«Non abbiamo
ancora recepito sufficientemente che la Chiesa annuncia soprattutto quando
celebra: la celebrazione è l’annuncio più completo perché realizza ciò che
proclama» (P. Borselli). Parole chiare e severe che giungono in primo luogo a
coloro che sono chiamati alla presidenza della liturgia. Celebrare “in spirito
e verità” dipende innanzi tutto da chi ha il compito - mai facile e comunque
sempre perfezionabile - di presiedere: vescovo, presbitero, diacono, religioso/a
ed anche laico/a. «Vi chiedo scusa - disse ai fedeli al termine della Messa un
vescovo che l’aveva celebrata e presieduta assai bene - per le scorrettezze
liturgiche eventualmente da voi osservate. Anch’io, quando non celebro, osservo
i sacerdoti celebranti e ne rilevo i difetti!». A proposito dell’osservare i
preti celebranti, capita di sentire qualcuno: «Quel prete dice bene la Messa», «Mi
colpisce il modo tranquillo ed espressivo col quale proclama il Vangelo», «Perché
il nostro Don non canta durante la Messa?» (ma… se fosse ‘stonato’?!). Anni fa,
a noi seminaristi veniva detto: «La casa del sacerdote ha le pareti di vetro:
tutti ci guardano dentro». Metaforicamente, questo vale anche per il suo modo
di celebrare e di presiedere le azioni liturgiche. Al di là di critiche o di
osservazioni superficiali, c’è un buon senso della fede - e della liturgia -
che accompagna con esigenza la partecipazione alla preghiera della Chiesa.
La Igleisa necesita de santos, lo sabemos, y ella necesita también de artistas hábiles y capaces; los unos y los otros, santos y artistas, son testimonio del espíritu que vive en Cristo (Pablo VI Carta a los miembros de la Comisión Diocesana de Arte Sacra. 4 de junio de 1967).
Tomás H. Jerez
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viernes, 25 de noviembre de 2011
I LAICI PER LA LITURGIA
Dedichiamo qualche parola ai ministeri
liturgici laicali. Della loro importanza si è parlato (e si deve parlare
ancora di più) sia per la crescente mancanza di clero che, innanzi tutto, per
la natura ‘sacerdotale’ propria dei laici in ragione del sacerdozio comune o
battesimale. In causa sono chiamati i gruppi liturgici parrocchiali, le
commissioni liturgiche decanali e tutti gli animatori della parola e della
musica nella liturgia, che devono ricevere e si devono dare una costante
premura formativa. Come di un fuoco che tende ad affievolirsi o a spegnersi se
non persistentemente alimentato, così avviene dell’animazione e della stessa vita
liturgica nelle assemblee e nelle comunità cristiane, se “cede” la formazione degli animatori a tutti i
livelli e in tutti i ruoli: lettori, commentatori, cantori, direttori di coro,
strumentisti, addetti all’accoglienza e al servizio, ministri straordinari
della comunione eucaristica.
IL «NON VERBALE» NELLA LITURGIA
Quello che i Vescovi hanno detto alla Chiesa italiana, raccomandando
una liturgia «seria, semplice e bella», è riassumibile in due parole: la solennità della semplicità. Proseguendo nelle nostre chiacchierate sul celebrare,
vogliamo dare uno sguardo a ciò che fa da sfondo - per così dire - e da
sostegno alle parole e ai gesti, che delle celebrazioni liturgiche
costituiscono il fondamento: il “verbale” non può fare ameno del “non verbale”,
in una solenne semplicità o, se si preferisce, in una solennità semplice. Tanto
ci sarebbe da dire sul luogo, sull’arredo ed
anche sull’abito nella liturgia: ben altro e ben meglio c’è da esporre
su questi ‘segni’ e su questi temi; qui ci limitiamo al «qualcosa» su un
insieme di elementi che, ordinati e coordinati con arte (anche questo fa parte
dell’arte del celebrare) siano in grado di ‘dire’ e di ‘veicolare’ il Mistero
celebrato.
RITO AMBROSIANO
La centralità dell'opera di Sant'Ambrogio per la Chiesa di Milano
Tra i tesori lasciati in eredità dai
Padri, anche il rito liturgico chiamato per l’appunto “ambrosiano”: una
particolare modalità con la quale la Chiesa di Milano celebra e rivive il
mistero di salvezza. Molte particolarità risalgono proprio ad Ambrogio e ancor
oggi, dopo milleseicento anni, si sono fedelmente conservate.
Papa Gregorio Magno in una lettera
al clero di Milano del settembre dell’anno 600, confermando l’elezione del
nuovo Vescovo appena avvenuta, lo definiva significativamente non tanto come
successore, bensì come vicario di sant’Ambrogio. Veniva così in un certo senso
rimarcata, proprio dall’autorità del pontefice romano, quella connessione
strettissima tra la Chiesa di Milano e il suo patrono, quasi che fosse sempre
lui, Ambrogio, a reggere il governo pastorale del suo popolo attraverso dei
Vescovi che gli sarebbero succeduti lungo i secoli.
LE VESTI LITURGICHE SECONDO RATZINGER
Qualche tempo fa ha provocato una certa divertita perplessità in ambito
giornalistico il fatto che la rivista statunitense "Esquire", nel suo
annuale riconoscimento ai personaggi che incarnano l'epitome dell'eleganza,
abbia indicato Benedetto XVI come l'uomo che meglio sceglie i suoi accessori di
abbigliamento. Questa scelta, di una frivolezza molto caratteristica di
un'epoca che tende a banalizzare ciò che non comprende, è avvenuta in un
momento in cui Benedetto XVI aveva suscitato un'attenzione mediatica senza
precedenti nel riprendere alcuni indumenti di radicata tradizione papale come
il camauro, un copricapo invernale di velluto rosso bordato di ermellino, o il
"saturno", un cappello a tesa larga che era già stato largamente
utilizzato da alcuni suoi predecessori, come Giovanni XXIII.