Tomás H. Jerez

jueves, 22 de diciembre de 2011

ANTONI GAUDÍ, “L’ARCHITETTO DI DIO” 6/7

Una delle poche passioni che Gaudí aveva conservato, nell’ultimo periodo della sua esistenza terrena, era l’amore per la musica. Alla fine della sua giornata di lavoro, specialmente la domenica, gli piaceva fare una lunga passeggiata a piedi che terminava all’oratorio di San Filippo Neri. Qui sostava in preghiera tutte le vigilie e si estasiava con la messa cantata. Considerava il canto gregoriano come un prolungamento della sua arte. O, piuttosto, il contrario, l’architettura era per lui una riproduzione in pietra del canto d’elogio che rappresentava il gregoriano. Il legame con l’Oratorio era rinforzato anche dalla presenza di un sacerdote singolare, il Padre Agustín Mas Folch, che era il suo direttore spirituale e che sarà ucciso nel 1937, durante la persecuzione religiosa. E sarà anche questa passione ad essergli fatale.





La sera del 7 giugno 1926, infatti, fu investito da un tram della linea 30, all'incrocio tra la Gran Via e il Carrer de Bailèn, mentre era diretto, come di consueto, alla chiesa di San Filippo Neri per la messa vespertina, prima di rientrare alla sua dimora nel cantiere del Tempio. Indossava dei vestiti così dimessi e sporchi di calce che il suo soccorritore, in mancanza di documenti d’identità, lo scambiò per un barbone: un barbone che aveva in tasca una copia consunta del Vangelo. Ricoverato all’Hospital de la Santa Creu per le ferite riportate, morì tre giorni dopo, alla cinque di sera; ai funerali, a testimonianza della sua popolarità, partecipò commossa un’immensa folla, in fila per due chilometri e mezzo dietro al feretro.

Il 12 giugno venne sepolto nella cappella del Carmine, all’interno della cripta della Sagrada Família. Ma il 20 luglio 1936, all’inizio della Guerra Civile e in piena persecuzione religiosa, il tempio fu saccheggiato dalla folla. Furono incendiati gli altari della cripta, la scuola per bambini (un piccolo edificio costruito nel cantiere della chiesa fra il 1908 e il 1909), lo studio di Gaudí e l’archivio interno, dove il maestro custodiva documenti e grafici di gran parte dei suoi progetti; furono quindi distrutti i disegni e i modelli in gesso della Sagrada Família. Anche la tomba dell’architetto fu profanata: fu spezzata la lapide e poi venne riempita di spazzatura. Per i rivoluzionari, il Tempio non era un’opera d’arte, ma un canto alla fede religiosa che doveva essere abbattuto! (La cripta e la scuola, quest’ultima subito ricostruita e poi ancora danneggiata nel 1939, furono definitivamente restaurate non prima dello stesso anno – all’inizio della dittatura franchista – da Francesc de Paula Quintana i Vidal; i modelli – che costituiscono oggi la base per la prosecuzione dei lavori del tempio – furono ricomposti dai frammenti recuperati, a partire dal 1945, dallo stesso Quintana, da Isidre Puig i Boada e da Lluís Bonet i Garí, tre fra i continuatori dell’opera dopo la morte di Gaudí e già suoi collaboratori).

Seguì un periodo di sostanziale oblio per Gaudí, a lungo sottovalutato dalla critica ufficiale (lo stesso Giedion lo ignorava nella sua opera), da molti ritenuto un mistico decadente. Perfino George Orwell, nel 1938, in ‘Omaggio alla Catalogna’, parlando della Sagrada Família, la definiva “una cattedrale moderna e uno degli edifici più orrendi del mondo [… con] quattro guglie merlate che avevano esattamente la forma di una bottiglia di vino del Reno […]”, osservando come non avesse “subito danni nel corso della rivoluzione […] grazie al suo ‘valore artistico’ […]” e concludendo come “gli anarchici [… avessero dato] prova di cattivo gusto nel non farla saltare in aria quando ne ebbero l’occasione […]”.

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