Tomás H. Jerez

domingo, 23 de octubre de 2011

Fondamenti Costitutivi dello Spazio Sacro 6/8

La soglia
Il processo di definizione dello spazio sacro descritto fin’ora è ancora molto incompleto. Aprendo una finestra sul tempo sacro si permette al divino di entrare nella dimensione ordinaria, ma come si è detto, la manifestazione del Sacro avviene in uno spazio comune, in un’intersezione tra la dimensione terrena e quella del divino. E dunque questo spazio, del quale il sacro si appropria introducendovisi, deve essere reso comunque accessibile all’uomo, o almeno ad alcuni uomini, affinchè sia banalmente riconoscibile come uno spazio. Questo accade ovviamente proprio attraverso la soglia. Naturalmente a questo punto la soglia assolve sia un fine funzionale che uno simbolico. La soglia serve a consentire l’ingresso attraverso il solido recinto che protegge il sacro e protegge dal sacro, ha un ruolo simbolico di mediazione con lo spazio profano, è punto di  intersezione, senza il quale l’uomo resterebbe comunque escluso dal contatto col sacro.

La prima soglia che si incontra nell’avvicinarsi al luogo sacro cristiano è naturalmente la porta l’ingresso. Non è sempre stato così. Ancora fino all’incirca al XIV secolo per raggiungere l’ingresso quasi di ogni chiesa era necessario attraversare un cimitero a sua volta recintato che era già un primo ambiente consacrato, non più appartenenente al mondo ordinario. La porta della chiesa restava tuttavia la soglia più importante, più forte, ed ancora di più lo fu in epoche posteriori, quando non più preceduta dal cimitero arrivava a separare e congiungere due luoghi totalmente alternativi, il luogo sacro dentro il profano fuori. La ragione principale dell’importanza che l’architettura e le altre arti hanno sempre conferito al tema della porta soprattutto nell’architettura sacra risiede in una semplice costatazione: ciò che è veramente meraviglioso di ogni ierofania, non è soltanto la presa di coscienza dell’esistenza di una dimensione divina, ma il fatto stesso che essa accetti di manifestarsi all’uomo. È infatti in quel momento che si fonda il culto, nonostante certo si dia per assunto che la sfera divina preesistesse l’evento. Questo dinamismo di apertura del divino all’uomo assume dunque un’importanza tanto grande da rendere necessaria la sua celebrazione, pertanto la funzione celebrativa viene a sommarsi a quella simbolica e a quella funzionale, prendendo inevitabilmente il sopravvento su entrambe. Fino a quando tutto questo fu percepito non si cessò mai di elaborare soluzioni per la sua monumentalizzazione. E’ opportuno distinguere qui molto brevemente le due tipologie principali di monumentalizzazione di questa soglia che l’arte ci ha trasmesso in epoca cristiana, quella del portale romanico e poi gotico, e quella antichizzante del rinascimento. Nella prima prevalgono evidentemente l’aspetto didascalico e ornamentale: il portale romanico maturo, nelle sue massime espressioni, si ricopre solitamente di rilievi e nella sua stessa conformazione sembra ricercare la maggiore superficie possibile da offrire alla mano dello scultore.
La divisione in registri del programma figurativo si rende funzionale ad una esposizione gerarchica del creato e i soggetti rappresentati sono sovente connessi con l’immagine organizzata della società o con la continuità della rivelazione attraverso la storia, fino a giungere al Giudizio finale nel filone dell’iconografia antica che ha resistito più a lungo nella chiesa d’Oriente. Tali programmi iconografici sembrano avere intuito dunque il ruolo e il senso della soglia d’ingresso alla chiesa: elemento di confine e di mediazione tra il sacro e il profano, elemento di contatto e di apertura all’uomo, e lo rappresentano bene illustrando la presenza o la manifestazione del divino nella storia umana. Mi sembra che i contenuti simbolici dei portali medievali siano infatti affidati soprattutto alle arti plastiche, talora accompagnate da iscrizioni lapidarie, e mi terrei abbastanza lontano da teorie e supposizioni sulla loro simbologia architettonica tanto affascinanti quanto prive sovente di supporto storico documentario, tranne che in casi eccezionali. È opportuno qui notare come l’ornamentazione esterna della chiesa medievale sia concentrata in alcuni punti e non estesa in un programma organico che percorra tutto l’edificio. Tra questi punti focali, quelli mai trascurati dalla decorazione sono proprio la porta e le finestre, i punti cioè di contatto con tra interno ed esterno, ma le porte costituiscono senza dubbio il luogo tipico della decorazione esterna della chiesa medievale. L’accento che gli architetti ed i committenti ponevano nella magnificenza della soglia non si evidenzia soltanto per la ricchezza della decorazione ma anche per le dimensioni che tutto il complesso del portale veniva ad assumere. Certamente un altro tipo importante tramandato dall’architettura medievale e pure ancora vivo fino al Settecento in talune aree culturali è quello del westwerk, che presenta un innalzamento rilevante del corpo di fabbrica in corrispondenza dell’ingresso accompagnato dalla presenza di una o due monumentali torri. In questo caso l’esaltazione dell’ingresso non avviene attraverso un esteso apparato ornamentale ma piuttosto con l’impiego della monumentalità e delle dimensioni colossali, creando un effetto di potenza ed incombenza su chi si appresta a percorrere l’ingresso dell’edificio passando attraverso la base della torre.
Tra i secoli XV e XVI, in sintonia con una lenta ma globale mutazione culturale, l’architettura chiesastica si trasforma e con essa anche l’immagine che la chiesa dona di sé. La facciata segue queste trasformazioni ma trova velocemente delle nuove tipologie di riferimento. Fin dai primi maturi episodi architettonici del Rinascimento vediamo infatti affermarsi due tipi fondamentali: quello del fronte del tempio antico, sebbene inizialmente dissimulato ed emulato solo per parti, e quello dell’arco trionfale. Nessuno dei due tipi era completamente scomparso nell’architettura medievale ma ora certamente riappaiono entrambi con nuova monumentalità. Conviene notare che il portale non assume più da solo tutta la funzione di soglia dell’edificio, ma la condivide con l’intera facciata, da leggersi dunque come un’unica composizione ed un insieme figurativo organico. Anche in questa chiave possono essere letti i richiami del De Re Aedificatoria a sottolineare l’emergenza della chiesa rispetto al suo contesto: l’edificio si distingue per materiali, dimensioni, carattere e posizione rispetto a tutto quello che gli sta intorno, e la facciata lo rappresenta. Il richiamo al fronte del tempio antico non stupisce in quest’epoca segnata da profonda passione per l’antichità, ed inoltre non ne era mai veramente scomparso l’uso; più sorprendente può sembrare in vece il ricorso alla tipologia dell’arco trionfale, del quale gli uomini del Cinquecento conoscevano la diversa funzione nell’antichità. Non è un caso tuttavia che proprio questo motivo si impose a partire dai primi principali progetti rinascimentali, come per esempio a San Francesco a Rimini, ed ebbe poi un successo assai longevo, sebbene non vadano dimenticati alcuni episodi precoci come quello della facciata di Saint Gilles du Gard. Era infatti certamente la tipologia architettonica più carica di rappresentatività che l’antichità avesse trasmesso e quindi la più idonea a figurare all’ingresso nel luogo più rappresentativo della comunità, quale a quel tempo era ormai la chiesa. La sua struttura a tre fornici inoltre offriva un’ideale soluzione agli ingressi delle diverse navate della chiesa. Quasi da subito le due immagini, quella del fronte del tempio e quella dell’arco trionfale si fusero in modo quasi naturale, facendo così confluire le due figure massime della solennità antica e pagana nell’unico obiettivo di rappresentare e monumentalizzare la facciata e l’ingresso del tempio cristiano. Buona parte delle speculazioni cinquecentesche sulla facciata della chiesa vertono sulla dialettica tra i due modelli e la loro integrazione, e dalle soluzioni così offerte trasse numerosi sviluppi l’architettura dei due secoli successivi fino a quando il Neoclassicismo ritornò ai prototipi operando una scelta abbastanza marcata per l’immagine templare.

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