domingo, 23 de octubre de 2011

Fondamenti Costitutivi dello Spazio Sacro 3/8

Nostalgia e architettura
Non tutti percepiscono, non tutti sono sensibili infatti al fascinans del Sacro, lo stesso R. Otto lo ammette e lo considera dato indiscutibile. Non tutti veramente arrivano a sentire l’esistenza del Sacro e dunque di uno spazio sacro. Ma possiamo essere del tutto certi di questo, possiamo dare ragione a Otto? Possiamo dire, noi come lui, che ci sono degli uomini profani, come lui li qualifica, che siano totalmente profani, totalmente estranei alla dimensione del sacro e, se è vero che questa percezione è necessaria per arrivare alla pietas e alla religione, che siano quindi in qualche modo irredimibili? Per noi sarebbe un approccio forse troppo calvinista perfino per il luterano R. Otto, se non addirittura poco cristiano. È necessario allora osservare il comportamento dell’uomo profano rispetto allo spazio. Si direbbe che per lui, per il quale non c’è una divinità, manchi pure un’orientazione: egli non ha ragione di disporre la propria geografia secondo delle direzioni che siano estranee alle sue quotidiane necessità. Eppure lo fa. Anche per lui infatti non ogni luogo è uguale all’altro, esistono cose che tracciano almeno dei sentieri, che scavano dei leggeri affossamenti, che innalzano delle piccole colline in quella distesa omogenea e sempre uguale che è lo spazio profano, differenziato altrimenti solo da accidenti naturali o funzionali. La casa natale, il luogo dei primi amori, i ricordi della giovinezza segnano il suo comportamento non soltanto quando ritorna in questi posti dopo anni, trovandoli mutati, ma molto di più ancora: queste memorie di luoghi, di spazi, di atmosfere, condizioneranno il suo rapporto con i nuovi luoghi che lui frequenta, che vede, che percorre, che dispone intorno a sé. Essi costituiranno solitamente un termine di paragone involontario ed inevitabile, e spesso anche un modello, per conformare i nuovi luoghi che egli fonderà, dalla nuova casa al suo ufficio. Forse allora non è generoso pensare che l’uomo, che per comodità chiamiamo profano, sia poi del tutto estraneo al sacro. Un sacro con la ‘s’ minuscola certo ma, almeno secondo Mircea Eliade, al quale soprattutto mi riferisco, questo piccolo sacro è pur sempre una traccia, una orma ormai leggerissima della consapevolezza dell’esistenza di un’altra dimensione o almeno del bisogno di una direzione, di un termine di confronto stabile che deve quindi collocarsi al di fuori del tempo presente. Eliade chiama questo comportamento “criptoreligioso”.

Dopotutto anche per l’uomo religioso la fondazione di un santuario corrisponde alla replica di un modello, di un modello che è collocato anch’esso al di fuori del tempo attuale, ma che pure si pretende esista o sia esistito. Fu così, ad esempio, per i chiostri dei monasteri, che eranoconcepiti secondo una geografia che voleva replicare la geografia paradisiaca, volevano essere dei veri paradisi, e alcuni sembra che quasi ci siano riusciti. Così anche le chiese quando volevano imitare la Gerusalemme celeste, modello che nessuno ha visto ancora ma che pure esiste attualmente in una altro spazio e in un altro tempo, tanto è vero che l’Apocalisse insegna che questa città non verrà costruita qui ma calerà dall’alto, già perfetta. Nei molteplici tentativi di replicare il Santo Sepolcro si operava solitamente con una tale libertà da rendere manifesto il vero fine: non farne una replica fedele, ma prendere da esso quelle coordinate sufficienti a stimolare un ricordo, a metterlo in comunicazione con la sfera celeste e che fanno di esso un luogo sacro riconosciuto. E tutto questo, presso l’uomo religioso come presso il profano, che cos’è se non nostalgia? È la nostalgia del Paradiso alla base della progettazione di un santuario, Paradiso che è la nostra patria, la nostra casa natale, che non avremo pace fin quando non avremo raggiunto, e che certo non avremmo desiderio di raggiungere se non fosse a tal punto pervaso di quell’aura del “fascinans” da poterne dichiarare in esso la scaturigine. Tale sentimento, la nostalgia mossa dal fascinans, si pone quindi come momento intermediario tra il riconoscimento del numinoso e il desiderio di fare del luogo dove esso si è manifestato, e che quindi è già sacro, uno spazio sacralizzato, un’architettura.

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