ad 2). Citato anche nel Direttorio di Spiritualità delle Serve del Signore della Vergine di Matará, n. 4.
[6] Cfr. P. S. Zambruno op, La Belleza que salva según Santo Tomás de Aquino, dissertatio ad lauream, Pontificiam Universitatem S. Thomae, Roma 2004.
[7] Col. 1,15.
[8] Mt. 17,2.
[9] Cfr. Mt. 17,5-6.
[10] Mt. 17,9.
[11] Benedetto XVI, La secolarizzazione nella Chiesa snatura la fede cristiana e lo stile di vita dei credenti, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la Cultura, 8 marzo 2008.
[12] Concilio vaticano ii, Gaudium et Spes, n. 62.
[13] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, n. 44: «Alla luce del Concilio, intendiamo per “cultura” tutti quei mezzi con i quali l’uomo raffina ed esplicita le sue molteplici doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano».
[14] «E la filosofia, finita nella palude del nichilismo-ateismo, non trova più nessun varco aperto sul reale per avvolgersi in una fantasmagoria di fenomeni: incapace di esprimere la verità e di fondare la libertà», Cornelio Fabro, L’odissea del Nichilismo-ateismo contemporaneo, in La lettera e lo spirito, Miscellanea di Studi per il cinquantennio del Magistero ‘Maria SS. Assunta’ (1939-1989), Roma 1990, 483.
[15] Cfr. Paolo VI, Omelia in una messa per gli artisti, 7 maggio 1964, citato da Pascal Fagniez, Jean-Paul II et les artistes, Editions de l’Emmanuel, 2007, 101.
[16] Benedetto XVI, La secolarizzazione nella Chiesa snatura la fede cristiana e lo stile di vita dei credenti, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la Cultura, 8 marzo 2008.
[17] Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 2
[18] Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 39.
[19] Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles, 20 Maggio 1985, n. 6.
[20] A. Solzhenitsyn, Come riorganizzare la Russia, Tusquets Editrice, Barcellona 1991, 37.
[21] Gaudium et Spes, 43
[22] Pontificio Consiglio per la Cultura, Per una pastorale della cultura, 23 maggio 1999, n. 36. Vedere anche Giovanni Paolo II, Lettera agli Artisti, 4 aprile 1999.
[23] Cfr. Giovanni Paolo II, Nuova evangelizzazione delle persone e delle culture, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la cultura, 17 gennaio 1987, n. 10: «Il Vangelo è esso stesso fermento di cultura nella misura in cui raggiunge l’uomo nei suoi modi di pensare, di comportarsi, di lavorare, di ricrearsi, cioè nella sua specificità culturale». E davanti al panorama preoccupante della “cultura della morte” che è intorno a noi, «bisogna nuovamente far comprendere ai nostri contemporanei che il Vangelo di Cristo è fonte di progresso e di pienezza per tutti gli uomini. Non facciamo violenza ad alcuna cultura proponendo liberamente questo messaggio salvifico e liberatore» (ibidem n. 4).
[24] Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles 20 maggio 1985, n. 1. Inoltre, Giovanni Paolo II, Incontro con i rappresentanti del mondo della scienza e dell’arte nel “Festspielhaus”, Salisburgo 26 giugno 1988, n. 4: «All’Areopago ateniese l’apostolo Paolo ha annunciato questo Dio. Davanti a voi, signore e signori, che costituite anche per me una sorta di Areopago, vorrei dare testimonianza a Gesù Cristo, il buon pastore, che ha seguito l’uomo fin nel profondo del suo peccato, fino all’abisso della sua morte e lo ha preceduto per essere eterna protezione».
[25] Giovanni Paolo II, Incontro con i rappresentanti del mondo della scienza e dell’arte nel “Festspielhaus”, Salisburgo 26 giugno 1988, n. 4.
[26] Giovanni Paolo II, Discorso all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa, 31 marzo 2000, n. 4.
[27] Giovanni Paolo II, Discorso agli artisti e ai giornalisti, Monaco di Baviera, 19 novembre 1980, n. 1.
[28] Giovanni Paolo II, Discorso agli artisti e ai giornalisti, Monaco di Baviera, 19 novembre 1980, 6.
[29] Giovanni Paolo II, Discorso all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa, 31 marzo 2000, n. 7.
[30] «Bonum est causa amoris per modum objecti. Bonum autem non est objectum appetitus, nisi prout est apprehensum. Et idea amor requirit aliquam apprehensione, boni quod amatur. Et propter hoc Philosophus dicit, IX Etich., quod visio corporalis est principium amoris sensitivi. Et similiter contemplatio spiritualis pulchritudinis vel bonitatis, est principium amoris spiritualis. Sic igitur cognitio est causa amoris, ea ratione qua et bonum, quod non potest amari nisi cognitum» S.Theol., I-II, q. 27, a. 2.
[31] Giovanni Paolo II, Incontro con i rappresentanti del mondo della scienza e dell’arte nel “Festspielhaus”, Salisburgo 26 giugno 1988, n. 1.
[32] S. Tommaso d’Aquino, S.Theol., I, q.39, a 8 ss.
[33] Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles 20 maggio 1985, n. 1.
[34] Michelangelo Buonarroti, Rime, a cura E. Barelli, intr. G. Testori, Rizzoli, Milano 1975 (ried. 1996), 42. Fa riferimento a queste Rime di Michelangelo, anche A. Cobos Soto, La Pintura Mensaje del Hermano Rafael, Editorial Monte Carmelo y monasterio cisterciense de San Isidro de Dueñas, Valladolid 1989, 29. Al riguardo, Michelangelo scrisse in un rima (successiva al 1528): «Dimmi di grazia, Amor, se gli occhi mei/Veggon ‘l ver della beltà c’aspiro/O s’io l’ho dentro allor che, dov’io miro./Veggio scolpito el viso di costei./Tu ‘l de’ saper, po’ che tu vien con lei/A torm’ogni mie pace, ond’io m’adiro;/né vorre’ manco un minimo sospiro,/né men ardente foco chiederei./― La beltà che tu vedi è ben quella,/ma cresce poi c’a miglior loco sale,/se per gli occhi mortali all’alma corre./  Quivi si fa divina, onesta e bella,/com’a sé simil vuol cosa immortale:/questa e non quella agli occhi tuo precorre―».
[35] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S.Theol., I-II, q. 27. «La bellezza produce godimento quando è conosciuta. L’intelligenza desidera capire quello che vede. Il bello produce godimento, perché l’intelligenza riconosce se stessa nella bellezza, trovandola sempre nei suoi elementi costitutivi, che devono essere presenti in ogni cosa bella che si contempla: integrità, proporzione e chiarezza».
[36] Cfr. P. S. Zambruno, La Belleza que salva según Santo Tomás de Aquino, op.cit., 82.
[37] Pensiamo alla vocazione matrimoniale, alla famiglia, punto rilevante della cultura, chiesa domestica, dove i familiari si aiutino mutuamente per raggiungere la santità. Penso anche nella vocazione religiosa, in cui deve riflettersi la stessa Incarnazione del Verbo, in cui brilla, senza mischiarsi, in intima unione, la perfezione umana e la perfezione divina, come d’altronde in ogni cristiano, però secondo una maggiore esigenza, data dalla sua vocazione. Cfr. Costituzioni delle Serve del Signore e della Vergine di Matara, Roma 2005, n. 197.
[38] Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles 20 maggio 1985, n. 7.
[39] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S.Theol., I, q. 45, a. 6.
[40]  Cfr. Sal 22,7.
[41] Così nella “Sequenza” della Liturgia della Veglia Pasquale.
[42] Cfr. P. S. Zambruno, La Belleza que Salva según Santo Tomás de Aquino, op.cit., 122.
[43] Giovanni Paolo II, Discorso agli artisti e ai giornalisti, Monaco di Baviera 19 novembre 1980, n. 4: «La Chiesa, come tramite del messaggio della fede cristiana, ricorderà sempre che la realtà dell’uomo non può essere descritta adeguatamente, prescindendo dalla dimensione teologica; che non deve mai essere dimenticata, che l’uomo è una creatura limitata nel tempo e nello spazio, che ha bisogno di aiuto e di completamento. Che la vita umana è dono e accettazione, che l’uomo è alla ricerca di significato, di salvezza e di liberazione, perché è limitato in molti modi dalle costrizioni e dalla colpa. La Chiesa ricorderà sempre che in Cristo si trova la vera ed unica immagine dell’uomo e dell’umanità».
[44] Giovanni Paolo II, Discorso agli artisti e ai giornalisti, Monaco di Baviera 19 novembre 1980, n. 5.
[45] Giovanni Paolo II, Discorso agli artisti e ai giornalisti, Monaco di Baviera 19 novembre 1980, n. 5.
[46] Cf. Paolo VI, Messaggio agli artisti, chiusura del Concilio Vaticano II (8-12-1965), nn. 2 e 4.
[47] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Duodecimum saeculum, n. 11.
[48] Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles 20 maggio 1985, n. 8.
[49]  J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Edizioni San Paolo, Milano 2001, 129.
[50] Cfr. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 131.
[51] Cfr. N. F. Brovskaja, Intervenzione nel Sinodo della parola di Dio, 17 ottobre 2008, pubblicato dall’ agenzia  Zenit, http://www.zenit.org/article-15818?l=italian
[52] Cfr. N. F. Brovskaja, Intervenzione Sinodo della parola di Dio, 17 ottobre 2008, pubblicato dall’ agenzia  Zenit, http://www.zenit.org/article-15818?l=italian
[53] Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4 Aprile 1999, n. 3.
[54] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, Cap. V: Il decoro della celebrazione eucaristica, n. 52.
[55] Giovanni Paolo II, Udienza ai partecipanti al Giubileo degli artisti, 18 febbraio 2000, n. 4.
[56] Giovanni Paolo II, Udienza ai partecipanti al Giubileo degli artisti, 18 febbraio 2000, n. 2.
[57] Cfr. Sal 42, 2.
[58] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est, n. 19.
[59] S. Tommaso d’Aquino, S.Theol., II-II, q. 180, a. 2, ad 3.
[60] H. Pfeiffer, sj, Il volto dei volti Cristo, Editrice VELAR, Bergamo 2000, vol. 4, 279.
[61] Cfr. H. Pfeiffer, sj, Il volto dei volti Cristo, Editrice VELAR, Bergamo 2000, vol. 4, 280.
[62] S. Agostino, Confessiones, I, 1; trad.it. C. Carena, intr. A. Trapè, Città Nuova Editrice, Roma 1965, 20077, 5.
[63] Cfr. Sal 51,9.
[64] S. Teresa di Gesù, «Libro della Vita» in Opere di S. Teresa di Gesù, O.C.D., Roma 1992.
[65]  Cfr. N. F. Brovskaja, Intervenzione nel Sinodo della parola di Dio, 17 ottobre 2008, pubblicato dall’ agenzia  Zenit, http://www.zenit.org/article-15818?l=italian
[66] “Muchas veces no se necesita sino la vista de una imagen para conmovernos; con frecuencia hieren casi tan fuertemente como las mismas cosas que representan” (Sermones, t. IV, p.155), citado por F. Trochu, El Santo Cura de Ars, Ediciones Palabra, Madrid 2003, 215.
[67] Cfr. Giovanni Paolo II, Aprire a Cristo le culture segnate dalla non credenza o dall’indifferenza religiosa, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la Cultura, 13 Marzo 2004, n.2.
[68] Giovanni Paolo II, Aprire a Cristo le culture segnate dalla non credenza o dall’indifferenza religiosa, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la Cultura, 13 Marzo 2004, n.2.
[69] Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles, 20 Maggio 1985, n.8.
[70] J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 130. Inoltre Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium n. 122: « Per tali motivi la santa madre Chiesa ha sempre favorito le belle arti, ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente per far sì che le cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, per significare e simbolizzare le realtà soprannaturali; ed essa stessa ha formato degli artisti. A riguardo, anzi di tali arti, la Chiesa si è sempre ritenuta a buon diritto come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate e che risultavano adatte all'uso sacro. Con speciale sollecitudine la Chiesa si è preoccupata che la sacra suppellettile servisse con la sua dignità e bellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia, nella forma e nell'ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha introdotto nel corso dei secoli».
[71] J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 128.
[72] Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 123.
[73] Cfr. Beato M. González, «Arte y liturgia», Obras Completas, t. III, M.E.C., Burgos 1998, 794.
[74] Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa per gli artisti, Bruxelles, 20 Maggio 1985, n. 8.
[75] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2501: “Come ogni altra attività umana, l’arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine ultimo dell’uomo e da esso nobilitata”.
[76]  Beato M. González, «Arte y liturgia», 768-769.
[77]  J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 130.
[78] Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 122.
[79] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2502.
[80] J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 128-129.
[81]  Giovanni Paolo II, Duodecimum saeculum n. 11.
[82] Cfr. Cardinale Francis George, Intervenzione del 7 ottobre 2008 nel Sinodo sulla Parola di Dio, pubblicato dall’agenzia  Zenit il 10 de ottobre 2008, http://www.zenit.org/article-28729?l=spanish
[83] Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi (15 agosto 1997), parte III, nn. 137-162.
[84] Cfr. Beato M. González, «Arte y liturgia», 848.
[85] Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Gaudium et Spes, n. 43; Costituzioni Serve del Signore e della Vergine di Matará, n. 26.
[86] Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 65; Costituzioni Serve del Signore e della Vergine di Matará, n. 86.
[87] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 63.
[88] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 6.
[89] Cfr. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 67-68.
[90] Benedetto XVI, Apertura tra le culture è un terreno privilegiato per il dialogo, Discorso ai Membri del Pontificio Consiglio per la Cultura, 15 giugno 2007.


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