Oggetto di questo articolo non è la Liturgia della Parola considerata in se stessa, sulla quale si dovrebbe pertanto offrire una panoramica storica, teologica e disciplinare. In continuità con la serie dei precedenti articoli di questa rubrica, ci interessiamo invece al ruolo del sacerdote nella Liturgia della Parola della Messa, tenendo presenti tanto la forma ordinaria (o di Paolo VI) quanto quella straordinaria (o di san Pio V) del Rito Romano[1].
La forma straordinaria
Nella «Messa bassa» (celebrazione semplice, di uso quotidiano) della forma straordinaria, il sacerdote legge tutte le letture, ossia l’Epistola[2], il Graduale e il Vangelo. In genere, egli fa ciò assumendo la stessa posizione con la quale offrirà in seguito il santo Sacrificio. Con un’espressione fuorviante ma molto diffusa, possiamo dire che il sacerdote proclama la Liturgia della Parola «spalle al popolo». La lingua della proclamazione è la stessa di tutto il rito, quindi il latino, oppure la lingua nazionale, come ricorda l’articolo 6 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Al termine dell’Epistola, chi assiste dice: Deo gratias. All’Epistola segue il Graduale, così chiamato dai gradini che il diacono saliva per andare a leggere il Vangelo dall’ambone nella Messa solenne. Dopo il Graduale, si legge l’Alleluja con il suo versetto, oppure il Tratto[3]. In alcune occasioni, prima del Vangelo, il sacerdote proclama anche una Sequentia[4]. Fatto ciò, mentre il ministrante trasporta il Messale (nel quale si trovano anche i testi delle letture bibliche) dal lato destro dell’altare (detto cornu epistulae) al lato sinistro (cornu evangelii), il sacerdote, posto al centro dell’altare, chiede al Signore la benedizione prima di passare al lato sinistro (o settentrionale), alla cui estremità proclama il Vangelo dopo aver detto Dominus vobiscum, aver ricevuto la relativa risposta, aver annunziato il titolo del libro evangelico da cui è tratta la pericope che sta per leggere, aver tracciato con il pollice della mano destra un segno di croce sul libro e tre su di sé (sulla fronte, sulla bocca e sul petto). Quando legge l’Epistola, il Graduale e l’Alleluja, il sacerdote tiene le mani appoggiate sul Messale o sull’altare, ma sempre in modo che le mani tocchino il libro. Invece, nel proclamare il Vangelo, tiene le mani giunte all’altezza del petto. Terminata la lettura del Vangelo, solleva con le mani il libro dal leggio e lo bacia dicendo in segreto la formula Per evangelica dicta, deleantur nostra delicta. Durante la proclamazione delle diverse letture, il sacerdote fa un inchino con il capo ogni volta che pronuncia il nome di Gesù. In casi particolari, è prevista la genuflessione durante la lettura. Alla fine della lettura del Vangelo, si acclama Laus tibi, Christe. Dopo il Vangelo, soprattutto nelle domeniche e nei giorni di precetto, ci può essere a seconda dell’opportunità una breve omelia[5]. Infine, dopo l’eventuale omelia, quando è previsto, si recita il Simbolo della fede: il sacerdote torna al centro dell’altare e intona il Credo allargando e ricongiungendo le mani dinanzi al petto e facendo un inchino col capo. Quando si recita Et incarnatus est genuflette e rimane così fino a et homo factus est. Fa inoltre un inchino col capo quando dice simul adoratur. Infine, concludendo il Simbolo, si segna con il segno della croce. Tutte le parti della Liturgia della Parola, eccetto le preghiere che il sacerdote recita prima e dopo la proclamazione del Vangelo, sono dette con tono di voce intellegibile. Non possiamo qui aggiungere altri dettagli sul modo di proclamare le letture bibliche nella Messa solenne.
La forma ordinaria
Nel Messale di Paolo VI, la Liturgia della Parola ha mantenuto diversi elementi del Messale di san Pio V, anche se ne sono stati soppressi alcuni ed aggiunti altri. Di per sé, non è stata cambiata la lingua della proclamazione, perché la lingua propria della liturgia romana è rimasta il latino anche nella riforma liturgica post-conciliare, ragion per cui i nuovi lezionari (ora stampati come libri a sé stanti) sono stati pubblicati in latino nel 1969 e nel 1981. D’altro canto, è ben noto che la editio typica è stata poi tradotta nelle varie lingue nazionali e queste sono quelle generalmente usate. La Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR) detta le norme generali per la Liturgia della Parola ai nn. 55-71. Una prima differenza tra le due forme del Rito Romano sta nel fatto che, anche nella Messa quotidiana, celebrata in forma non solenne, si ammette la possibilità che altri lettori proclamino i brani biblici[6], eccezion fatta per il Vangelo, anche se resta ovviamente la possibilità che sia ancora il sacerdote a leggere tutti i testi della Liturgia della Parola[7]. Un secondo cambiamento sta nel fatto che, nelle domeniche e solennità, il numero delle letture aumenta a tre (Prima e Seconda Lettura, più il Vangelo), oltre il Salmo responsoriale, che prende il posto del Graduale o del Tratto. Anche la selezione di pericopi bibliche è aumentata in modo considerevole rispetto al lezionario della forma straordinaria[8]. Un terzo elemento nuovo è il reinserimento della Orazione Universale o Preghiera dei Fedeli, che si svolge dopo il Vangelo e l’omelia. L’omelia è raccomandata per ogni giorno dell’anno e obbligatoria nelle domeniche e nei giorni di precetto[9]. Significativo è l’inserimento, all’interno delle norme dettate dalla Institutio, di un numero sul silenzio:
«La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia»[10].
La Institutio stabilisce poi che le letture bibliche si leggano sempre dall’ambone[11] quindi, anche se le legge il sacerdote, non lo fa mai stando di «spalle al popolo». Anche nella forma ordinaria, il sacerdote, prima di proclamare il Vangelo, recita una preghiera silenziosa. Nel rito di Paolo VI, al termine di ogni lettura si dice un versetto, che lancia la risposta dei fedeli[12]. Il Salmo invece è detto «responsoriale», perché è intercalato da un responso detto da tutti i fedeli tra una strofa e l’altra. Anche se di solito ciò non avviene, le norme prevedono la possibilità di cantare o recitare il Salmo senza responso, o anche di sostituirlo con un Graduale[13]. Il Messale di Paolo VI mantiene in alcune occasioni l’uso della Sequentia, la quale è però obbligatoria solo nei giorni di Pasqua e Pentecoste[14] e inoltre si recita prima del versetto allelujatico e non dopo di esso. Il Vangelo viene proclamato compiendo gli stessi gesti della Messa di san Pio V, anche se la IGMR non precisa la posizione delle mani del sacerdote e altri aspetti simili[15]. Ciò avviene anche per le norme riguardanti la recita del Credo, per la quale, però, si precisa che non si genuflette, bensì solo ci si inchina al momento delle parole Et incarnatus est[16]. Circa la Preghiera dei Fedeli, la IGMR dice che «è conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera»[17]. «Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli la introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con un’orazione. [...] Le intenzioni si leggono dall’ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico»[18].
Alcune annotazioni
Da quanto detto, si nota una continuità sostanziale tra il modo di celebrare la Liturgia della Parola nei due Messali, unita a dei cambiamenti, alcuni arricchenti, altri più problematici. La continuità si basa su diversi motivi. Il primo e principale è che la Liturgia della Parola della Messa accoglie in sé solo ed esclusivamente testi biblici (Antico e Nuovo Testamento). Rappresenta, pertanto, uno snaturamento di questa parte della celebrazione l’inserzione di testi extra-biblici, fossero anche presi dai Padri, dai grandi Dottori e Maestri di spiritualità cristiana. A maggior ragione, non possono essere letti testi profani o scritti sacri di altre religioni[19]. Altro motivo di continuità è la struttura della Liturgia della Parola, che è simile nelle due forme del Rito Romano.
Vi sono anche diversi aspetti che indicano un cambiamento. Nel rito di Paolo VI la selezione di pericopi è molto più ricca che nel precedente Messale. Questo fatto è senza dubbio positivo e risponde alle indicazioni della Sacrosanctum Concilium[20]. Sarebbe tuttavia il caso di abbreviare numerose pericopi troppo lunghe[21]. Positiva è anche la norma per la quale le letture sono proclamate dall’ambone e, quindi, con i lettori rivolti verso il popolo. Questa postura è infatti più indicata per la Liturgia della Parola[22]. Positiva è ancora la norma che prescrive l’obbligatorietà dell’omelia alla domenica e nei giorni di precetto. Qui il sacerdote ha un ruolo importante e delicato. Recentemente, S. E. Mons. Mariano Crociata ha ricordato che «è decisivo che l’omileta abbia coscienza di essere egli stesso un ascoltatore, anzi di essere il primo ascoltatore delle parole che pronuncia. Egli deve sapere innanzitutto, se non solamente, rivolta a sé quella parola che sta pronunciando per altri»[23]. La preparazione accurata dell’omelia è parte integrante del ruolo del sacerdote nella Liturgia della Parola. Benedetto XVI ci ricorda che l’omelia ha sempre scopo sia catechetico che esortativo[24]: non può essere dunque una lezione di esegesi biblica, sia perché deve esprimere anche il dogma, sia perché deve essere un discorso catechetico e non accademico; né può essere una semplice parenesi che richiama certi valori vaghi, magari presi dalla mentalità corrente senza alcun filtro evangelico (il che significherebbe separare la parte esortativa, che riguarda il bene da operare, da quella veritativa o catechetica).
Circa il ministero dei lettori, la forma ordinaria permette che non solo leggano ministri appositamente istituiti dalla Chiesa per questo compito, ma anche altri fedeli laici. Il ruolo del sacerdote, in questo caso, non è più quello di leggere sempre in prima persona le letture bibliche, ma quello – più remoto – di assicurare che questi lettori siano davvero idonei. Nessuno può semplicemente salire all’ambone e proclamare la parola di Dio nella liturgia. Se non vi sono persone adeguatamente preparate, il sacerdote deve continuare ad assumersi in prima persona il ruolo di lettore, finché non si potrà assicurare la presenza di lettori veramente idonei. Per ragioni di spazio, non possiamo qui soffermarci sul tema della Preghiera dei Fedeli.
Infine, un elemento di cambiamento che rappresenta un impoverimento è la mancanza di indicazioni precise sugli atteggiamenti corporei che il sacerdote deve assumere all’atto di leggere (in particolare il Vangelo). Tuttavia, questa rappresenta una scelta di fondo del nuovo Messale, che è molto meno preciso del precedente su questi aspetti, lasciando il campo aperto a diversi atteggiamenti celebrativi. Si può ovviare a simile carenza, applicando al nuovo rito le usanze di quello antico, lì dove questo è possibile, per quelle indicazioni che non sono escluse esplicitamente dalle attuali rubriche, come il tenere le mani giunte all’altezza del petto durante la proclamazione del Vangelo. Ciò contribuisce alla dignità della celebrazione della Liturgia della Parola e può rappresentare un esempio di quel reciproco influsso tra i due Messali auspicato da Benedetto XVI, quando ha scritto che «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda». Anche in questo modo «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso»[25].
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Note
1) Per una panoramica storica e teologica sulla Liturgia della Parola, si può vedere ad esempio: M. Kunzler, La liturgia della Chiesa, Jaca Book, Milano 2003 (II edizione ampliata), pp. 297-309, con bibliografia alle pp. 309-310.
2) In alcuni casi, l’Epistola è preceduta da altre letture.
3) Il versetto allelujatico è sostituito dal Tratto dalla Settuagesima a Pasqua e nelle Messe dei defunti.
4) Nell’ordinamento del Messale di Giovanni XXIII si trovano solo cinque Sequentiae: Victimae paschali per la Pasqua, Veni sancte Spiritus per la Pentecoste, Lauda Sion per il Corpus Domini, Stabat Mater per le due feste dei Sette Dolori, Dies Irae per le Messe dei defunti.
5) «Post Evangelium, praesertim in dominicis et diebus festis de praecepto, hebeatur, iuxta opportunitatem, brevis homilia ad populum»: Missale Romanum 1962, Rubricae generales, VIII, n. 474.
6) La lettura liturgica è competenza del lettore istituito (cf. IGMR, n. 99), tuttavia «se manca il lettore istituito, altri laici, che siano però adatti a svolgere questo compito e ben preparati, siano incaricati di proclamare le letture della Sacra Scrittura» (IGMR, n. 101).
7) Tuttavia, come si evince da IGMR, n. 59, questa seconda possibilità si mantiene solo in assenza di lettori idonei. Così pure il n. 135: «Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture e il salmo stando all’ambone». Il n. 176 prescrive che, se è presente il diacono, sarà lui a leggere in caso di mancanza del lettore.
8) Non c’è dubbio circa la maggiore ampiezza della selezione biblica del lezionario post-conciliare. Bisogna anche riconoscere, tuttavia, che diverse volte le pericopi scelte sono troppo lunghe, il che, unito al reinserimento della Preghiera dei Fedeli e alla pratica ordinaria dell’omelia, fa spesso diventare la Liturgia della Parola più lunga della Liturgia Eucaristica, dando luogo ad uno scompenso teologico-liturgico, oltre che rituale.
9) Cf. IGMR, nn. 65-66. A differenza delle norme fissate nel Messale del 1962, nella IGMR non si precisa che l’omelia deve essere «breve».
10) IGMR, n. 56.
11) Cf. IGMR, n. 58.
12) Cf. IGMR, n. 128.
13) Cf. IGMR, n. 61.
14) Cf. IGMR, n. 64.
15) Cf. IGMR, n. 134.
16) La genuflessione si mantiene solo all’Annunciazione e al Natale del Signore (cf. IGMR, n. 137).
17) IGMR, n. 69.
18) IGMR, n. 71.
19) «Non è permesso omettere o sostituire di propria iniziativa le letture bibliche prescritte né sostituire specialmente “le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio, con altri testi non biblici”» (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis Sacramentum, n. 62).
20) «Nelle sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 35).
21) Altri difetti del lezionario post-conciliare sono segnalati da A. Nocent in Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo (ed.), Scientia liturgica. Manuale di liturgia, III: L’Eucaristia, Piemme, Casale Monferrato 2003 (III edizione), pp. 195-200.
22) Cf. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 77.
23) M. Crociata, Omelia nella Messa al Convegno Liturgico per Seminaristi, Roma 29 dicembre 2009.
24) Cf. Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 46.
25) Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi in occasione del Motu Proprio «Summorum Pontificum».
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