A
partire dal 1900, il maestro catalano creò i propri capolavori, tutti sorti a
Barcellona, se si eccettua il progetto della chiesa della Colònia Güell a Santa
Coloma de Cervelló – singolare esempio di ardita e stravagante trasfigurazione fantastica
dei materiali, per altro nei pressi della città – di cui fu costruita la sola cripta.
Proprio
in quell’anno, Gaudí cominciò a lavorare – sempre per il suo amico conte – al
Park Güell, un vasto complesso urbano della superficie di circa 15 ettari,
situato alle pendici di quella che una volta era chiamata “la Montagna Pelata”,
per indicare che le rocce erano molte e gli alberi pochi. Il parco, che nelle
intenzioni del committente doveva far parte del piano urbanistico di una
borgata-giardino per una colonia operaia – alla periferia di Barcellona –
formata da 60 case unifamiliari in mezzo al verde (mai realizzate), è oggi
utilizzato per il pubblico. Il Parco Güell, tempio del gioco e della libertà
immaginativa, in posizione strategica e dominante e con una magnifica vista
fino al mare, ha chiaramente un “carattere ludico” (L. V. Masini). Qui
l’architetto si è proposto di realizzare un’armonia totale tra le forme
artistiche e quelle naturali del luogo. E qui ha voluto riunire non soltanto
“l’opera del costruttore, che definisce le strutture, quella dello scultore,
che modella le masse, e quella del pittore, che qualifica le superfici mediante
il colore; ma [... ha fatto]
confluire
nell’opera molte specialità dell’artigianato: mosaico, ceramica, ferro battuto
ecc.” (G. C. Argan).
L’entrata
del parco è collocata tra due padiglioni riccamente decorati che hanno le
coperture a cuspide frastagliate e maiolicate con comignoli a forma di fungo,
l’Amanita Muscaria; subito dopo, una scalinata adornata da fontane ed elementi
decorativi (tra cui la famosa salamandra, leggendario animale carico di simbolismo),
conduce alla grande sala ipostila in stile dorico-floreale – nel progetto
destinata a mercato coperto – sorretta da 86 colossali colonne.
Queste
ultime sostengono un vasto piazzale in cui si può sostare e da cui si apre un
belvedere sulla città.
All’esplosione
cromatica dei padiglioni dell’ingresso e della scala principale, brulicanti di
frammenti colorati di porcellane e vetri incrostati su materiali grezzi, fa da
contrasto l’aspetto cupo e drammatico dei portici con colonne inclinate, in
pietra di colore fulvo. Domina l’opera un ritmo curvilineo, che raggiunge la
massima espressione nella grande e suggestiva panchina serpeggiante e ondulante
che circonda la piazza. A questa panca, decorata con frammenti di azulejos che
formano figure astratte, coeve dei primi dipinti non figurativi di Kandinskij,
aveva collaborato Josep Maria Jujol, cui sembra appartengano anche i collage
del soffitto dell’Ipostilo. A proposito della decorazione, Gaudí aveva già
scritto in un’agenda, all’età di 26 anni: “L’ornamentazione è stata, è e sarà
colorata; la Natura non ci presenta nessun oggetto in maniera monocromatica,
del tutto uniforme per ciò che riguarda il colore, né nella vegetazione, né
nella geologia, né nella topografia, né nel regno animale. Sempre, il contrasto
del colore è più o meno vivo e da ciò deriva il fatto che, obbligatoriamente,
dobbiamo colorare in parte o per intero un elemento architettonico, colorazione
che forse scomparirà affinché la mano del tempo si incarichi di dargliene una
più propria e opportuna per una cosa ormai vecchia”.
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