Tomás H. Jerez

jueves, 12 de enero de 2012

VEDERE LA REALTÀ CREATA

Una distinzione molto importante ai fini del nostro discorso, e non coincidente con quella tra arti liberali e arti meccaniche, sottolinea la diversità tra arti utili e arti belle[1]. Esse differiscono perché le une sono rivolte a mezzi pratici (arti utili, appunti), le altre invece sono finalizzate al bello, hanno la bellezza come fine. L’elemento che qualifica ciò che noi oggi chiamiamo arte è un particolare rapporto con il bello. L’arte esprime la bellezza del creato e del Creatore, l’arte riconosce la bellezza e la ri–produce.



Ma cosa è la bellezza? S. Tommaso offre una ben nota definizione: “Pulchrum respicit vim cognoscitivam”, “pulchra dicuntur quae visa placent”, “pulchrum [...] cuius ipsa apprehensio placet”[2]. La bellezza, dunque, intrattiene un particolare rapporto con la vista.  Non è un caso che estetiche fondate su concezioni materialistiche del mondo abbiano tentato di privilegiare il tatto come senso principe[3]; in realtà è la vista il senso maggiormente coinvolto —seppure, ovviamente, non esclusivamente— dalla conoscenza e in particolare dalla conoscenza della bellezza.
Aristotele sottolinea come l’uomo ami le sensazioni, e tanto più il vedere: “Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Segno ne è l’amore per le sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità, e, più di tutte, amano la sensazione della vista. In effetti, non solo ai fini dell’azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose”[4].
Gran parte del nostro vocabolario testimonia questo privilegio della vista[5]: intuizione, visione, lume, ne sono solo alcuni esempi.
L’arte figurativa intrattiene un particolare rapporto con il mondo, innanzitutto perché lo vede[6], a partire dalla visione l’uomo comincia il proprio rapporto con il bello, ed anche con il vero.
Il  peculiare modo di vedere proprio dell’uomo, così come il pensare, individuano in maniera del tutto particolare l’uomo. Non solo egli pensa in  maniera del tutto esclusiva (gli animali non pensano, e Dio non ha bisogno di concetti per pensare), ma egli “vede” anche in maniera del tutto incommensurabile alla visione per esempio degli animali. Mi sembra interessante la sottolineatura condotta da Petrosino: “Questi [il soggetto umano] vede sempre secondo l’ordine della propria esperienza la quale è in definitiva l’unico ambito in cui la luminosità e la visibilità divengono visione e sguardo [...] la visione ha luogo umanamente sempre e solo esistenzialmente”[7].
Il particolare modo con cui l’uomo vede, lo conduce non solo alla bellezza del mondo, ma da qui alla bellezza di Dio. Come S. Tommaso ha sovente ribadito “viste le cose visibili, arriviamo a Dio procedendo da queste”[8].
Il vedere, paradigmatico nella sua immediatezza per ogni conoscenza noetica, di fatto introduce a un percorso dianoetico verso l’Assoluto, in cui è coinvolta la stessa arte. La sottolineatura del valore conoscitivo della visione, infatti, fonda ancor più il valore delle arti visive.
Il vedere dà il giusto calibro alla astrazione e la distingue dall’astrattezza: l’astrazione comincia sempre da un vedere.
L’arte bella è, dunque, arte visiva, e, anche, astratta e concettuale[9]. Il vedere, l’astrazione e il concetto sono infatti necessariamente implicati nel fare poietico umano.
Così “omnium humanorum operum principium primum ratio est” , dunque l’arte sebbene “proprie loquendo, habitus operativus est [...] tamen in aliquo convenit cum habitibus speculativis”[10].
Il piacere che l’arte bella dà —“ad rationem pulchri pertinet, quod in eius adspectu seu cognitione quietatur appetitus”[11]  non è dunque un mero piacere sensibile, una pura sollecitazione dei sensi, esso coinvolge piuttosto tutto l’uomo, il quale è specificatamente razionale: non solo l’animale non produce arte, ma neanche ne gode.
L’artista non dovrebbe mai negare tale struttura complessa dell’arte, pretendendo di comunicare a un puro livello sensibile o viceversa di veicolare una pura vertigine spirituale. L’artista non può —o non dovrebbe— recidere il legame con la realtà creata, né con se stesso.

di Rodolfo Papa



[1] Cfr. J. Maritain, Ars et scolastique, Art Catholique, Parigi 1920, pag. 53. Al proposito, così l’Olgiati: “Le due distinzioni sopra ricordate (tra artes mechanicae e artes liberales, e l’altra tra artes e arte bella) non sono da confondersi tra loro. In altre parole, per i medievali tanto un’arte servile quanto un’arte liberale poteva diventare arte bella, come anche l’una e l’altra poteva non arrivare a questa altezza” Olgiati, S. Tommaso e l’arte, cit., pag. 97.


[2] S. Tommaso, S. Theol., I, q. 5, a. 4, ad 1um; I, q. 5, a. 4, ad 1um; I-II, q. 27, a. 1, ad 3um.


[3] Si veda, quale esempio, il cap. III del  Trattato delle sensazioni di Condillac: “Chiamasi, infatti, buono tutto ciò che piace al gusto e all’olfatto, e bello ciò che piace alla vista, all’udito o al tatto”  E. B. de Condillac, Trattato delle Sensazioni, a cura di P. Salvucci, Laterza, Bari 1970, pag. 203.


[4] Aristotele, Metaph., I, 1, 980a, 1-25 (trad. it. G. Reale, Rusconi, Milano 1984,  pp. 71-72).


[5] Ovviamente ciò è stato sottolineato spesso e con accenti diversi, basti ricordare le riflessioni di Heidegger il quale, come è noto, ritiene che tale prevalenza della vista abbia compromesso il rapporto tra la filosofia occidentale e l’essere.


[6] Prescindo in questo contesto dal sentire e dalla musica, perché, come ho premesso, intendo concentrarmi sulla pittura.


[7] S. Petrosino, Visione e desiderio, Jaca Book, Milano 1992, pag. 7. L’analisi dell’invidia e dello stupore come essenzialmente connessi al vedere umano, messa a tema in questo testo, mi sembra sia una buona strada per confermare la peculiarità del vedere umano: solo l’uomo  invidia “e” si stupisce.


[8] S. Tommaso, I Sent., dist. III, q. 1, art. 3.


[9] La pretesa che solo certa arte sia astratta o concettuale, a mio avviso, si fonda su  un’equivoca considerazione dei termini “astrazione” e “concetto”.


[10] S. Tommaso, S. Theol., I-II, q. 57, a. 3.


[11] Ivi, I-II, q. 58, a. 2,

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