Rispetto alle consuetudini funerarie elaborate dalle civiltà antiche e, specialmente, dall'esperienza ellenistico-romana, la prassi funeraria paleocristiana presenta immediatamente caratteri e tendenze che conducono verso sistemi sepolcrali più uniformi, omogenei ed egualitari. Tali caratteri dipendono proprio da un mutamento di mentalità, ma anche di ritualità, che comportano, ad esempio, l'uso esclusivo dell'inumazione, la quale, come è intuitivo, dà luogo a un primo livellamento delle tipologie funerarie, che abbatte quell'articolazione delle morfologie sepolcrali provocate dalla coesistenza dell'incinerazione e della inumazione e, dunque, dei contenitori dei resti umani, ora ridotti a semplici urne cinerarie, ora a più importanti monumenti che, dall'umile fossa, giungono al solenne mausoleo.
Il livellamento delle tipologie funerarie dipese solo da uno spirito di eguaglianza che, messo in pratica nel vivere quotidiano, va a interessare anche il mondo dei morti, il quale si cala, sin dalle prime manifestazioni sepolcrali, in un contesto neutrale, quasi anonimo, talora asintomatico per quanto attiene la dichiarazione del cristianesimo, nel senso che i tipi epigrafici e decorativi non mostrano segnali evidenti di aderenze alla nuova forma religiosa, spesso simbolica, comunque non declinata in senso cristiano. Già dal ii secolo, i cristiani abbandonarono i sepolcreti misti e concepirono aree proprie, distinte da altri insediamenti funerari, connotate da questo forte principio egualitario, che produceva i cosiddetti coemeteria, come ricordano rispettivamente le testimonianze patristiche occidentali e orientali: da Ippolito per Roma (Philosophumena ix, 12, 14) a Origene per Alessandria (Homeliae in Ieremiam iv, 3, 16). Nello stesso frangente cronologico, intorno al 203, Tertulliano attesta la presenza dei primi insediamenti funerari a Cartagine e, segnatamente, nell'Ad Scapulam (3, 1), dove menziona delle areae sepulturarum nostrarum, la cui proprietà era fortemente osteggiata dalla plebe pagana; la protesta del popolo: areae non sint, areae eorum non fuerumt ci assicura come l'esclusività dei sepolcreti cristiani non rimontasse a epoca troppo più antica.
Oltre a quello dell'esclusività, i primi sistemi funerari cristiani proponevano - come si è anticipato - il carattere dell'egualitarismo e della comunitarietà, ambedue sostenuti dall'irrinunciabile principio della solidarietà, della carità in funzione propriamente funeraria, come ricorda ancora Tertulliano, che fa riferimento all'esistenza di una cassa comune, alimentata dalla generosità dei fratres, che serviva, tra l'altro, alla sepoltura dei bisognosi (Apologeticum 39, 6). Alle parole di Tertulliano fanno eco quelle della Traditio apostolica (40), dove si ricorda come a Roma il vescovo dovesse farsi carico della gestione dei cimiteri, affinché in questi potessero accedere tutti i poveri. Ancora negli anni Sessanta del iv secolo, l'imperatore Giuliano l'Apostata dovrà constatare amaramente come proprio "la sollecitudine per i seppellimenti dei defunti" avesse costituito una delle carte vincenti dell'affermazione del cristianesimo.
I caratteri dell'uguaglianza, della estrema semplicità delle tipologie, dell'uniformità dei complessi, della comunitarietà, della solidarietà si percepiscono specialmente nei primi insediamenti funerari cristiani, come nel cimitero di San Callisto, gestito dalla gerarchia ecclesiastica, già agli esordi del iii secolo. Nello stesso frangente altre catacombe romane, come quelle di Priscilla, Pretestato, Calepodio e Novaziano, presentano - nei loro nuclei genetici - delle aree egualitarie, sfruttate con il sistema essenziale dei loculi alle pareti ma, lasciando Roma, tali situazioni si ripetono nel complesso di Vigna Cassia a Siracusa, nelle catacombe tunisine di Hadrumetum, in quelle di Santa Caterina di Chiusi, in quelle di Bonaria a Cagliari e in quelle di Sant'Agata a Malta.
Salendo al sopraterra, molte aree cimiteriali cristiane sub divo mostrano i caratteri dell'omologazione delle tipologie funerarie, con l'allineamento dei sepolcri a cassa scavati come formae nel suolo, secondo un fronte di sfruttamento ordinato e indifferenziato. Così nella necropoli, scavata in anni recenti nei cortili dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, non lontano dal cimitero ad Martyres, con un sistema funerario sparso ma indifferenziato; così nella necropoli all'aperto cielo di Agrigento, prospiciente la catacomba della Grotta Fragapane, tra i templi di Giunone e di Ercole, all'interno della cinta muraria, nel settore meridionale della città; così nello sterminato cimitero di Santa Salsa a Tipasa; in quello salonitano di Manastirine; in quello sardo di Cornus (Oristano) dove risultano molto evidenti i segni della ritualità funeraria, sotto forma di mense marmoree o musive, di pozzi, letti funebri, negozi, elementi questi che non contribuiscono a differenziare alcuni settori dei cimiteri, proponendo qualche motivo di privilegio per alcuni sepolcri, ma che, anzi, sottolineano l'aspetto comunitario.
Questo clima comunitario viene spesso infranto dal fenomeno delle "inumazioni privilegiate": i primi segni del privilegio riguardano questioni eminentemente concrete, legate, per lo più, al potenziale economico del gruppo a cui appartiene il defunto, che possono comportare, innanzi tutto, privilegi di tipo monumentale, quando, cioè, si abbandonano le semplici fosse e i poveri loculi, optando per tombe più importanti, come gli arcosoli, i cubicoli e i mausolei. Il privilegio può consistere anche nelle decorazioni che, nei primi monumenti, appaiono appena percettibili e spesso combinate con un epitaffio, la cui presenza può anche essere considerata una vera e propria forma di differenziazione, dal momento che molte tombe risultano anepigrafi e aniconiche. È noto come quest'arte, prima sommessa nelle sue manifestazioni, quasi per proporre dei semplici elementi mnemonici, poi più organizzata e programmata, raggiungerà livelli ragguardevoli, se pensiamo alle "pinacoteche" romane dei Santi Pietro e Marcellino e di via Dino Compagni e ai sarcofagi di produzione romana, ispanica, provenzale e ravennate. Un altro importante segnale del "privilegio" è rappresentato dalla ricchezza e dalle caratteristiche del corredo, solitamente povero e, per molto tempo, confuso, negli scavi del passato con la suppellettile - specialmente ceramica o vitrea - pertinente, invece, al refrigerium. L'aspetto più caratteristico dell'associazione del corredo alle tombe paleocristiane sta, forse, nella consuetudine, più evidente nei complessi catacombali, di esporre i materiali, sistemandoli e fissandoli attorno ai loculi, dando luogo a una sorta di esplosione del corredo all'esterno del sepolcro, costituendo un singolare fenomeno di decorazione alternativa e succedanea delle "arti maggiori", ma anche un sintomo evidente di privilegio o, almeno, di distinzione, di caratterizzazione della tomba rispetto alle circostanti sepolture.
La monumentalità, la decorazione, la ricchezza del corredo propongono, comunque, aspetti del privilegio molto generali, rispetto a quello rappresentato dalla postazione assunta dalla tomba nell'ambito del contesto in cui è calata. Un primo caso di privilegio, in questo senso, è costituito dal sistema del gruppo di tombe speciali, siano esse riunite in un recinto, che distingue questa realtà dal resto della necropoli, sia quando si creano spazi particolari nell'ambito dei cimiteri comunitari. Per il primo gruppo possiamo ricordare i celebri esempi africani e, specialmente, quelli di Tipasa e Cherchel, ma anche quelli della necropoli di Alyscamps ad Arles, del cimitero di San Fruttuoso a Tarragona, dei complessi salonitani e della necropoli di Concordia Sagittaria, non lontana da Aquileia. Per l'altro gruppo dobbiamo citare, ancora a Tipasa, il cimitero orientale del vescovo Alessandro che, nel iv secolo, fece costruire per il clero locale un solenne ipogeo circolare. Anche nelle catacombe del suolo italico, sul modello della cripta dei Papi a San Callisto, si creano - come nel cimitero ad Decimum a Grottaferrata - delle aree riservate a gruppi speciali e, segnatamente, alla gerarchia ecclesiastica o agli operatori dei cimiteri (fossores).
Un altro espediente per sottolineare il privilegio di una tomba è quello di isolarla rispetto alle aree comunitarie. Mi riferisco a casi eccezionali, come quello davvero speciale della tomba di Petrus Paparario, l'ebreo convertito sepolto nella basilichetta paleocristiana di Grado, dove il privilegio è vieppiù sottolineato dal fatto che tale monumento è addirittura situato entro la cinta muraria, fornendo, per il v secolo, uno dei primi esempi di sepoltura in urbe. Mi riferisco alla tomba del medico Dioscuro, amico di sant'Agostino, sistemata nell'absidiola della basilica apostolorum fatta edificare a Milano da sant'Ambrogio. E, rimanendo a Milano, vengono in mente le tombe laiche, ma monumentali e destinate, forse, agli imperatori, situate rispettivamente a lato della basilica di San Lorenzo e al centro del recinto del complesso di San Vittore al Corpo: si tratta di due mausolei a pianta ottagonale, che sarà così cara alla cultura tardoantica milanese e al programma costruttivo di sant'Ambrogio, riferiti dalla critica alle tombe, poi non utilizzate, della famiglia di Teodosio e di Valentiniano ii, morto nel 392.
Ci siamo, così, inoltrati nel campo delle sepolture imperiali, delle tombe privilegiate per mole, solennità, ma anche - come si diceva - per collocazione che spesso, si attesta nei pressi delle aree cimiteriali prestigiose a contatto con nobili basiliche e venerati santuari. Il fenomeno è ancor più evidente a Roma, quando consideriamo i due mausolei a pianta centrale annessi ai complessi dei Santi Pietro e Marcellino e di Santa Agnese, il primo costruito per Costantino e poi utilizzato per Elena e l'altro destinato a Costantina.
Questi monumenti ci accompagnano verso il grande tema delle sepolture ad sanctos, che interessa la cultura cristiana sin dai primi momenti, forse già nelle necropoli miste, quando si innesca il desiderio di far riposare i propri cari presso alcune "tombe eccezionali". Lo si avverte, per esempio, nella necropoli vaticana, nell'area attorno alla tomba di Pietro, che sembra proporre una particolare concentrazione di sepolture, ma il fenomeno si svilupperà in maniera più chiara ed evidente nella seconda metà del III secolo, con la definizione delle manifestazioni devozionali: ad esempio nella memoria apostolorum della via Appia si accende quel culto martiriale che, di fatto, creerà i presupposti per quel rapporto di "vicinato" con il santo, che ha attratto l'attenzione di Peter Brown, lo studioso che meglio ha compreso gli intimi rapporti che legano, nei primi secoli, i defunti ordinari, i martiri e i santi.
di Fabrizio Bisconti
L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2010
L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2010
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