L’esposizione che faremo riguarderà le grandi linee dell’evoluzione storica della liturgia e le sue tappe fondamentali. Cominciamo con qualche nozione sui fattori che hanno contribuito alla formazione ed allo sviluppo della liturgia dalle fonti principali della nostra conoscenza dei secoli passati[1].
I fattori dello sviluppo storico
1. Influssi estrinseci
A. Giudaici
La liturgia è nata nell'ambiente giudaico ed è evidente che si ispirasse alle tradizioni giudaiche, specialmente al culto nella sinagoga. È difficile comunque dire con esattezza quali elementi provengano dalla liturgia ebraica, dato che le fonti di conoscenza di questa liturgia sono posteriori di molti secoli rispetto a Cristo. Il Catechismo spiega così questa relazione:
Per gli ebri e per i cristiani la Sacra Scrittura è una parte essenziale delle loro liturgie: per la proclamazione della Parola di Dio, la risposta a questa Parola, la preghiera di lode e di intercessione per i vivi e i morti, il ricorso alla misericordia divina. La liturgia della Parola, nella sua specifica struttura, ha la sua origine nella preghiera ebraica. La preghiera delle Ore e altri testi e formulari liturgici [p.es. benedizioni, Alleluia, Amen], hanno in essa i loro corrispettivi, come pure le stesse formule delle nostre preghiere più degne di venerazione, tra le quali il "Pater". Anche le preghiere eucaristiche si ispirano a modelli della tradizione ebraica». (CCC 1096)
Il Catechismo si riferisce a elementi che in un certo senso sono passati, più o meno direttamente, dal culto ebraico a quello cristiano, ma ci sono altri elementi che provengono dal fatto che abbiamo in comune l'uso dell’Antico Testamento. Così i cristiani qualche volta si ispirarono a quella fonte per sviluppare o amplificare altri riti liturgici. Per esempio per i riti di ordinazione, l'unzione e l'imposizione delle vesti sacre al sommo sacerdote, erano state assunte nelle preghiere dell'ordinazione un senso simbolico e poi il senso simbolico ha introdotto il gesto materiale nel secolo IX. Anche il rito della dedicazione delle chiese si ispira in molti punti ad Es 29,12-18.
B. Culti pagani e la cultura
Il culto Cristiano si è sviluppato nel mondo ellenistico e ha dovuto adattarsi al linguaggio e ai modi di espressione di questo ambiente. All’inizio i cristiani evitarono ogni compromesso col paganesimo perfino nel linguaggio. Man mano che la minaccia del paganesimo diminuiva, si potevano accettare riti in uso in tutte le religioni, acqua e sale benedetto, lumi, incenso, che pure trovano uso nell'Antico Testamento e nel Libro dell'Apocalisse. Anche qualche festa fu posta come reazione a feste pagane e dobbiamo ricordare che una reazione non è un plagio. Così il Natale è stato posto il 25 dicembre per fare concorrenza al Natalis Invicti del culto del sole, che era diventato il centro di resistenza del paganesimo.
2. Influssi intrinseci
A. La crescita naturale della Chiesa
-Crescita dottrinale.
Lungo i secoli, la Chiesa ha dovuto precisare progressivamente il suo patrimonio dogmatico e la sua organizzazione giuridica e questi progressi hanno lasciato le loro traccie nella liturgia, che è soggetta alla stessa legge di crescita. Anche le formule liturgiche hanno seguito lo sviluppo dottrinale e hanno trasformato in preghiere i dogmi di Nicea e Calcedonia. Lo sviluppo interno e giuridico ha contribuito riguardo ad altri elementi: per esempio, l'arrivo della vita monastica è stato molto importante nello sviluppo dell'Ufficio divino, dell'innografia e del canto, e lo stabilirsi dei grandi patriarcati spinse verso una maggiore unificazione liturgica.
-Crescita numerica.
Finalmente, con la fine delle persecuzioni e la crescita numerica dei cristiani, la liturgia della Chiesa dovette evolversi da una situazione di clandestinità, riservato a dei cristiani convinti, a un culto più pubblico e orientato alla formazione cristiana e al culto di una gran folla, della quale non tutta era pienamente convinta né profondamente catechizzata.
B. Gli influssi da Chiesa a Chiesa
I vari riti non si sono sviluppati indipendentemente gli uni dagli altri, ma hanno subito molteplici influssi reciproci. La festa di Natale è nata a Roma ed è passata a tutte le chiese, mentre la festa del 2 febbraio è certo di origine orientale ed è venuta a Roma successivamente. Come vedremo, anche l'influsso di Roma è stata preponderante in Occidente, dove ha soppiantato gli antichi libri gallicani; ma a sua volta, Roma ha subito l'influsso dei libri liturgici redatti in Germania. Lo scambio continua ancor oggi e molti preghiere dell’attuale Messale romano sono di origine non romana, per esempio la Preghiera eucaristica IV che è ispirata allo stile dell’anafora orientale.
Le fonti della conoscenza della storia liturgica
1. Documenti antichi:
Le fonti principali per lo studio del periodo antico sono: la Didachè (o dottrina dei dodici apostoli, 80-120ca.), un’insieme di documenti raccolti in Siria. Contiene, riguardo alla liturgia, un’istruzione su battesimo ed eucaristia più alcune disposizioni disciplinari. La I Apologia di Giustino (+165), ove si descrive il rito del battesimo e dell’eucaristia. È il primo documento chiaro che dà gli elementi fondamentali della struttura di questa celebrazione. La Traditio Apostolica di S. Ippolito di Roma (215) mostra una liturgia ormai elaborata e propone un modello di Preghiera eucaristica. Di origine romana, sebbene scritta in greco, ha avuto molto influsso in Oriente e specialmente in Africa, dove esistono traduzioni copte, etiopiche ed arabe. Esiste una traduzione latina del quinto secolo, ma non ha avuto seguito sino al Messale attuale, dove la troviamo come base della Preghiera eucaristica II. Omelie pasquali, es. Melitone di Sardi (160-170), per elementi come il battesimo nella veglia pasquale e l'Exultet. Altri Padri, che danno diversi elementi qua e là.
2. Documenti del Medioevo:
Tra i manoscritti liturgici medievali più comuni ci sono i Sacramentaria, che sono libri contenenti tutti i testi recitati dal celebrante per l’eucaristia e i sacramenti, e inoltre le diverse benedizioni e consacrazioni. I Capitularia, Epistularia, Evangelaria, che contengono brani della Scrittura. Gli Antiphonalia, con le antifone da cantare da parte del coro, e gli Ordines, che non erano libri da usare nella celebrazione ma descrizioni dettagliate di come si sviluppavano i riti e le cerimonie. Fra questi, i più importanti sono i Sacramentaria e gli Ordines.
Per la nostra conoscenza della liturgia Romana abbiamo tre sacramentari fondamentali:
Il Veronese (o Leoniano). Il nome di sacramentario è forse improprio, dato che più di un libro ad uso del celebrante si tratta di una raccolta di diverse fonti con molti testi (30 Messe solo per i Santi Pietro e Paolo). La maggior parte provengono dalla liturgia pontificale del tempo dei papi Leone Magno (440-461), Gelasio (492-496) e Vigilio(537-555). Non è completo in quanto mancano la quaresima, la Pasqua e il Canone.
Il Gelasiano. È il primo vero sacramentario organizzato. L'attribuzione a Papa Gelasio è impropria, dato che l’unico esemplare esistente fu trascritto nel monastero di Chelles, vicino a Parigi, verso l’anno 750, ed è oggi conservato nella biblioteca vaticana. Contiene le messe per quasi tutto l'anno liturgico e inoltre i riti per l’ordinazione dei presbiteri e dei diaconi, il rito della penitenza e del battesimo, ed altri riti. È una compilazione ibrida, in quanto il suo fondamento originale sembra essere romano, del periodo anteriore a San Gregorio Magno (590-604), ma include alcuni elementi che sono certamente di origine Franca. A differenza del Veronese, questo non è un libro della liturgia papale ma ad uso della liturgia parrocchiale, che non prevedeva i riti del Vescovo. È un grande tesoro di preghiere e di formule.
Il Gregoriano. Risale almeno da una fonte derivante da Gregorio Magno. Più di un sacramentario, è una famiglia di sacramentari per il gran numero di esemplari esistente, ognuno con piccole varianti. È arrivato a noi nella forma che aveva alla fine del sec. VIII, quando il Papa Adriano I (771-795) lo inviò a Carlo Magno su richiesta di quest’ultimo. È molto ordinato, anche se manca qualche parte; ha forme più semplici e meno prefazi.
Gli Ordines. Questi documenti rappresentano un mezzo importantissimo per la conoscenza della formazione, l’evoluzione e l’adattamento della liturgia ai tempi e ai luoghi. Dal 1931 al 1961 lo studioso M. Andreiu ha pubblicato l’edizione critica dei 50 ordines antichi conosciuti. Ci sono di ogni tipo, dalla messa papale del secolo VIII alla coronazione dell'Imperatore, ai funerali. Sono di due tipi: ordines romani puri e ordines che sono ibridi franco-romani.
Con questi fattori in mente, vedremo adesso le grandi tappe della storia della liturgia.
Le tappe della storia liturgica
1. Le origini (Sec I-IV)
Questo periodo può essere denominato come il periodo dell'improvvisazione liturgica. La preghiera era improvvisata; S. Giustino spiega nella sua prima Apologia che il celebrante «rende grazie come può» e nella Tradizione apostolica, S. Ippolito di Roma (anno 220 circa) dà dei testi di preghiere per l'Eucaristia (Preghiera eucaristica II) e le ordinazioni, ma notando che sono modelli e non formule imposte.
È necessario, però, qualificare quest’affermazione perché, benché non vi fosse altro libro liturgico che la Bibbia , non si trattava d’improvvisazione in senso assoluto. Sappiamo per esempio che le preghiere giudaiche, sebbene in parte improvvisate, seguivano schemi e modelli già tradizionali e avevano punti di riferimento precisi, che davano alla preghiera unità e flessibilità allo stesso tempo. Qualcosa di simile succede con la preghiera cristiana e per questo non si può parlare di una liturgia degli Apostoli che poi si sarebbe diversificata lungo il tempo, ma di un nucleo di forme, di tradizioni orali circa le cose essenziali, che vengono dal tempo degli apostoli. Così non sappiamo, per esempio, come celebravano gli apostoli l’eucaristia, ma si può essere sicuri circa la sequenza dei quattro momenti fondamentali del rito che esistono ancora: l’offertorio, in cui il pane e il vino sono collocati insieme sull’altare; la preghiera, dove colui che presiede rende grazie a Dio; la frazione, in cui il pane si spezza; la Comunione , dove si distribuisce il pane e il vino consacrati. Ancor oggi ci sono tracce di questa unità nell’improvvisazione nel rito della Chiesa: per esempio, nei racconti dell'istituzione dell'Eucaristia non c'è uniformità neanche nel Nuovo Testamento, e per il battesimo i riti antichi e di oggi vanno dalla formula passiva (N. è battezzato) all’attiva (N. io ti battezzo). Questa libertà diede origine ad una grande diversità negli usi disciplinari e liturgici; per i Padri, la diversità serve a sottolineare meglio la forza dell'unanimità della Chiesa nel custodire il deposito della tradizione.
L’animazione di una comunità più numerosa era più difficile e come conseguenza la possibilità dell’improvvisazione diventa più precaria. Per questo motivo si vede la comparsa di composizioni scritte come quella di Ippolito. Queste composizioni scritte ebbero molto successo e troviamo che sono riprese e rimaneggiate in diverse raccolte del IV e V secolo. Si potrebbe dire che questo è il risultato della tendenza naturale dell'uomo ad esaurire la propia capacità di improvvisazione e così le chiese locali, man mano, hanno adoperato i testi più ricchi e sicuri.
2. Periodo dello sviluppo locale (Sec IV-VI)
Le caratteristiche più tipiche di questo periodo sono la creazione dei formulari e dei riti. Con l'editto di Milano (313) il culto ormai può essere celebrato liberamente. C’è un fiorire e sviluppo dei riti esterni, con il quale la Chiesa si sforzò di adottare i riti semplici dell’epoca anteriore ai bisogni di un culto pubblico e di una gran folla, senza perdere gli elementi essenziali.
Uno delle prime sfide per la Chiesa fu la costruzione di grandi edifici e basiliche per accogliere il gran numero di nuovi cristiani. Ma questa non era un’esigenza meramente funzionale. I cristiani vedevano nell’edificio di culto una maniera per rendere gloria a Dio. Infatti, già prima della fine delle persecuzioni, i cristiani avevano cominciato a costruire chiese e ad avere riti elaborati. Vediamo per esempio l’inventario che un ufficiale romano fece il 19 maggio dell’anno 303, durante la persecuzione di Diocleziano, quando i soldati confiscarono i contenuti della Chiesa di Cirto, nell’Africa romana (l’odierna Algeria): 2 calici d’oro; 6 calici d’argento; 6 piatti d’argento; una ciotola d’argento; 7 lampade d’argento; 2 fiaccole; 7 piccoli candelieri di bronzo insieme alle loro lampade; 11 lampade di bronzo con le loro catene; 82 tuniche da donna; 38 veli; 16 tuniche da uomo; 13 paia di pantofole da uomo; 18 paia di zoccoli.
Alla luce di questo si capisce la velocità con la quale la chiesa adattò la sua liturgia alle nuove circostanze, creando, oltre alle costruzioni, nuovi riti e feste. Alcuni dei simboli di autorità in uso nell’impero, come l’essere preceduto da fiaccole e incenso, passano a formar parte della liturgia solenne. La creazione di nuovi riti fu facilitata perchè i pellegrinaggi ai luoghi Santi erano organizzati regolarmente in Terra Santa e in altri luoghi come la tomba di Pietro a Roma. Un influsso speciale aveva San Cirillo di Gerusalemme (Vescovo, 348-387) essendo lui molto fecondo nello sviluppo di nuovi riti come le processioni. I pellegrinaggi a Gerusalemme, Roma e in altri luoghi, portavano i nuovi riti e composizioni ai paesi di provenienza dei pellegrini.
Questo fu possibile perché i vescovi godevano ancora di molta libertà circa l’introduzione di nuovi testi, e c’era ancora una grande diversità negli usi e nella disciplina liturgica. Sant’Ambrogio di Milano dà testimonianza di questa libertà quando dice nel suo De Sacramentis che sa molto bene che a Roma non c’è l’uso di fare lavare i piedi ai neofiti all’uscire dal fonte, ma aggiunge che ciò che per buoni motivi non fanno a Roma, si può fare per motivi ugualmente validi a Milano. Per i Padri, la diversità dei formulari e dei costumi non era una fonte di divisione, ma sottolineava ancor meglio la forza dell’ unanimità della Chiesa nel custodire il deposito della Tradizione. Ma la libertà non era assoluta. Lo stesso sant’Agostino dovette rinunciare, a causa della protesta popolare, a introdurre il costume di leggere la lettura, a turno, di tutti e quattro i vangeli della passione, invece della sola lettura di San Matteo e lui stesso racconta, in una lettera a San Girolamo, come il vescovo di Osca fosse frustrato «dopo grande pericolo» nell’intento di sostituire l’antica versione latina della Bibbia per la nuova e migliorata versione della Vulgata, tradotta dallo stesso Girolamo.
In quanto alle formule delle preghiere, l'uso delle composizioni scritte è destinato a diventare generale, in parte per motivi di praticità, per favorire la formazione dei nuovi cristiani, ma anche per motivi, di ortodossia e di autentica comunione col vescovo. Durante questo periodo, più o meno dall’anno 350 fino all’anno 650, sono stati creati la maggior parte dei testi liturgici ancora in uso. Anche sotto questo profilo la libertà dei vescovi davanti ai testi scritti non era senza pericolo e alla fine del IV secolo S. Agostino si lamenta che alcuni Vescovi usino delle preghiere composte da autori incompetenti o anche da eretici. Si sente quindi la necessità di una disciplina più stretta, e così certi concili locali, soprattutto africani, come quello di Cartagine nel 397, vietano l'uso di formule che non siano state approvate da un sinodo. A partire da quest'epoca, l'intervento dei Concili locali e l'influenza delle grandi Chiese di fondazione apostolica come Roma, Antiochia e Alessandria, creeranno quei tipi liturgici differenti che esamineremo prossimamente. Così ci sarà una certa unità, ma limitata a determinate regioni.
Durante la celebrazione, i testi scritti e la Sacra Scrittura sono distribuiti in genere fra i libri che già abbiamo visto (Sacramentaria, Capitularia, Epistularia, Evangelaria, Antiphonalia, Ordines etc), secondo le persone o dei gruppi che hanno qualche parte da svolgere.
Il numero maggiore degli assistenti alle celebrazioni e l’aumento dello splendore del rito, porta inevitabilmente a una certa distanza del popolo dall’azione sacra. Ma molti vescovi coltivarono nuovi modi di far partecipare i fedeli, tramite il canto corale dei salmi e delle risposte. S.Girolamo ricordava che l' “amen” rintronava come un tuono celeste, e S. Ambrogio diceva che la preghiera di tutto il popolo risuona come il fragore delle onde. Comunque non mancano segni negativi, e alcuni padri, come San Giovanni Crisostomo, cominciano a lamentare che molti di quelli che assistono alle celebrazioni non ricevono la comunione.
In quanto alla liturgia Romana, sebbene non abbiamo molti dati certi dei secoli III-IV, si può affermare che in questo periodo si sviluppa la liturgia romana, considerata più pura. Già verso il 390 S. Ambrogio cita dei frammenti di un canone della messa che è antenato di quello di Roma. A questa liturgia hanno contributo Papa Damaso (366-384) con il passo definitivo dal Greco al latino, il Papa S. Leone Magno (440-461) e i suoi successori Gelasio I e Vigilio, che si sono impegnati nella comprensione del significato teologico della celebrazione dei misteri e delle feste. Gregorio Magno (590-604), inoltre, ha fissato le grandi linee strutturali della liturgia romana, che restano valide ancora oggi. La sua preoccupazione pastorale lo indusse a semplificare la liturgia: ridusse la letture, le preghiere e i prefazi, soppresse la prece litanica, introdusse il Padre Nostro dopo il Canone e strutturò i riti prima della comunione.
Attraverso l'opera di questi papi, la liturgia acquista i tratti del cosiddetto "genio romano", le cui caratteristiche sono:
Nella forma rituale: sobria, semplice, non verbosa, chiara, lineare, che non indulge al sentimento né all'esagerato simbolismo.
Nei testi delle preghiere: uno stile robusto, giuridico che si presta di esprimere con esattezza i concetti teologici. Vede come ancor oggi sono più breve e sintetici le preghiere romane originale che non quelle di recenti composizioni.
Sembra pure che si possono affermare che la liturgia Ambrosiano di Milano e anche la spagnola detta oggi mozarabe avendo potuto svilupparsi durante l'occupazione araba o invasioni barbariche fossero già costituita nel VII secolo. E vero pure per i riti orientali dove i riti di S. Basilio, Giovanni Crisostomo etc. sono già fissati nei dettagli a VII secolo come risulta dei antichi manoscritti.
3. Epoca di compilazione sec. VII-XII
Durante questo periodo l'attività creativa non cessò ma rallentò e si manifestò soprattutto in preghiere private per i fedeli e i celebrante o nella produzione di sequenze, uffici di devozione, ecc. Invece di creare nuove formule, si preferisce rimaneggiare e compilare le antiche.
Continuava la tendenza verso l’unificazione della liturgia intorno alle grandi Chiese patriarcali e molti delle Chiese del occidente adottarono la liturgia romana, che pure aveva il vantaggio di essere più semplice che le complesse riti delle altri liturgie latini. Così quando Carlo Magno decise di imporre il rito romano in tutto il suo regno, non ha fatto altro che completare un processo già avanzato da due secoli. Per portare avanti il suo progetto Carlo Magno nell’anno 781, chiese al Papa Adriano di inviare un’esemplare autentico della liturgia romana e dopo aver ripetuto la richiesta finalmente arrivò un libro fra gli anni 785-791. Ma il libro non soddisfece perché, oltre che essere una copia abbastanza malfatta del sacramentario gregoriana, stava incompleto, mancava tutte i testi per le domeniche ordinari, le messe votivi, e non diceva niente sui funerali e matrimoni. Finalmente riproduceva la liturgia papale e quindi non era adatto alle chiese parrocchiali.
Comunque Carlo Magno decise di far uso del volume ma risultava necessario adattarlo ai bisogni del impero. Queste compito fu probabilmente realizzato da S. Benedetto di Aniane (_821),[2] che primo revisò con cura il testo del Papa a base di altri copie del sacramentario Gregoriano che già si trovavano in territorio franco e aggiunse i testi che mancavano. Ma decise di andare oltre. San Benedetto conosceva lo spirito religioso dei franchi e si rendeva conto che per loro, abituati alle cerimonie elaborati e drammatici della liturgia gallicana, la liturgia romana sarebbe apparso troppo ristretto. Per questo Benedetto aggiunse un supplemento, della stessa lunghezza del libro originale, con preghiere e rubrici per le cerimonie di devozione presi dalla tradizione gallicana. Fra le due parti scriveva un prefazio dove spiegava che la prima parte, opera di San Gregorio Magno, era obbligatorio mentre la seconda era facoltativa.
Fra le usanze che per questa via furono introdotti alla liturgia romana ci sono fra altri: i segni di croce sulla fronte e sul petto alla lettura del vangelo; il canone detto sottovoce, la maggior parte delle genuflessioni e inchini; e molti preghiere personali o apologie del sacerdote.
Il libro liturgico ibrido franco-romano ha avuto molto successo e fu largamente copiato, e per ordine di Carlo Magno utilizzato in tutte le chiese del impero. Due secoli dopo, nel sec X, il libro franco-romano fece ritorno a Roma sopratutto ad opera di Ottone I (961-973). Roma in quel momento si trovava in uno stato di decadenza estrema e non aveva ne libri ne copisti. Così addotta i libri Franco-Romani che diventa in questa maniera il nucleo della liturgia romana fino al Concilio Vaticano II e incluso dopo.
Al fine di questo periodo attorno all'anno mille inizia il processo che porta alla fusione dei varie libri liturgici separati in compilazioni che contengono tutto il necessario per celebrare i rito. Così sono formati il Messale per la messa, il breviario per il ufficio divino, e il pontificale per le ordinazione e i riti riservati al vescovo.
4. Epoca tardo medioevo Secoli XIII-XIV.
Questo periodo si caratterizza per la fissazione delle liturgie A partire del secolo XIII le liturgie abbiano preso la forma che hanno conservato fino al Concilio e sotto molti aspetti fino ad oggi. E certo che per esempio nel rito siro-occidentale si sono composte delle anafore dopo questa data ma questa non impedisce chela struttura della liturgia sia fissata, l’Anno liturgico, rituale dei sacramenti, sistema delle letture, canto liturgico etc., restano fondamentalmente stabiliti.
In Questo periodo ogni Chiesa ed anche i grandi ordini religiosi compongono degli "Ordinari" che descrivano minutamente lo svolgimento degli uffici i riti, di tutto l'anno. Si cominciano di pubblicare i Pontificale per Esempio quello di Innocenzo III (1198-1216) e Guglielmo Durando vescovo di Mende (1294) che si diffondono largamente. Pure i cerimonieri pontifici mettono per iscritto nei loro diari il rito della cappella papale che poi saranno codificati e diventeranno il Ceremoniale episcoporum (per esempio il diario di Burckard che poi sarà la fonte per il rito della messa tridentina). Molta importanza hanno avuto gli ordini mendicanti per la fissazione e la diffusione del messale, del breviario e del rituale romano nella loro forma moderna dato che i frati non erano legati ad un monastero particolare ma viaggiarono per predicare è avevano così bisogno di una certa uniformità nei riti dei diversi conventi e anche di avere dei libri facilmente portatili. .
Da parte del clero e dei religiosi del tardo medioevo si nota che danno sempre più importanza materiale agli uffici liturgici che si allungano e spesso si complicano e si svolgono con grande fasto e splendore ma qualche volta con dei testi pochi adeguati e più conforme alla pietà sentimentale e affettiva del epoca che alla tradizione liturgica romana. Questo fenomeno si da soprattutto nella composizione di nuovi testi per gli innumerabili feste di santi, in qualche inno del ufficio e in molti sequenze e troppi. Secondo dom Gueranger la liturgia, en vece di essere la regola di fede per i fedeli «si converte in uno strumento al servizio dei passioni popolari». L’espansione principale era quella delle sequenze e dei tropi. Quasi tutti i messali del XV secolo contengono almeno cento sequenze alcune delle quali festeggiavano leggende come per esempio il canto in prosa della chiesa di Taranto che celebrava la reliquia di una lacrima di Gesù. Ma erano i tropi o i testi aggiuntivi che più contribuivano alla decadenza delle celebrazioni. Quasi tutti i testi cominciavano ad avere le parti fisse e mobili della Messa, il Padre Nostro e incluso la benedizione finale. L’esempio più famoso di un ufficio completamente tropato è quello di Pietro di Corbeil, conosciuto impropriamente come l’ufficio dei pazzi o dell’asino. La durata di quest’ufficio occupava quasi l’intera giornata. Per esempio citiamo una parte della Gloria in excelsis.
Gloria in excelsis Deo, cuius reboat in omni gloria mundo.
Et in terra pax, Pax perennis,
Hominibus bonae voluntatis, Qui Deum timent in veritate.
Laudamus te, Te decet laus
Benedicimus te, De die in diem. Etc.
Da tutte queste celebrazioni i fedeli erano separati, qualche volta pure fisicamente, dal presbiterio e dal coro da un pannello di legno o di pietra. Questo fatto contribuisce ad una fioritura di devozioni personali e comunitarie di tipo più affettivo e soggettivo, specialmente centrate nei misteri dell'umanità di Cristo. Comincia anche il culto alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e il desiderio da parte della gente di vedere l'ostia consacrata. Questo desiderio, alimentato dalla festa del Corpus Domini dall’anno 1264 porta alla pratica dell’elevazione dell'ostia dopo la consacrazione, all’esposizione e alle processioni eucaristiche. Ma, dato che la messa era vista da molti come un grande e tremendo mistero e non si riusciva ad aumentare la frequenza della partecipazione alla comunione, la Chiesa dovette imporre l'obbligo riceverla almeno una volta all'anno.
Allo stesso tempo si diffuse molto il fenomeno delle messe private che già esisteva prima dell’anno mille nei monasteri. La ragione della diffusione fu in parte quella della necessità di molti sacerdoti di celebrare, ma anche per i bisogni devozionali dei fedeli. Diventò poi la pratica abituale il cui rituale, nel quale il sacerdote faceva quasi tutto da sé, influenzò gli altri rituali. È in virtù di quest’assenza di partecipazione della gente che molti considerarono questo, come un periodo di decadenza liturgica. Questa è la situazione che si trova all'epoca della Riforma iniziata dal Concilio di Trento.
5. Epoca di stabilità sec. XV-XIX.
Il Concilio di Trento (da 1545) era fortemente condizionato dalla riforma protestante ed era più urgente ristabilire la verità nelle menti e restaurare la disciplina, piuttosto che rimediare agli abusi liturgici, così anche se il Concilio ne riconobbe il bisogno sul piano teorico e pastorale, tuttavia toccò poco il tema della riforma liturgica che pure fu richiesta da molti sinodi locali e ne affidava il compito al Papa. Ma l'opera del Concilio ha messo la base di una riforma più generale quando ha definito il valore sacrificale della Messa, ha difeso la legittimità dei riti, e ha messo in evidenza le due mense: dell'eucaristia e della parola di Dio. Il suo decreto disciplinare sulla celebrazione della messa lascia intravedere la gravità degli abusi che si erano introdotti.
Il Papa Pio V. e la commissione da lui nominata sono stati fedeli alle intenzioni del Concilio che non era di comporre dei libri liturgici nuovi, ma di ricondurre la preghiera della Chiesa alla tradizione dei santi padri e di stabilire l’unità nella celebrazione dei riti. Così si lasciò intatto ciò che era tradizionale come l'ordo della messa e dei salmi e i formulari dei quali i manoscritti liturgici della biblioteca Vaticana attestavano l'antichità. Come risultato si eliminarono elementi sopraggiunti all’ufficio e al messale, si semplificò il calendario riducendo i giorni festivi a 182, e si fece un primo sforzo per restaurare la celebrazione della domenica sottolineandone la precedenza.
L'uniformità nella celebrazione impose la codificazione di norme della stessa celebrazione. Perciò si stamparono per la prima volta all’inizio dei due libri le Rubriche del breviario e della messa, insieme al Rito da utilizzarsi nella celebrazione. Con le bolle Quod a nobis e Quo primum tempore il Papa Pio V rendeva obbligatoria l'adozione del breviario e del messale del Concilio di Trento in tutte le Chiese che non potevano avvalersi di una tradizione liturgica particolare di almeno due secoli. Infatti molte chiese potevano avvalersi di questo diritto, ma la maggior parte, tranne poche eccezioni come il rito di Lione in Francia e di Braga in Portogallo, hanno preferito conformarsi con Roma.
Il messale e il breviario furono accolti con grande successo e questo incoraggiò i Papi ad estendere l'opera intrapresa. Così nel 1587 Sisto V. (l'ultimo Papa con questo nome) fondò la congregazione dei riti alla quale affidò il compito di correggere i libri liturgici. Il risultato del lavoro fu pubblicato da Clemente VIII con il Pontificale Romanum nel 1595 e il Caeremoniale episcoporum nel 1600 e il Rituale romanum da Paolo V nel 1614.
Seguirono poi praticamente tre secoli di stabilità liturgica. Non ci sono novità se non nell'aumento delle feste dei santi che nell’anno 1960 avevano aggiunto circa 140 feste al calendario di S. Pio V. In gran parte questo si spiega perché ci furono molti santi, e meno male, ma una delle cause principali fu la sostituzione dell'ufficio feriale con uno festivo perché quest’ultimi erano più brevi, fino ad arrivare nel 1883, all’autorizzazione di celebrare una Messa e un ufficio votivo ogni giorno della settimana con poche eccezioni.
Ma stabilità nei testi non implica necessariamente stabilità nella liturgia. Esiste anche una grande quantità di giurisprudenza liturgica, con decreti e risposte dalla congregazione e commenti privati alle rubriche. Si trovano pure grandi cambiamenti nella sensibilità spirituale del clero e del popolo cristiano e il loro modo di vedere la liturgia, che è riflesso nei cambiamenti di stile celebrativo e nelle produzioni musicali e architettoniche delle diverse epoche posteriori. Per esempio dopo il Concilio di Trento si sviluppa un nuovo modello di chiesa dove sono eliminate le divisioni interne permettendo al popolo di vedere l’altare con maggiore facilità. L’altare maggiore collocato in centro e unito al tabernacolo diventa il punto focale della Chiesa. Questo modello di Chiesa prevalse per secoli anche se il gusto cambiò da barocco a neoclassico e a neogotico.
Lo splendore e la bellezza della liturgia erano di grande aiuto ai fedeli nel contemplare la bellezza di Dio ed era un modo vero di pregare, sebbene la sensibilità moderna, trova forse difficoltà nell’apprezzare il suo valore spirituale. Era difficile anche per i contemporanei perché molti, forse la maggior parte, dei nuovi movimenti spirituali nati durante questo periodo, marciarono paralleli e al margine della liturgia, centrati come erano nella meditazione e nella devozione personale. Malgrado questo diversi fra questi movimenti spirituali incoraggiavano la comunione frequente ed è probabile che la ricezione più usuale della comunione preparava da lontano le riforme posteriori.
Dopo il Concilio di Trento non cessarono le voci per una riforma più globale, specialmente alla luce delle scoperte storiche. Papa Benedetto XIV (1740-1758) progettò una riforma del calendario e del breviario che non vide mai la luce. Purtroppo gli intenti più clamorosi di riforma erano coinvolti in condanne dottrinali come il sinodo di Pistoia, macchiato di essere filo giansenista, o furono fatti senza il consenso della Santa Sede come i riti neo-gallicani che pullularono in modo abbastanza anarchico nel Francia del XVIII secolo. Di conseguenza il tema della riforma liturgica è rimasto lettera morta finché gli stessi Papi hanno incoraggiato il movimento nel XX secolo.
Le riforme del secolo XX
1. Prima del Vaticano II
La riforma liturgica recente iniziò con S. Pio X nel 1903 e continua fino ad oggi. Abbiamo già visto la promozione della comunione frequente e dei bambini e le norme sul canto e sulla musica sacra promulgate da lui e confermate da Pio XII. Pio X ha fatto anche una prima riforma del calendario per ridurre il numero delle feste e ristabilire la domenica e le ferie di quaresima (1913) e il breviario con un nuovo ordine di salmi nel 1911 (prima dell'ultima riforma il salterio fu fatto ogni settimana).
Pio XII ha voluto facilitare l'acceso alla parola di Dio autorizzando lezionari bilingue e poi rituali sacramentali bilingue, riformando la settimana santa e la semplificazione delle rubriche nel 1955. Alcune delle iniziative di Pio XII furono promulgate da Giovanni XXIII come il nuovo codice delle rubriche (1960), la riforma del Pontificale Romano (1961) e il restauro del catecumenato per gli adulti (1962).
2. La Riforma del Concilio Vaticano II
Il Primo documento approvato dal Concilio, 4 Dicembre 1963, è la Sacrosanctum Concilium ed è anche la prima volta che la liturgia viene trattata in un Concilio in un modo così ampio e completo. Si compone di 130 Articoli distribuiti in un proemio e 7 capitoli. Natura della liturgia e principi generali; eucaristia, sacramenti, ufficio divino, anno liturgico, musica sacra, arte e suppellettile; ed un appendice sull'ipotesi di creare un calendario fisso universale.
I Criteri del Concilio sulla riforma liturgica.
Il Concilio per facilitare l'accostamento delle comunità cristiane alla liturgia ha stabilito che si facesse un accurata riforma generale della liturgia, ne indica perciò la finalità, ne da la giustificazione, ed indica i criteri generali e quelli particolari e specifici per le singole parti.
Finalità:
Affinché il popolo cristiano ottenga più sicuramente nella sacra Liturgia abbondanza di grazie, la pia Madre Chiesa desidera ardentemente curare la riforma generale della medesima Liturgia»
Il motivo principale della riforma è facilitare la partecipazione dei fedeli, partecipazione che il Concilio vuole che sia «cosciente, attiva e fruttuosa» (SC 11) e «celebrazione piena attiva e comunitaria» (SC 21). Così per il Concilio le celebrazioni non sono da considerarsi proprietà del clero
Giustificazione.
No. 21 La liturgia è composta di una parte immutabile in quanto istituzione divina, e di parti soggette a mutazione, che nel corso dei secoli possono, anzi debbono essere mutate, se per caso si fosse introdotto in esse qualcosa di meno conforme all'intima natura della liturgia stessa, o che si sono rese inadatte e antiquate.
I criteri generali:
Il Concilio in primo luogo da un criterio orientativo generale e dopo specifica diverse sfumature.
In questa riforma i testi e i riti devono essere ordinati in modo da esprimere più chiaramente le sante realtà che significano e il popolo cristiano, per quanto è possibile, possa facilmente capirle e partecipare con una celebrazione piena, attiva e comunitaria. (SC 21).
Il criterio della comprensione con lo scopo di facilitare la partecipazione determina gli altri criteri che sono:
-Nobile semplicità (SC 21, 34 OGMR 60, 279, 287, 312).
-Chiarezza e brevità (SC 21, 34, 59, 62, 66-77).
-Comprensibilità (SC 21, 34).
-Dimensione comunitaria (SC 26-27, 31).
-Dimensione biblica (SC 24, 35, 51, 92).
-Unità/varietà ( SC 37-40 VQA 16).
1-Nobile semplicità (21 e 34)
La semplicità si oppone alle complicazioni cerimoniali, alle ripetizioni non necessarie e richiama all'essenzialità del genio romano. Ma semplicità non è sinonimo di trascuratezza, approssimazione e confusione, né cattivo gusto. Ci sono una dignità e una nobiltà che bandiscono la banalità. Tutto deve essere degno della santità di Dio, e del rispetto dovuto a Lui. La nobile semplicità va riferita: ai riti, al comportamento delle persone specialmente al celebrante principale, ai luoghi di culto, ai libri e alle suppellettili in genere. La bellezza è parte della liturgia ma va insieme alla semplicità.
2-Chiarezza e brevità (21 e 34)
SC 21 chiede che i riti siano ordinati in modo tale che «le realtà che significano siano espresse più chiaramente» specialmente per i sacramenti. È importante che i fedeli comprendano facilmente i segni sacramentali. Alla chiarezza va unita la brevità e l'evitare inutili ripetizioni. Una celebrazione dev'essere breve, ma quel tanto che le consenta di essere chiara. Se è troppo breve non vi è tempo per comprenderla
3-Comprensibilità (21 e 34)
Un rito di cui si ignori completamenti il senso e il simbolismo potrà essere apprezzato per certi aspetti esteriori e formali, ma non riuscirà a trasmettere il suo significato più intimo e profondo. Conoscere è essenziale al celebrare. Per comprendere occorre la catechesi, perché la verità è che il rito per semplice e chiaro che sia, anche dopo la traduzione nella lingua parlata, non è mai spiegabile per se stesso.
4-Dimensione comunitaria (26-27)
Le azioni liturgiche appartengono a tutto il corpo della Chiesa e lo manifestano, perciò la loro vera e fondamentale struttura è comunitaria. Questo rimane vero anche se la celebrazione è individuale, ma dal punto di vista del segno la celebrazione è tanto più vera e completa quanto più si realizza nella presenza della comunità. Questo concetto entra nella strutturazione dei libri liturgici che a differenza dei libri tridentini, mette al primo posto la celebrazione comunitaria.
5-Dimensione biblica (35 e 51)
Il Concilio afferma che la Sacra Scrittura ha una importanza straordinaria fondamentale e indispensabile nella celebrazione della liturgia. Così ne viene il principio di aprire «con maggiore ampiezza i tesori della Scrittura nella celebrazione liturgica.»
6-Unità/varietà (37-40)
(Si vedi anche la lettera Apostolica di 1989 Vigesimus quintus annus n.16, e Istruzione sulla liturgia romana e l’inculturazione Varietates legitimae 28). Questo principio è indicato dalla SC con la parole sostanziale unità ma non rigida uniformità. La sostanziale unità (37). L’unità della Chiesa non esclude la varietà di consuetudini, usi ed espressioni. Questo pluralismo esiste nella diversità dei riti liturgici e ora è ammesso anche nell'ambito del rito romano, a motivo della sua estensione universale. Per chiarire ciò che voleva dire legittime varietà nell'unità sostanziale, si aggiunse al N. 39 "entro i limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri liturgici..." e generalmente si ritiene che il punto di riferimento necessario siano essi per giudicare l’unità sostanziale. L’unità sostanziale garantita dai libri liturgici si riferisce soprattutto alla Struttura portante delle celebrazioni, al genio Romano (sobrietà etc.), ai principi, ai criteri del Concilio che hanno trovato attuazione nei libri liturgici tipici, al patrimonio liturgico della Chiesa romana.
Le tappe della riforma
Ci sono state tre Fasi.
Transizione (1964-1967) Traduzione dei libri esistenti e prime attuazione, semplificazioni etc. Riti ibridi e non mancarono le confusioni.
Pubblicazioni, dei libri ufficiali che si differenziano notevolmente dai tridentini per la struttura, per il contenuto, e per la finalità. Hanno una diversa impostazione riguardo alla parte cerimoniale in quanto la preoccupazione è soprattutto quella di far capire il senso e lo scopo, per questo si sviluppano i prenotanda che contengono i principi teologici e pastorali sulla particolare celebrazione.
Aumenta la ricchezza di testi p.es. dai 16 prefazi iniziali, ce ne sono adesso più di 80 (oltre 100 nel messale italiano) attingendo dalle diverse tradizioni liturgiche. Ci sono state pure nuovi composizioni.
Traduzione e adattamento. Le traduzioni devono rispettare sia il genio romano che quello della lingua alla quale si traduce . È una cosa molto delicata e si deve dire che i risultati sono stati talvolta eccellenti e purtroppo qualche volta meno felici. L'adattamento deve avere rispetto dei valori tradizionali delle culture e di quanto in esse si trova di buono e valido. Determinare quindi gli elementi da assumere dalle culture, una volta purificate da eventuali errori o superstizioni, e a condizione che siano idonei ad esprimere il mistero di Cristo.
In genere ci sono tre tipi di adattamenti:
Ordinario: È l'adattamento previsto dagli stessi nuovi libri liturgici generali per contribuire a fare una celebrazione adattata alle esigenze contingenti dell'assemblea. Scelta della messa, letture, preghiera eucaristica etc.
Propriamente detto: La Conferenza Episcopale con l’approvazione della Santa sede adatta riti, feste, etc. secondo le tradizioni del popolo.
Inculturazione: Re-interpretazione e trasformazione di un rito pre-cristiano che viene rivestito di significato cristiano. L'unico caso di vera inculturazione indicato dalla SC è quello relativo al matrimonio per il quale la CE può preparare un rito proprio restando fermo che il sacerdote deve chiedere e ricevere il consenso dei contraenti.
Il cammino dell’inculturazione è più difficile, lento e delicato ed è anche più appropriato per i paesi di missione che per quelli di una cultura cristiana radicata. Richiede una profonda riflessione teologica per evitare i pericoli di sincretismo.
[1] Bibliografia basica per il tema: A. Bugnini, La reforma liturgica (1948-1975), CLV, Roma 1983 ; E. Cattaneo, Il culto cristiano in Occidente ; A. Chupungco (ed.), Scientia Liturgica. Manuale di liturgia, I, Introduzione alla Liturgia, Piemme, Casale Monferrato 1998 , 109-342; G. Dix, The Shape of the Liturgy, A. And C. Black, London 199312 ; J.A. Jungmann, The Early Liturgy, To the Time of Gregory the Great, Darton Longmann and Todd, London 1959 ; A.G. Martimort (ed.), La Iglesia en Oración, Introducción a la liturgia, Nueva edición actualizada y aumentada, pp 53-112.; B. Neunheuser, Historia de la liturgia, in NDL., pp. 966-998 ; Idem, Storia della liturgia attraverso le epoche culturali, BELS, Roma 1983 ; M. Righetti, Storia liturgica I, Introduzione generale, Ancora, Milano 19983 ; H. Schmidt, La Costituzione sulla sacra liturgia, Testo-Genesi-Commento, Documentazione, Vaticano, Roma 1966 ; Vv. Aa., Anàmnesis 2, La liturgia, panorama storico generale, Marietti, Casale Monferrato 1978 ; J.F. White, Roman
[2] Fino a pochi anni fa si credeva quest’opera di riforma fu realizzato dall’abate inglese Alcuino di York (735-801) ma la critica adesso lo attribuisce a San Benedetto.
28 Cf. AAS. LXXXI (1989). n. 8, pp. 897- 918. y AAS LXXXVII (1995), n. 3 pp. 288-314.
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