I gesti e
movimenti dei fedeli durante la celebrazione della Santa Messa appartengono a
quegli aspetti materiali del culto divino che non si possono trascurare. San
Tommaso d’Aquino è molto chiaro nell’osservare che dobbiamo rendere onore a Dio
non solo in spirito. Siccome gli uomini sono creature corporee, i sensi esterni
sono sempre coinvolti. Nella sacra liturgia è necessario «servirsi di cose
materiali come di segni, mediante i quali l’anima umana venga eccitata alle
azioni spirituali che la uniscono a Dio» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7).
Abbiamo quindi
bisogno di segni sensibili per purificare il nostro cuore e nutrire il nostro
desiderio di unione con il Dio invisibile. L’Aquinate riconosce che il fine
della liturgia è l’offerta spirituale compiuta da coloro che partecipano ad
essa. Ma la costituzione umana è tale, che l’espressione interna dell’anima
cerca allo stesso tempo una manifestazione corporea. D’altro canto la vita
interna è sostenuta dagli atti esterni. Per provvidenziale volontà di Dio,
siamo chiamati ad offrirgli i segni visibili della nostra offerta spirituale,
perché, in quanto creature corporee, comunichiamo con segni esterni. Il Doctor
communis osserva: «Queste cose esterne non vengono offerte a Dio, come se
Egli ne avesse bisogno […], ma come segni degli atti interni spirituali» (S.Th.
IIa IIae q. 81 a. 7 ad 2).
In questa
prospettiva, si mette in luce anche l’importanza dei gesti ed atteggiamenti
nella liturgia. Tali consuetudini fanno parte della tradizione viva del popolo
di Dio e sono trasmesse da una generazione all’altra insieme ai contenuti della
fede. Dal canto suo, la Chiesa, come Madre e Maestra, interviene a volte, dando
indicazioni più precise per educare i fedeli allo spirito della liturgia.
La normativa per
la forma ordinaria della Santa Messa di Rito Romano si trova nell’attuale Ordinamento
Generale del Messale Romano, n. 43, dove viene spiegato che il giusto
atteggiamento dei fedeli nelle varie parti della Celebrazione eucaristica è
segno di unità e favorisce la partecipazione all’azione liturgica:
I fedeli stiano
in piedi dall’inizio della Messa fino alla conclusione dell’orazione
colletta, durante l’Alleluia, la proclamazione del Vangelo, il Credo e la
preghiera universale; si alzino all’invito Orate, fratres prima
dell’orazione sulle offerte e rimangano in piedi fino al termine della Messa,
fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
I fedeli stiano
seduti per le letture prima del Vangelo e il salmo responsoriale,
all’omelia e durante l’offertorio; possono stare seduti anche durante il sacro
silenzio dopo la Sacra Comunione, se viene osservato.
I fedeli s’inginocchino
alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il
cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che
i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della
Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus, si
conservi lodevolmente tale uso.
Secondo l’Ordinamento
Generale, spetta alle Conferenze dei Vescovi, con la recognitio
della Sede Apostolica, adattare queste norme secondo le sensibilità delle
culture e tradizioni locali. Tuttavia, bisogna stare attenti che i gesti
corrispondano sempre al vero senso di ciascuna parte della liturgia.
Un gesto da
rivalutare in non poche celebrazioni liturgiche odierne è l’inginocchiarsi.
L’adorazione inizia dal riconoscimento di Dio e della sua sacra presenza, che
sollecita l’uomo ad una risposta di riverenza e devozione. Nell’ambito biblico,
il gesto più caratteristico dell’adorazione è quello di prostrarsi o di
mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Dio (cf., ad esempio, 1Re
8,54-55; Lc 5,8; 8,41; 22,41; Gv 11,32; Atti
7,60; Ap 5,8 e 14; 19,4; 22,8). I primi cristiani hanno recepito
questa prassi, come attestano Tertulliano e Origene nel terzo secolo.
La ben nota
prescrizione del canone ventesimo del primo Concilio di Nicea (325), di stare
in piedi per la preghiera liturgica, ad imitazione del Risorto, si
riferisce specificamente alle domeniche e al tempo pasquale, mentre nei giorni
di digiuno e nei giorni stazionali si pregava in ginocchio, così come attestato
riguardo alla preghiera personale quotidiana. D’altronde, già in una lettera
scritta nel 400, sant’Agostino dichiarava di non sapere se la prescrizione di
Nicea fosse una consuetudine propria a tutta la Chiesa (cf. Ep. 55 ad
Ianuarium, XVII, 32).
Durante i
secoli, la Chiesa ha sempre ricercato espressioni rituali il più adeguate
possibile, dando così una testimonianza visibile della sua fede e del suo amore
verso il culto divino e in particolare l’Eucaristia. Così si è sviluppata in
Occidente la consuetudine che i fedeli si inginocchino per il Canone della
Messa, o almeno nelle sue parti centrali: la consacrazione. In tal modo, si è
anche diffusa la prassi di ricevere la Sacra Comunione in ginocchio. Per
fornire un esempio a tutta la Chiesa, il Santo Padre Benedetto
XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, ha
cominciato a distribuire la Sacra Comunione direttamente sulla lingua ai fedeli
che la ricevono inginocchiati.
In risposta ad
alcune difficoltà che sono emerse nella vita liturgica, la Congregazione
per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ribadisce che «la
pratica di inginocchiarsi per la Sacra Comunione ha a suo favore secoli di
tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto
appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro
Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (Lettera This Congregation,
1 luglio 2002: trad. it. Enchiridion Vaticanum vol. XXI, p. 471 n. 666).
Il Dicastero chiarisce che non è lecito rifiutare la Sacra Comunione per la
semplice ragione che i comunicandi scelgono di riceverla in ginocchio (cf.
Istruzione Redemptionis
Sacramentum, n. 91).
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