Nell’esporre i principi generali
per la riforma e l’incremento della Liturgia, la Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium si preoccupa anzitutto
di specificare la natura e l’importanza che ha la Liturgia nella
vita della Chiesa.
Natura e importanza specificate
non con una definizione o con una serie di norme rubricali da osservare, ma
inserendo la Liturgia nella visione che più propriamente le conviene: la storia della salvezza.
Così si esprime Sacrosanctum concilium: “Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini
siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), «dopo avere
già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo
dei profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio,
Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai
poveri, a risanare i cuori affranti, «medico della carne e dello spirito»,
mediatore di Dio e degli uomini. Infatti la sua umanità, nell'unità della
persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Perciò in Cristo
«avvenne il perfetto compimento della nostra riconciliazione e ci fu data la
pienezza del culto divino” (SC 5)
Anche noi, volendo ricercare la natura della Liturgia, dobbiamo partire
dalla sua collocazione nella storia della salvezza; lo faremo commentando le
citazioni bibliche, patristiche, liturgiche riportate in Sacrosanctum concilium 5. Ci muoveremo attraverso i seguenti
passaggi:
·
· il mistero della salvezza voluto
da Dio;
·
· il mistero della salvezza realizzato
da Cristo;
·
· il mistero della salvezza continuato
nella Liturgia.
1. Il mistero della salvezza voluto da
Dio: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza
della verità” (1 Tm 2,4).
Con questa citazione paolina la
Costituzione liturgica inizia a descrivere la natura della liturgia. E’ infatti
questa volontà di Dio, questo disegno misterioso di salvezza presente in Lui
fin dalla creazione del mondo, che ha permesso di essere scelti in Cristo “per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi... E
questo a lode e gloria della sua grazia... Egli l’ha abbondantemente riversata
su di noi con ogni sapienza e intelligenza, perché egli ci ha fatto conoscere
il mistero della sua volontà... il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte
le cose” (Ef 1,4-14; 3,1-13).
Il mistero della volontà di Dio non equivale, per san Paolo, a qualcosa
di misterioso o di inconoscibile, ma è appunto questa volontà di salvezza
presente da sempre in Dio e che nel tempo è stata rivelata e attuata per mezzo
del Figlio suo Gesù Cristo. In lui siamo stati fatti anche eredi e dopo aver
ascoltato e accolto la Parola che salva, abbiamo ricevuto il sigillo dello
Spirito Santo il quale è caparra della nostra eredità (cf Ef 1,11s).
2. Il mistero della salvezza realizzato
da Cristo.
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi
modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato
a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per
mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2).
Cristo è il capitolo ultimo e
conclusivo di tutta la storia della salvezza. In lui i tempi della pazienza di
Dio (cf 1 Pt 3,20; Rm 3,25) hanno raggiunto la loro pienezza e si è potuto così
manifestare come l’inviato del Padre, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo,
ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti (cf Is
61,1; Lc 4,18), “medico di carne e di spirito” (Ignazio di Antiochia),
Mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5).
Infatti la sua umanità,
nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per cui
in Cristo avvenne la nostra perfetta
riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza del culto divino
(Sacramentario Veronese 1265).
Quest’opera della redenzione
umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle
mirabili gesta divine operate nel popolo della prima alleanza, è stata compiuta
da Cristo Signore specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e
gloriosa ascensione, mistero col quale morendo ha distrutto la morte e risorgendo
ci ha ridonato la vita (Prefazio pasquale
I). Infatti dal costato di Cristo dormiente
sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa (S. Agostino).
Per la Chiesa, dunque, non esiste
altra Liturgia al di fuori del disegno di salvezza concepito da Dio fin
dall’eternità e realizzato nel tempo dal Figlio suo Gesù con la potenza dello
Spirito Santo. Tale disegno prevede la salvezza di tutti gli uomini e culmina
con la bella testimonianza d’amore che il Figlio di Dio dà al Padre attraverso
il mistero di morte e di risurrezione. In Cristo pertanto non solo avviene una
perfetta riconciliazione con Dio, ma per mezzo suo è anche possibile ormai un
pieno accesso al Padre per offrire, con Lui ed in Lui, un vero culto divino e
gradito, “perché noi fossimo a lode della sua gloria” (cf Ef 1,6.12.14).
3. In Cristo è possibile la pienezza del culto divino.
In Cristo giunge al suo pieno
compimento il vero culto richiesto da Dio al suo popolo e tenuto costantemente
presente da tutta la tradizione profetica. La Chiesa, Sposa del Cristo, nel
celebrare ogni volta (1 Cor 11,26) il
memoriale del suo Signore, non potrebbe, a rischio della sua fedeltà,
distaccarsi da quella pienezza di culto divino che Cristo Signore Risorto le ha
lasciato come dono supremo. Anzi è proprio nella Liturgia che Cristo si rende
particolarmente presente, e quindi sicuramente trovabile, per realizzare ancora
e sempre l'opera pasquale con la quale morendo ha distrutto la nostra morte e
risorgendo ci ha ridato la vita.
Dal momento che la divina
pedagogia ha impiegato tutta una storia
per dare all’uomo, in Cristo e nello Spirito, la pienezza del culto divino, per
conoscere la vera natura di questo
culto sarà necessario ripercorrere le tappe che hanno condotto da ciò che era “copia e ombra delle realtà celesti” (Eb
8,5; 9,23) a ciò che è “pienezza del
culto divino”:
4 Culto e liturgia nell’Antico Testamento.
Presso i pagani era comune l'idea
che il culto fosse un mezzo magico per piegare la divinità verso l'uomo. La
Bibbia al contrario presenta il culto come una risposta dell'uomo a Dio che g1i
si è già fatto incontro e che ha già preso l'iniziativa. Dio si sceglie un
popolo, gli fa delle promesse, compie per lui meraviglie e diventa il suo
alleato. Indicativo è il testo di Esodo
19, 3-7:
«Voi stessi avete visto ciò che
io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti
venire fino a me. Ora se ascolterete
la mia voce e se custodirete la mia
alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta
la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa».
Prima ancora che Israele potesse
dirsi un popolo libero, Dio era già ad attenderlo; per mezzo di Mosè, suo
intermediario, Dio convoca il suo popolo, gli parla come ad un figlio
primogenito, gli propone una alleanza a preferenza di tutti gli altri popoli.
A più riprese, con una insistenza
significativa, il libro dell'Esodo sottolinea che scopo della liberazione
dall'Egitto è proprio questo: «offrire un culto a Dio» (Es 3,18; 5,1; 7, 16.26;
8, 4.16.23; 9,1...). Viene anche specificata la natura di questo culto
richiesto: se ascolterete...se custodirete la mia alleanza sarete
per me la proprietà (= Qahal - Ekklesia
- Convocazione - Chiesa) tra tutti i popoli (Cfr. anche Es 23, 22: se fai
quanto ti dirò, io sarò...).
Tra gli insegnamenti che la legge
dava al popolo di Israele dominava questo: «Guardati dal dimenticare Jahvè, che
ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto...Temerai Jahvè, Dio tuo, e lui servirai»
(Dt 6,12-13). Tale «servizio», pur comprendendo vari atti di culto, riti,
feste, non aveva alcun valore se non era espressione della disposizione del
cuore a «servire» Dio. Il rito esteriore deve essere l'espressione della
volontà e dell'amore dell'uomo nell'accettare l'iniziativa del Signore e le sue
direttive. Senza questa condizione, che resterà fondamentale sia per l'antico
come per il nuovo culto, ogni liturgia sarebbe pura formalità e non sarebbe
luogo di salvezza per l'uomo dal suo peccato.
Assistiamo allora a tutta una
serie di iniziative portate avanti dai profeti per richiamare il popolo
d'Israele a questa primitiva e fondamentale nozione di culto, unica richiesta
dal Signore al momento dell'Alleanza:
·
· Osea 6,6: «Voglio l'amore e non
il sacrificio, la conoscenza di Dio più che gli olocausti»;
·
· 1 Sam 15, 22-23: «L'obbedienza vale più di un sacrificio, la docilità
più del grasso dei montoni”;
·
· Isaìa 1,11-12.15.19: «Che
m'importa dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di
montoni e del grasso dei giovenchi. Quando venite a presentarvi a me, chi
richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?.. Anche se moltiplicate
preghiere io non ascolto.. Se sarete
docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché
la bocca del Signore ha parlato»;
·
· Geremia 7,22: «In verità io non
parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando
li feci uscire dal paese d'Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia
voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate
sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”;
·
· Geremia 11,3-4: «Maledetto
l'uomo che non ascolta le parole di questa Alleanza che io imposi ai vostri
padri dicendo: ascoltate la mia voce ed eseguite quanto vi ho comandato; allora
voi sarete il mio popolo ed io sarò il vostro Dio»;
·
· Amos 5,21-25: «Io detesto, respingo le vostre feste.
Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne.
Mi avete forse offerto vittime nel deserto, o Israeliti?”
Dalla riflessione profetica
appare dunque chiaro che le offerte dei sacrifici e le osservanze delle sacre
festività non avrebbero alcun significato se non si abbandonasse l'iniquità e
se non si operasse secondo giustizia (Cf Is 1,11-17; 58,1-10).
Questo è anche il primo “credo”
di Israele: «Ascolta Israele: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze…Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai
e giurerai per il suo nome» (Dt 6,4-5.13).
La riflessione dei profeti non
solo richiama il popolo d’Israele contro ogni formalismo e gli ricorda l'unico
sacrificio richiesto e gradito da Dio, ma si spinge ancora in avanti
preannunciando le caratteristiche che dovrà avere il nuovo culto dei tempi
messianici quando sarà stipulata la nuova alleanza:
Geremia 31,31-34: «Ecco verranno giorni,
dice il Signore, nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda io
concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho concluso con i loro
padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto una
alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del
Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele dopo
quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò
sul loro cure. Allora io sarò il loro
Dio ed essi saranno il popolo mio.
Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: riconoscete il Signore,
perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore;
poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato»
(cf Ger 32,38)
L'ideale proposto da Geremia, tenuto desto nella più sana
tradizione spirituale d'Israele, torna ad essere espresso con la medesima
formula: “Io sarò il vostro Dio -
Voi sarete il mio popolo» (Cf Es 19,5-6; Dt 7,6; Ger 7,23; 11,4; 30,22; 31,1; 32,38).
Dopo l’esilio di Babilonia, Ezechiele richiama ancora una volta il
senso del vero culto che il Signore desidera: “Darò loro un cuore nuovo e uno
spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di
pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino
le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo ed io sarò il
loro Dio” (Cf anche 36,28; 34,24-30; 37,27; Zach 8,8).
La novità di tale alleanza sarà
dunque caratterizzata dall’iniziativa divina per il perdono dei peccati (Ger
31,34; Ez 36,25-29) e dalla interiorizzazione del culto: la legge cesserà di essere
solo un codice esterno e diventerà invece una ispirazione che tocca il «cuore»
dell'uomo (Ger 31,34; 24,7; 32,39). Tale interiorizzazione sarà operata dallo
Spirito di Dio che dà all'uomo un cuore nuovo (Ez 36,26-27; Sal 51,12) capace
di conoscere Dio (Os 2,22).
Questa alleanza nuova ed eterna,
proclamata nuovamente da Ezechiele (Ez
36,25-28), dagli ultimi capitoli di Isaia
(Is 53,3; 59,21; 61,8; cf Bar 2,35), vissuta nel Salmo 51, verrà inaugurata dal sangue di Cristo (Mt 26,28) e gli
Apostoli ne annunzieranno il compimento (2 Cor 3,6; Rm 11,27; Eb 8,6-13;
9,15ss; 1 Gv 5,20).
Prof.
Paolo Giglioni
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