Tra
il 1904 e il 1907, Gaudí ristrutturò la Casa Batlló – uno dei palazzi più
enigmatici di Barcellona – ubicata nel Passeig de Gràcia, il grande e sontuoso
viale alberato, una delle principali ed animate arterie dell’Eixample. (L’Eixample,
letteralmente estensione, allargamento, è il piano di ampliamento che interessò
una vasta area della città. Fu redatto nel 1859 dall’ingegner Ildefons Cerdà,
per ospitare la borghesia che, intorno alla metà dell’Ottocento, stava abbandonando
il nucleo più antico del Barri Gótic alla ricerca di un nuovo spazio urbano).
Edificato su un terreno lungo e stretto, chiuso tra altri fabbricati, il
palazzo articola la sua pianta intorno a due cavedi, completamente maiolicati e
coperti da una vetrata.
La facciata – descritta come una “superficie d’acqua verticale” ed in genere sempre paragonata alle Ninfee di Monet – è rivestita da un mosaico di paste vitree colorate e da dischi di ceramica, diversamente inclinati nella muratura, che riflettono variamente le iridescenze della luce. Il tema di questa casa è la lotta leggendaria fra San Giorgio (il santo patrono della Catalogna) e il drago: sembra che la croce a quattro bracci, posta sulla sommità della torretta del tetto, vada a conficcarsi nella spina dorsale del mitico animale. Le tegole maiolicate a vivaci colori, simboleggiano le squame della sua pelle e la bordura, il suo scheletro. I comignoli rivestiti di ceramica e vetro istoriato sono ancora più fantasiosi di quelli del Palazzo Güell. I barcellonesi dell’epoca accolsero con stupore quest’opera, soprannominandola “casa delle ossa” o “casa degli sbadigli”. Infatti, i balconi dei piani inferiori sono adornati con esili colonnine a forma di ossa, mentre quelli dei piani superiori, con motivi in ferro battuto, richiamano bocche aperte e denti aguzzi. La decorazione della casa, alla quale aveva contribuito, con un ruolo decisamente determinante, Jujol, rivela un vivo linguaggio pienamente modernista. I suggestivi interni, in cui si è fatto ampio uso del legno, presentano oggi parte dell’originaria mobilia disegnata dallo stesso Gaudí.
La
costruzione della Casa Milà, l’ultima opera civile dell’architetto, meglio
conosciuta come “La Pedrera” (la pietraia )per la sua forma, durò dal 1906 al
1912. Si tratta di un vasto edificio – quasi un blocco monolitico dove non
esiste, nella struttura, nemmeno una linea retta – che si sviluppa su una
superficie irregolare, con due cortili mistilinei all’interno. Posta sull’angolo
fra Passeig de Gràcia e Carrer de Provença, distende sulle due vie un’ampia e
movimentata facciata con finestre asimmetriche, come se fosse un corrugamento
calcareo modellato in curve dal moto di onde marine. La struttura portante del
fabbricato è costituita da una maglia di pilastri disposti irregolarmente e
senza corrispondenza in verticale lungo un unico asse: soluzione dettata dalla
varietà degli appartamenti, caratterizzati da un’estrema libertà compositiva, e
dall’andamento sinuoso delle pareti. Le invenzioni formali gaudiane sono,
quindi, qui subordinate al conseguimento di un forte effetto plastico: dal
bugnato poroso delle pareti, ai massicci pilastri in pietra calcarea, dal
movimento filiforme delle cornici marcapiano, alla bianca mansarda dal pendio
curvilineo e alle balaustre dei balconi, vere e proprie sculture in ferro
battuto che assomigliano a gigantesche alghe marine incrostate su scogli. Il desván
(abbaino), oggi adibito a spazio espositivo, presenta archi parabolici di
mattoni disposti a coltello che sostengono il peso della terrazza, ottenendo
così la massima forza portante con il minimo dello spessore. Nel tetto piano
Gaudí ricavò un grande spazio praticabile, attraversato da scalette e gradini
che seguono i saliscendi, ravvivato dalle strane escrescenze di torrette e
comignoli, rivestiti dal solito collage di frammenti di maioliche o da pietra
calcarea e plasmati in forme vagamente antropomorfe. Con la loro capricciosa
forma attorta, che vuol essere quasi un recupero dei motivi del barocco
borrominiano, sembrano, infatti, inquietanti teste di guerrieri medievali, ricreate
in un mondo onirico e suggestivo. L’intensa fede cattolica aveva anche portato
l’autore a concepire l’edificio come il colossale basamento per un imponente gruppo
scultoreo (previsto dapprima in pietra, metallo e cristallo, poi in bronzo
dorato, alto quattro metri e mezzo ed opera dello scultore Carles Mani i Roig),
dedicato alla Vergine del Rosario e composto dalle statue della Madonna con
Bambino e degli arcangeli Gabriele e Michele. (Secondo alcuni autori la statua
della Madonna sarebbe stata alta addirittura 25 metri). Le tre figure del
grandioso monumento sarebbero emerse dal profilo ondulato del lungo prospetto,
sulla cui sommità sono scolpite alcune parole in latino tratte dall’Ave
Maria, oltre ad una rosa di pietra, sovrastata dalla lettera M e situata al
centro della parte superiore della smussatura di facciata. (La rosa e la M
hanno due interpretazioni: M = vergine Maria o signora Milà e la rosa = Vergine
del Rosario o Roser Segimón, moglie del committente Pere Milà).
“La
casa, dunque, era un grande basamento roccioso che a sua volta simboleggiava la
cintura montuosa di fra’ Gherau, una delle ondulazioni orogeniche più popolari
del Montserrat e che l’autore aveva tante volte visitato nei suoi pellegrinaggi”
(R. Pane). L’idea, però, dapprima accettata dai coniugi Milà, non si
concretizzò a causa della loro successiva opposizione, nell’agosto 1909. Pochi
giorni prima, infatti, in un momento difficile per la Spagna, caratterizzato da
tensioni politiche e sociali, a Barcellona era scoppiata la “Semana Trágica”
(settimana tragica, 26-30 luglio 1909), in cui si erano verificate violente
manifestazioni anticlericali da parte della popolazione. Perciò i Milà, presi
dal panico e temendo nuovi tumulti, non vollero che la casa fosse scambiata per
un convento e quindi devastata o addirittura incendiata, come era già capitato
a numerosi edifici religiosi della città in quei giorni terribili. In seguito a
tali disaccordi, nel 1911, Gaudí abbandonò i lavori, lasciando il completamento
della decorazione interna ed esterna dell’opera – da lui considerata come “un
gigante senza testa” – ai suoi collaboratori Jujol e Clapés. Nel 1984 La Pedrera,
insieme al Palau Güell e al Park Güell, è stata dichiarata dall’UNESCO
Patrimonio dell’Umanità.
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