martes, 7 de febrero de 2012

DIMENSIONE TRINITARIA DELLA LITURGIA. Azione santificante e glorificante

Con questa riflessione sulla dimensione trinitaria della Liturgia intendiamo proseguire il nostro cammino di Introduzione alla Liturgia, ma allo stesso tempo desideriamo collocarci anche nel programma dell’Anno Santo secondo le indicazioni di Giovanni Paolo II: « Gli anni di preparazione al Giubileo sono stati posti sotto il segno della Santissima Trinità: per Cristo - nello Spirito Santo - a Dio Padre. Il mistero della Trinità è origine del cammino di fede e suo termine ultimo, quando finalmente i nostri occhi contempleranno in eterno il volto di Dio. […] L'Anno Santo, dunque, dovrà essere un unico, ininterrotto canto di lode alla Trinità, Sommo Dio». (Incarnationis Mysterium n. 3; cf Tertio millennio adveniente 55).


Di questo «duplice movimento» trinitario della liturgia parla Sacrosanctum concilium quando dice che l’opera grande della nostra redenzione viene a noi dal Padre, per Cristo, nello Spirito, mediante un movimento santificante o discendente; a questo movimento santificante-discendente fa riscontro da parte della Chiesa un movimento glorificante-ascendente, anch’esso trinitario, che nello Spirito, per Cristo, fa ritorno al Padre con ogni onore e gloria (cf SC 5 e 7).[1][6]
La via per cui Dio viene a noi è necessariamente la stessa via per cui noi dobbiamo fare ritorno a Lui; essa non è lasciata né al nostro capriccio né alla nostra scelta, ma ci è positivamente segnata da Dio stesso. Questa via l’ha percorsa anzitutto Dio Trinità nel venire incontro all’uomo nell’opera della redenzione. Questa stessa via deve percorrere la Chiesa ed ogni persona che a Dio Trinità desidera far ritorno nel cammino di glorificazione.
Per entrare nell’intimità della liturgia occorre pertanto ripercorrere questa «via economica» che ha caratterizzato la rivelazione biblica ed ha intessuto trinitariamente ogni espressione liturgica. Non va infatti dimenticato che il Credo cristiano è una fede in un Dio Unico (monoteismo), anche se in tre Persone uguali e distinte. Non va pertanto confuso con un tri-teismo (come ci accusano i musulmani) quasi che noi adorassimo tre dèi. Il rischio è reale se non si sta saldi nella fede cattolica (lex credendi) espressa nella sua liturgia (lex orandi). Da qui la necessità di imparare lo stile del pregare secondo la metodologia corretta della liturgia nella quale ogni orazione è sempre rivolta a Dio Tri-Unico: al Padre, per Cristo, nello Spirito.
1.      1. La rivelazione biblica.
La forte impronta cristologico-trinitaria del Nuovo Testamento si può così riassumere: ogni bene viene a noi dal Padre, per mezzo del suo Figlio incarnato, Gesù Cristo, nella presenza in noi dello Spirito Santo; e così nella presenza santificante dello Spirito Santo, per mezzo del Figlio incarnato, Gesù Cristo, ogni realtà fa ritorno al Padre.
Nella lettera agli Efesini S. Paolo segue questo schema quando scrive: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo…predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo secondo il beneplacito della sua volontà… In lui anche voi…avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità…a lode della sua gloria» (Ef 1,3-14). Più oltre, nella stessa lettera, parlando della gratuità della salvezza che il Padre dona sia a Giudei che Greci in Cristo, afferma: «Ma Dio, ricco di misericordia… ci ha fatti rivivere con Cristo…Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi...avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù…insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,5-6.18.22; cf anche Rm 8,3-17; 1 Cor 6,19-20).
La spontaneità con cui S. Paolo scrive queste formule dimostra quanto chiara e comune fosse tra i cristiani delle prime comunità la visuale cristologico-trinitaria, visuale che si ritrova anche nelle catechesi degli Atti degli apostoli (cf At 5,30-32; 15,7-11) e ogniqualvolta ci si rivolge al Padre nella preghiera di azione di grazie. L’adorazione, l’ammirazione, la gratitudine al Padre, passa attraverso colui che è il Ponte(fice) sommo delle anime nostre, il Figlio Gesù Cristo, nella presenza attiva in noi dello Spirito Santo: «siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,18-20).
Del resto questa era stata anche l’esperienza orante di Gesù, il Figlio, quando benedice il Padre mosso dalla gioia esultante dello Spirito Santo: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, o Padre…» (Lc 10,21-22). E alla donna Samaritana aveva insegnato che era ormai giunto il momento in cui i veri adoratori avrebbero adorato il Padre nello Spirito e nella Verità, perché il Padre cerca tali adoratori (Gv 4,23): nello Spirito perché lo Spirito, principio della nuova nascita (Gv 3,5), è anche principio del culto nuovo e spirituale (Rm 8,15.26-27; Ef 6,18; Giuda 20); nella Verità che è Cristo, unica Via che conduce al Padre (Gv 14,6).
La rivelazione biblica neotestamentaria presenta dunque la vita cristiana come icona e partecipazione del rapporto interpersonale del Figlio con il Padre nello Spirito Santo; una vita intessuta in una relazione interpersonale trinitaria: ogni bene di cui siamo ricolmi deriva dalla pura bontà del Padre che costituisce Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, quale grande ed insostituibile mediatore senza il quale nessuno riceve alcunché dal Padre o può comunque avvicinarsi al Padre, mentre senza lo Spirito, meritatoci da Cristo e mandatoci dal Padre, presente ed abitante in noi, personalmente e con i suoi doni, nessuno sarebbe unito a Cristo o potrebbe comunque raggiungere il suo fine ultimo che è, per mezzo di Cristo, di ritornare al Padre.
Ed è sempre dalla coscienza viva che tutto viene dal Padre, per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo, nella presenza dello Spirito Santo, e che tutto ritorna e deve ritornare al Padre, che il cristiano prende i motivi specifici più forti e profondi che determinano la sua azione morale nelle diverse circostanze della vita e nella lotta per il bene (cf Rm 8,1-18; 1 Cor 6,10-20).
2.      2. La tradizione dei Padri.
La prospettiva biblica cristologico-trinitaria che permea la storia della salvezza segna anche profondamente la coscienza religiosa delle prime comunità cristiane. Descrivendo ai Corinzi la fondazione della Chiesa nel mondo, Clemente Romano così scriveva nell’anno 96: «Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella da Dio. Il Cristo viene dunque da Dio e gli Apostoli da Cristo…confermati nella parola di Dio con la fiducia dello Spirito Santo» (1 Cor 42).
Anche S. Ignazio d’Antiochia, con una immagine suggestiva, descrive l’edificazione della vita cristiana come un’operazione congiunta della santa Trinità: «Voi siete le pietre del tempio del Padre, preparate per essere costruite in edificio a Dio Padre, innalzate fino alla sommità per mezzo dell’argano di Gesù Cristo, che è la sua croce, con il cavo dello Spirito Santo; la vostra fede poi è la leva che vi innalza, e la carità è la strada che vi conduce a Dio» (Ef 9,1).
Verso l’anno 155, dinanzi al rogo del suo martirio, S. Policarpo così conclude la sua «eucaristia»: «Per questo e per tutti gli altri benefici ti rendo lode e benedizione e gloria, per mezzo dell’eterno e celeste pontefice Gesù Cristo, Figlio tuo diletto, per il quale e con il quale e per lo Spirito Santo, a Te gloria sia ora e nei secoli futuri. Amen».
Tra il 180 e il 199 S. Ireneo così formulava la legge di ogni ritorno a Dio. «E’ questa l’ordinazione e la disposizione per coloro che si salvano…; essi avanzano per queste tappe: per lo Spirito Santo arrivano al Figlio e per il Figlio salgono al Padre ».
Più tardi, nei secoli IV e V, a seguito della polemica antiariana (negava la divinità di Cristo) e delle lotte contro coloro che negavano la divinità dello Spirito Santo, i Padri fanno ancora ricorso al movimento cristologico-trinitario per riaffermare e difendere la fede neotestamentaria. Come potremmo essere conformi alla natura divina, e quindi deificati, se lo Spirito Santo che ci rende conformi al Verbo non fosse veramente Dio? Nessuna creatura potrebbe mai farci partecipi della natura divina (cf 2 Pt 1,4). Nella Lettera a Serapione, così scrive S. Atanasio: «Lo Spirito Santo è l’unguento e il sigillo col quale il Verbo unge e segna tutto… Così segnati, giustamente diventiamo partecipi della divina natura come dice Pietro, e così la natura diventa partecipe del Verbo nello Spirito e per lo Spirito siamo partecipi di Dio».
3.      3. La tradizione liturgica.
La liturgia è attuazione della Scrittura e della tradizione. La Lex orandi segue quindi il metodo cristologico-trinitario nell’organizzare tutto il proprio impianto eucologico (le varie forme di preghiera liturgica). Il Dio della liturgia non è semplicemente il Dio della sinagoga, né il Dio dei filosofi, ma il Dio specificamente cristiano, il Dio Trinità. In questo senso preciso si può dire che il culto del Dio uno non esiste nella liturgia; essa adotta invece la visuale cristologico-trinitaria che consiste nel mettere al primo piano dell’attenzione e della coscienza la distinzione reale delle Persone (dal/al Padre, per Cristo, nello Spirito) mentre la loro unità di natura è affermata solo in un secondo momento riflesso.
Tutto questo appare ben chiaro nelle varie espressioni della liturgia, a partire dalla liturgia battesimale: la Chiesa battezza «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), in Dio Tri-Unico. I cristiani sono configurati a Cristo, figli nel Figlio, in comunione con il Padre e con lo Spirito Santo. Da qui si comprende perché «Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC] 234; cf CCC 2157).
La stessa Chiesa si autocomprende come «un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Lumen gentium 4b). A partire da questa fede battesimale, non fa meraviglia che tutte le espressioni di fede, come il Credo e il Gloria, e tutte le espressioni di lode e di benedizione, come le orazioni, le dossologie, i prefazi, le preci eucaristiche, siano di regola strutturate secondo un dinamismo trinitario: al Padre, per Cristo, nello Spirito.
a.      a. Le orazioni.
La regola generale della tradizione antica è che l’orazione liturgica sia diretta al Padre, per mezzo di Gesù Cristo, nella comunione dello Spirito Santo. Era talmente forte questa regola nell’antichità che il concilio di Ippona del 393, a cui assisteva come presbitero Agostino, nonostante il pericolo dell’arianesimo, formulò tale regola in modo universale e assoluto nel modo seguente: «Cum altari assistitur, semper ad Patrem dirigatur oratio» (= Quando si celebra all’altare, l’orazione deve essere rivolta sempre al Padre). Si vede qui la fedeltà al messaggio del Nuovo Testamento (cf Col 3,16s; Ef 5,18s) e come la Chiesa sia sempre intervenuta a salvaguardare l’ortodossia, la Lex credendi, espressa nella Lex orandi.[2][7]
Ogni orazione, pertanto, si apre sempre con una «benedizione» rivolta al Padre del quale si loda la bontà, la misericordia, l’onnipotenza, ecc. (es.: O Dio Padre buono e misericordioso…); a questa benedizione iniziale fa seguito una breve «anamnesi», o memoriale di un fatto storico-salvifico operato dal Figlio e che dà spunto all’odierna celebrazione (es.: oggi in Cristo tuo Figlio hai risollevato il mondo dalla sua caduta..); la terza parte dell’orazione è costituita da una «epiclesi» la quale intercede dal Padre, per mezzo del Figlio, il dono dello Spirito santificante perché possano attuarsi qui-per-noi-oggi i frutti di quel mistero del quale abbiamo fatto memoriale (es.: perché l’effusione del tuo Spirito ci trasformi ad immagine della tua gloria).
La conclusione delle Orazioni può avere una forma breve (Per Cristo nostro Signore) oppure una forma più lunga che si sviluppò in epoca antiariana per sottolineare la divinità di Cristo e dello Spirito (Per il nostro Signore Gesù Cristo che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli).
b.      b. Le dossologie.
Tipica dossologia (doxa = glorificazione; logos = parola) è quella che conclude la Prece eucaristica: «Per-con-in Cristo, a te Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli».
Termine ultimo della preghiera e della lode è dunque il Padre, prima origine di tutti i benefici. Il Figlio Gesù Cristo è il grande mediatore, il Ponte(fice); si va al Padre per mezzo suo (per), uniti a lui come sue membra (in), non senza di lui (con). Lo Spirito Santo è il santificatore, colui che a partire dalla risurrezione-pentecoste porta a compimento nella Chiesa l’opera della redenzione.[3][8]
La preghiera in forma di «dossologia» esprime dunque, meglio di ogni altra, la visuale cristologico-trinitaria del mistero cristiano così come ci viene suggerito dallo stesso S. Paolo: «A Dio che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli dei secoli» (Rm 16,27).
La dossologia è un gioco di nascondimento e di svelamento: il Figlio si nasconde nella carne per svelare il Padre e il Padre si nasconde nel silenzio per mostrare il Figlio-Verbo (la Parola); Dio si nasconde nella croce per svelare l’uomo a se stesso, e l’uomo si nasconde nella liturgia-dossologia per svelare Dio all’uomo.
4. Indicazioni per la prassi liturgico-pastorale.
Quale riscontro di quanto abbiamo brevemente esposto circa il duplice movimento della liturgia e la sua natura cistologico-trinitaria, sta il fatto incontestabile che mai è esistita una festa del Padre, come non c’è una festa del Figlio o una festa dello Spirito Santo.[4][9] Anche una festa della Trinità fu introdotta tardivamente nella Chiesa di Roma (a partire dal 1334), non senza resistenze (“Ogni domenica e ogni giorno noi celebriamo la Santa Trinità”, disse il Papa Alessandro III, al Vescovo di Terdon che ne chiedeva l’introduzione). Ogni festa è sempre celebrazione congiunta delle tre divine Persone.
Se dunque lo stile della Lex orandi, cioè del pregare liturgico, è sempre trinitario, così deve essere anche il modo di pregare di colui che presiede sia le azioni liturgiche sia i pii esercizi. Vi sono infatti numerosi spazi di «creatività liturgica» all’interno della stessa liturgia (basti pensare alle formule di introduzione e di conclusione della Preghiera dei fedeli) e ben maggiori ve ne sono nella pietà popolare e nei pii esercizi (basti pensare alle preghiere prima e dopo i pasti). Un corretto stile di preghiera, che dalla liturgia trae ispirazione, avrà pertanto sempre un movimento cristologico-trinitario: per Cristo, al Padre, nello Spirito.
Per Cristo: Tutta l’economia della salvezza trova il suo senso nel Verbo incarnato, in quanto ne prepara la venuta o ne mostra il regno presente sulla terra e in via di espansione fino alla seconda venuta che concluderà il piano di Dio. Così il mistero di Cristo illumina tutto il contenuto della liturgia. I diversi elementi - biblici, evangelici, ecclesiali, umani e cosmici - che la liturgia deve assumere, spiegare, celebrare, prendono tutto il loro senso in rapporto al Verbo incarnato.
Al Padre: Lo scopo supremo dell’incarnazione del Verbo e di tutta l’economia della salvezza è quello di portare l’umanità al Padre. La liturgia perciò, aiutando a penetrare sempre più profondamente il disegno di amore del Padre, deve far comprendere che il senso ultimo della vita umana è conoscere e amare Dio e glorificarlo facendo la sua volontà, come Cristo ci ha insegnato con le parole e con l’esempio della sua vita, per giungere al possesso della vita eterna.
Nello Spirito: L’intelligenza del mistero di Cristo e la via al Padre ci vengono date nello Spirito Santo. Nel celebrare il contenuto del messaggio cristiano, la liturgia deve sempre mettere in evidenza l’azione dello Spirito Santo che conduce gli uomini alla comunione con Dio e tra loro e all’impegno vitale.
Se la preghiera liturgia manca di questi tre elementi o trascura una stretta connessione dei medesimi, il messaggio cristiano può davvero perdere il carattere che gli è proprio.
Qualche esempio pratico, a mo’ di conclusione. Dobbiamo pregare all’inizio di un pasto o ci viene richiesto di benedire un oggetto di devozione (un rosario, una immagine); non abbiamo a portata di mano il Benedizionale; senza perderci d’animo si metta in pratica la Lex orandi completando con parole semplici e piene di fede i quattro passaggi tipici di ogni orazione:
a.       a. benedizione al Padre: Benedetto sii tu, o Padre, origine e fonte di ogni benedizione, che ti compiaci della crescita spirituale dei tuoi figli;
b.      b. memoriale dell’opera salvifica del Figlio: nel mistero ineffabile del Cristo tuo Figlio, mite e umile di cuore, hai distrutto la morte e ci hai aperto la via dell’eterna salvezza;
c.       c. epiclesi o invocazione dello Spirito Santo: effondi su di noi la potenza vivificante del tuo Santo Spirito perché faccia di noi l’immagine vivente del tuo amore invisibile.
d.      d. dossologia: A te gloria e benedizione con lo Spirito Santo nella tua santa Chiesa per mezzo del Figlio tuo e Signore nostro ora e nei secoli dei secoli.
La struttura cristologico-trinitaria della preghiera, il duplice movimento della liturgia, collocano ogni nostra azione in tensione dialogica con la historia salutis, con la rivelazione fatta da Dio con parole ed opere e culminata nel dono di Cristo e dello Spirito. «Con questa rivelazione Dio invisibile (cf Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cf Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf Bar 3,38)» (DV 2). «Quando preghiamo parliamo a Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini» (DV 25). Il dialogo della nostra salvezza è fatto dunque di ascolto e di lode; se nell’ascolto Dio parla a noi come ad amici, nella lode noi come figli «per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo abbiamo accesso al Padre e siamo resi partecipi della divina natura (cf Ef 2,18; 2 Pt 1,4)» (DV 2).
SPIRITUALITÀ LITURGICA
Prof. Paolo Giglioni





[1][6] Anche il decreto sull’ecumenismo, parlando della tradizione liturgica e spirituale degli Orientali che si esprime soprattutto nella celebrazione eucaristica, dice che attraverso tale celebrazione i fedeli «hanno accesso al Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità» (Unitatis redintegratio 15).
[2][7] Questa espressione, attribuita a Prospero di Aquitania (390-460), significa: «La legge (= norma) del pregare stabilisce la legge del credere»; la fede regola la preghiera e la preghiera regola la fede; se si prega bene, e soprattutto con contenuti esatti, anche la fede sarà salda e senza eresie.
[3][8] Mai nella Liturgia allo Spirito Santo è attribuita un’opera di mediazione; per il semplice motivo che Mediatore è solo colui che si è incarnato, il Figlio, divenendo così strumento, con la sua umanità assunta, della nostra redenzione. Diceva S. Atanasio: «nessuna realtà è redenta se non viene assunta»; solo Colui che assume la nostra realtà umana è nostro Redentore, in obbedienza al Padre che vuole che tutti siano salvati (1 Tm 2,4) ed in comunione con lo Spirito santificatore.
[4][9] La Pentecoste non è la festa dello Spirito Santo, allo stesso modo che il Natale non è la festa del Figlio. Ogni festa è sempre celebrazione dell’iniziativa salvifica del Padre, attuata nel mistero di incarnazione-morte-risurrezione del Figlio, prolungata nel tempo dall’azione santificante dello Spirito.

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