Tomás H. Jerez

viernes, 25 de noviembre de 2011

I LAICI PER LA LITURGIA


            Dedichiamo qualche parola ai ministeri liturgici laicali. Della loro importanza si è parlato (e si deve parlare ancora di più) sia per la crescente mancanza di clero che, innanzi tutto, per la natura ‘sacerdotale’ propria dei laici in ragione del sacerdozio comune o battesimale. In causa sono chiamati i gruppi liturgici parrocchiali, le commissioni liturgiche decanali e tutti gli animatori della parola e della musica nella liturgia, che devono ricevere e si devono dare una costante premura formativa. Come di un fuoco che tende ad affievolirsi o a spegnersi se non persistentemente alimentato, così avviene dell’animazione e della stessa vita liturgica nelle assemblee e nelle comunità cristiane, se “cede” la formazione degli animatori a tutti i livelli e in tutti i ruoli: lettori, commentatori, cantori, direttori di coro, strumentisti, addetti all’accoglienza e al servizio, ministri straordinari della comunione eucaristica. 

È pure il caso di dire (oggi forse in particolare): della formazione si avverte l’urgenza in proporzione con la sua carenza, più o meno colpevole. Mi sovviene, poi, l’espressione raccolta dalle labbra di un vicario pastorale diocesano: «Sempre in salita, la vita!». Più che di un lamento, si tratta di una constatazione - per altro estensibile a tutto il cammino della vita cristiana - che sollecita a non fermarsi mai (sia pure in una pazienza fiduciosa) anche da parte e nei confronti degli animatori della liturgia: essi avranno sempre a che fare con la tentazione dell’improvvisazione (suggerita magari da uno zelo poco illuminato), del pressappochismo (a danno dei riti e di un accostamento profondo al mistero), di una velata pigrizia (“Tant’è, ormai i giochi sono fatti!”) o di un certo disimpegno (“C’è dell’altro - o c’è troppo - da fare!”). A costo di essere semplicisti, diciamo: sono necessari il fare bene e il fare insieme, cui aggiungiamo il lasciar fare. Un numero della “Rivista di Pastorale Liturgica” (6/2009) titola, un poco provocatoriamente: «La liturgia che verrà?». Vorremmo rispondere con un punto esclamativo: «… Dipenderà dai preti e ancor più dai laici!».

Nel fare bene è da includere innanzi tutto un impegno di educazione quasi “scolastico”, con tempi formativi sufficientemente lunghi e periodici. Per tutti gli animatori in genere sono da privilegiare le proposte diocesane (giornate e corsi ricorrenti durante l’anno pastorale); per i lettori gli incontri parrocchiali; per gli operatori della musica le Settimane residenziali (organizzate da associazioni a livello nazionale), gli Istituti musicali e le Scuole diocesane. Per il canto e specialmente per gli strumenti musicali è ovvia la necessità di uno studio prolungato nel tempo, non poco faticoso e perciò assai spesso disatteso: lo dimostra la mancanza di organisti e di ‘buoni’ chitarristi! Da parte del clero vi è una sollecitazione e si dona un sostegno sufficiente? Anima motrice della formazione permanente deve essere il gruppo liturgico parrocchiale, variamente costituito (perché non con la presenza di qualche catechista e di qualche membro del servizio caritativo?) e costantemente attivo (anche nei suoi incontri periodici).
   A proposito del “fare bene” non spiaccia un accenno al “fare economico”! Così recita una mozione proposta in un Consiglio presbiterale diocesano: «Ogni parrocchia deve preoccuparsi di avere persone sensibili nel campo del canto liturgico in specie e della musica in genere, sostenendo, anche economicamente, la loro preparazione sia liturgica che musicale e lo svolgimento del loro ministero. Anche la cura - il restauro o l’acquisto - dei necessari strumenti musicali o sussidi (…), non temendo di investire con oculatezza anche dal punto di vista economico in questo settore, è indice di una seria valorizzazione e promozione ministeriale». È il caso di sottolineare che questo aspetto “economico” è spesso un punctum dolens nell’insieme delle attività pastorali. L’assenza al riguardo di soluzioni appropriate e giuste - nei confronti in genere di tutti gli animatori (meritevoli di più ‘cordiali’ attenzioni da parte dei loro preti) e in specie di quelli che hanno profuso fatiche e denaro per la propria professione musicale - è segno di noncuranza pastorale oltre che di insensibilità umana. Sempre salvi, naturalmente, il valore e l’accoglienza del volontariato, come in molti altri campi della vita comunitaria.

Il “fare bene” non potrà non essere accompagnato dal fare insieme: i laici con i loro presbiteri; questi specialmente con i più stretti collaboratori laici. Nell’esercizio del ministero loro affidato, i presbiteri devono vivere come fratelli in mezzo ai fedeli la responsabilità ricevuta di guide e di pastori. Soprattutto negli incontri formativi la presenza del prete “in mezzo” agli animatori è indispensabile oltre che desiderata, sia per quanto egli ritiene utile o doveroso chiedere e proporre che per una paziente crescita nella co-elaborazione e nella corresponsabilità. Al riguardo, corrono lamentele circa un sentirsi ‘abbandonati’ dai propri sacerdoti nella formazione liturgica, nella scelta delle linee pastorali, nello svolgimento di un ministero particolare (vedi gruppo liturgico, direttore del coro, ministro straordinario della comunione eucaristica) o nell’attuazione di iniziative che esigono una presenza qualificante “in spirito e verità”. Pur comprendendo situazioni che possono intralciare un rapporto stretto fra clero e laici, c’è sempre da chiedersi: quali sono le “cose da fare” più importanti e quelle da fare “insieme”? Come crescere in un dialogo pastorale efficace, in un clima di comunione cordiale?

Aggiungiamo due parole anche su un lasciar fare, negativo e positivo, agli animatori liturgici. C’è un “lasciar fare” scorretto, quando per esempio nel servizio dei lettori si permette un avvicendarsi qualsiasi di persone non capaci per natura o per impreparazione; quando nella scelta, nell’esecuzione e nell’accompagnamento dei canti (da parte degli adulti o dei giovani) occorrerebbe un più serio discernimento con degli orientamenti chiari, con delle proposte e con delle correzioni - anche  con dei “no” - da parte del sacerdote responsabile o celebrante. Un certo “lasciar correre” nella celebrazione liturgica è una deriva diffusa e pericolosa, benché a fin di bene (“Bisogna attirare, accontentare e non perdere giovani e adulti”), o per incompetenza musicale (Io non mene intendo”), o peggio - come già detto - per trascuratezza liturgica (“C’è dell’altro a cui pensare”). La virtù evangelica della correzione fraterna va esercitata in ogni ambito pastorale: nella liturgia, innanzi tutto e da parte dei preti.
Ma c’è anche un “lasciar fare” corretto, fondato sulla fiducia a uomini e donne in servizio di animazione, spesso molto dotati e assai preparati (magari dopo un articolato curriculum formativo), capaci di sostenere con “sapienza celebrativa” le celebrazioni parrocchiali; essi meritano ascolto e giusta libertà di azione nell’armonia di progettazioni concordate. Cammin facendo qualche rischio lo si correrà insieme e non mancheranno sbagli, ma ciò non deve portare a chiusure o addirittura a steccati.

   Se S. Ambrogio commentasse la suaccennata ‘monizione’ liturgica di un Consiglio presbiterale diocesano, forse ci offrirebbe una sua pregevole opera in più (un “Trattato su…”),  chiamando in causa con mite fermezza e preti e laici, lui che in qualche parte ha scritto: «Non crediate che sia una virtù da poco sapere in quale modo pregare»! Chissà che cosa ci direbbe non solo di ‘unità pastorale’ ma anche di ‘unità liturgica’, e di ministeri liturgici laicali.

Don Giancarlo Boretti 

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