viernes, 6 de enero de 2012

L’ARTE SACRA NEI DOCUMENTI CONCILIARI

Partiamo dall’esordio  del capitolo VII di SC, dedicato interamente all’arte sacra e alla sacra suppellettile. “Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono, con pieno diritto, annoverate le arti liberali, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra”[1].
Un primo nodo teorico da affrontare è dunque costituito dalla collocazione dell’arte sacra nella cultura delle arti liberali: il Concilio Vaticano II, infatti, sembra rispondere affermativamente alla aspirazione di riconoscimento culturale che per secoli ha animato gli artisti. In particolare nel corso del Rinascimento gli artisti rivendicano la collocazione delle arti figurative entro le arti liberali, comprendendo che ciò dipende dal loro saper esibire un carattere conoscitivo profondo, razionale.  Leonardo, per esempio, rivendica tale carattere per la pittura, la quale può vantare, rispetto alla scultura, una maggiore distanza dalla materia e un maggiore impiego del “discorso”[2].



Il Concilio riconosce all’arte una dignità culturale forte, pari alle più alte discipline dello spirito, “nonostante” la sua compromissione con la corporeità. Del resto nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes)[3] è data una definizione di “cultura” che illumina questo passaggio: “Con il termine generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici doti di anima e di corpo”[4]. La cultura è dunque propria dell’uomo nella sua complessa unitarietà, unitarietà che cancella ogni dualismo anima–corpo.
La collocazione solida dell’arte nella cultura[5] risulta ben chiarita da un altro passaggio della GS: “L’uomo, inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali, e occupandosi di arte, può contribuire moltissimo ad elevare l’umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e ad un giudizio di universale valore”[6].
Le varie discipline si relazionano dunque con il vero, il bene, il bello, trascendentali caratteristiche dell’essere, presenti in forma perfetta in Dio che è Sommo Vero, Sommo  Bene e Sommo Bello; inoltre, potremmo aggiungere, le varie discipline si distinguono tra loro proprio per i diversi rapporti che intrattengono con il vero, il bene, il bello. All’arte spetta un particolare rapporto con il bello, ovvero con le cose belle e con la Bellezza infinita. Di più, proprio attraverso la recezione del bello, l’arte intrattiene uno stretto rapporto con il vero e con il bene, ovvero con l’essere nella sua integrale positività[7].
In SC, 122 continuiamo a leggere: “Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio”.
Le opere d’arte religiosa e sacra, dunque, devono “in qualche modo” esprimere la bellezza divina, l’infinita bellezza divina, con la quale intrattengono una relazione naturale, che è cioè propria della loro natura. Tramite l’espressione della bellezza, e nella misura con cui si orientano verso la Bellezza infinita, esse possono esplicitare il loro “unico” (“nessun altro fine è stato loro assegnato”) fine di indirizzare “religiosamente” le anime a Dio.
A questo punto, lasciando sospesi per adesso tutti questi ricchissimi spunti, occorre chiarire il discorso dirimendo l’arte religiosa da quella sacra, per chiarire la specificità di quest’ultima.
L’arte sacra è il vertice dell’arte religiosa, ovvero l’arte religiosa contiene l’arte sacra e —in osservanza alla più semplice logica degli insiemi— non viceversa. Potremmo esemplificare dicendo che tra l’opera d’arte religiosa e l’opera d’arte sacra intercorre lo stesso rapporto che unisce e distanzia una poesia che parla di Dio ed una preghiera.
A proposito dell’arte sacra, Chenis scrive: “Essa è il vertice dell’arte religiosa poiché esplicitamente si indirizza a Dio, alla sua lode e gloria ed è per questo originariamente destinata al culto della comunità ecclesiale”[8].
L’aggettivo “sacro” viene infatti attribuito innanzitutto al culto, ai riti, ai luoghi, appunto “sacri”, e, mi sembra, di conseguenza all’arte “sacra” e alle sue opere.
L’arte religiosa diviene cioè “sacra” quando è scientemente finalizzata al “sacro”, non inteso come vuota o onnicomprensiva categoria, quanto piuttosto come sacro culto, sacro rito, sacro luogo.
Infatti, la “bellezza” e la “dignità” della sacra suppellettile devono servire al “decoro del culto”[9], e entro questa finalità sono ammessi cambiamenti di materia, forma, ornamento.
“Anche l’arte del nostro tempo, di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti”[10].
Viene dunque sottolineata, anche nel contesto del rispetto della libertà di stile, la finalità di “servizio” dell’arte sacra, finalità che implica reverenza e onore verso ciò che èprimariamente” sacro.
Una ulteriore specificazione viene introdotta mediante la distinzione di un’arte sacra “autentica”.
I documenti conciliari non sprecano parole e tuttavia danno direttive precise:  l’arte sacra autentica deve cercare “nobile bellezza” e non “mera sontuosità”,  non deve (ciò potrebbe sembrare superfluo, ma solo apparentemente) contrariare la fede, i costumi, la pietà cristiana, o offendere il “genuino senso religioso”. Quest’ultimo punto viene esplicitato in due direzioni: le opere d’arte sacra possono offendere il senso religioso genuino o “perché depravate nelle forme”, dunque formalmente inopportune, o perché “mancanti, mediocri o false nell’espressione artistica”[11]. Si richiede all’arte sacra la proprietà di una forma bella, “non depravata”, e la capacità di esprimere propriamente e sublimemente il messaggio.
Dunque, l’opera d’arte sacra deve essere necessariamente opera d’arte, deve cioè esulare tanto dalla bruttezza quanto dalla mediocrità; la sua sacralità le impone, inoltre, di saper veicolare preghiera, devozione, contemplazione, autentico senso religioso.
Come si può attuare tutto questo?
Prescindendo dalle suppellettili e anche dall’architettura, e mirando invece l’attenzione sulla pittura, mi sembra che si imponga all’analisi l’ “immagine”. In SC, a proposito delle immagini sacre  è scritto: “Si mantenga l’uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre. Tuttavia si impongano in numero moderato e nell’ordine dovuto per non destare ammirazione nei fede0li e per non indulgere a una devozione non del tutto corretta”[12].
Mi sembra che proprio nell’immagine sacra, nelle sue potenzialità e nella normatività cui deve sottomettersi, la pittura sacra possa trovare il proprio paradigma. Nell’immagine sacra che ispira corretta devozione, troviamo la forma non corrotta e l’espressione corretta.
Prima di ampliare questo punto, che conduce verso un’arte sacra figurativa, mi sembra opportuno soffermarmi sulla figura dell’  “artista”.

di Rodolfo Papa




[1] Ivi, 122.

[2] A proposito di questa problematica, così lo Schlosser: “Tutti i teorici di questo tempo insistono su questo carattere scientifico: Francesco di Giorgio nella prefazione del suo trattato di architettura, come Piero della Francesca il cui scritto rappresenta nella forma più compiuta l’ideale del Rinascimento di un’argomentazione strettamente matematica; non inferiore in questo il Pacioli, che sa quanto progresso si sia così fatto di fronte all’antichità, e che vuol introdurre la dottrina della prospettiva come quinta scienza nell’antico quadrivio -come fece in realtà un artista di quel tempo, Antonio Pollaiuolo, nella sua tomba di Sisto IV a San Pietro, almeno nella rappresentazione delle allegorie tradizionali” J. von Schlosser, La letteratura artistica, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1977, pp. 156-157. Per le affermazioni di Leonardo, si veda soprattutto la prima parte del Codice Vaticano Urbinate 1270, ovvero del Libro di Pittura (cfr. edizione a cura di C. Pedretti, Giunti, Firenze 1995).
[3] D’ora in poi GS.
[4] GS, 53.
[5] Mi sembra che tale collocazione dell’arte dentro il più vasto mondo della cultura venga confermata da eventi come il recente incontro di spiritualità dedicato specificatamente agli operatori del mondo della cultura e dell’arte, dello spettacolo e dei mass-media, guidato dal Cardinale  Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione della fede. Tale incontro si è tenuto  il 5 marzo 1997 in San Giovanni in Laterano, con titolo Guardare Cristo, entro le iniziative della Grande Missione per la città di Roma, in vista del Giubileo del 2000. La meditazione del Cardinale Joseph Ratzinger, introdotta dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, è stata accompagnata dalla lettura di brani letterari e dalla esecuzione di brani musicali dedicati a Gesù Cristo in epoca antica, medievale, moderna e contemporanea, e da  una mostra  di pittura sul tema La ricerca di Dio nell’uomo contemporaneo realizzata dagli studenti delle venti Accademie di Belle Arti italiane.
[6] GS, 57.
[7] Con questo non intendo affermare che ciò che l’arte propone sia necessariamente vero, né escludo la possibilità di un’arte immorale.
Il tema della conversio trascendentalium è stato recentemente messo a tema, con specifico riferimento all’arte letteraria contemporanea, in: G. Sommavilla, Il bello e il vero. Scandagli tra poesia, filosofia e teologia, Jaca Book, Milano 1986; Sommavilla, La ragione dell’Arte e il Sacro, in Aa. Vv., Le ragioni del Bello, a cura di M. Longo, Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1986, pp. 53-68. In quest’ultimo volume, che presenta i contributi del XXXVIII Convegno per ricercatori universitari di discipline filosofiche, organizzato dal Centro di Studi Filosofici di Gallarate, si vedano anche G. Negro, Note per una metafisica del bello in s. Tommaso, pp. 69-80; C. Pandolfi, “Pulchrum-verum-bonum” nel “Commento ai Salmi” di s. Tommaso, pp. 81-86.
[8] C. Chenis, Fondamenti teorici dell’arte sacra. Magistero post-conciliare, Las-Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1991, pag. 25. Chenis conduce un’interessante disamina del significato di “sacro”, sottolineandone una originaria connessione con il “bello”.
[9] SC, 122.
[10] Ivi, 123.
[11] Ivi, 124.
[12] Ivi, 125.

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